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Documenti rari, immagini mai digitalizzate, testimonianze dei protagonisti, saggi, articoli: è online Heliopolis l’archivio digitale dedicato alla performance, a cura di Clemente Tafuri e Teatro Akropolis.
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Cominciamo dall’ovvio: perché questo nome?
É un modo per evocare un possibile punto di partenza, un’ispirazione. Qualcosa è al centro e da lì si irradiano le domande. Ma l’ispirazione è a sua volta una domanda, un punto critico.
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L’assonanza con il nome del vostro gruppo mi fa tornare alla mente il Jacques Le Goff di Documento/Monumento, per il quale nessuna fonte è oggettiva e primaria. In che modo la ricerca di Teatro Akropolis ha condizionato la creazione di questo archivio?
La ricerca di Teatro Akropolis è alla base del progetto Heliopolis. Ci siamo confrontati per anni con gli studi teatrologici che stabilivano un dialogo transdisciplinare con la filosofia, l’antropologia, la letteratura e le scienze umane. Questo ha dato vita a spettacoli, libri, attività curatoriali, la programmazione di Teatro Akropolis, più recentemente i lavori sulla videoarte e il cinema. Ma ogni esperienza, come ricordi tu, è soggettiva, non potrebbe essere altrimenti. Le domande, invece, che si definiscono durante una ricerca, ancor più dei suoi esiti, possono essere condivise. Heliopolis è questo. Centinaia di testimonianze raccolte intorno a dei temi precisi. Temi che non esauriscono il dibattito intorno alle arti per la scena, sarebbe evidentemente impossibile, ma circoscrivono un campo d’azione.
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Ancora: posto che ogni catalogazione, per quanto metodologicamente corretta e storicamente fondata, non può che essere arbitraria, dunque, non vera ma verosimile, come si salvaguarda la scientificità di questo progetto?
Heliopolis è un progetto di ricerca, un archivio, come si suole dire, inventato in cui la componente editoriale e autoriale è essenziale per definire l’interpretazione del tema a cui l’archivio stesso si riferisce. Se ne può condividere l’ispirazione seguendo la mappa concettuale che viene proposta, oppure cercare tra i materiali come in qualsiasi altro archivio. La scelta dei temi e dei sottotemi in cui Heliopolis si struttura rappresenta una prospettiva, un modo per affrontare da più angolazioni il grande tema della crisi della rappresentazione e del rapporto tra le arti per la scena e il concetto di performatività. La mappa concettuale sintetizza i fondamenti della nostra ricerca e nasce dal confronto che abbiamo avuto per anni con artisti e studiosi. Ma è chiaro che alcune scelte possono non essere condivise. Perché affrontare il tema del mito se si sta parlando di arte contemporanea? Qualcuno potrebbe pensare che siano cose lontane. Non è tanto una questione di scientificità, o meglio non solo, quanto di interpretazione.
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L’archivio ad oggi raccoglie centinaia di documenti ed è in continua crescita e aggiornamento grazie alla collaborazione di studiosi, critici, artisti, fondazioni, archivi, Festival e teatri in Italia e all’estero. Sono già partner di Heliopolis, tra gli altri, l’Archivio Carmelo Bene, gli Odin Teatret Archives, il Centro Teatro Ateneo de “La Sapienza” di Roma e il Museo Biblioteca dell’Attore di Genova, per citare solo alcuni soggetti di un elenco che registra continue nuove adesioni: non un hortus conclusus, dunque, ma un sistema costitutivamente aperto. Quali principi regolano le collaborazioni e le inclusioni documentali?
L’affinità, l’adesione a un progetto, la sensibilità verso alcune questioni che si sono rivelate essenziali nel corso del Novecento e continuano a definire una crisi permanente nell’arte e non solo. Il Novecento appare sempre più come il secolo rimosso, oltre che breve. Non si tratta di collezionare materiali per ricordare quanto siano stati importanti, quanto abbiano inciso nel momento in cui sono comparsi o come abbiano cambiato il corso degli eventi. Quei materiali hanno ancora qualcosa da dirci? Sono significativi per chi si occupa oggi di arte, teatro, cultura oppure quelle parole e quelle immagini continuano ad avere senso solo se riferite a un contesto storico preciso? Provare a rispondere a questa domanda significa interrogarsi innanzitutto sul nostro tempo, studiare e approfondire il lavoro degli artisti, non tanto capire dove stiamo andando, ma il modo in cui questo accade.
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L’archivio propone inoltre approfondimenti monografici dedicati a protagonisti della scena del Novecento, alle testimonianze di artisti e studiosi ospitati a Teatro Akropolis, e a specifici temi di particolare rilevanza per gli studi sull’arte performativa. In questo momento, in home page, è presente una sezione dedicata agli studi sulla teoria gender, in ambito teatrale e non solo, tema oltremodo vivo nel dibattito contemporaneo. Ciò apre a una questione, mi rendo conto, smisurata: al di là dell’indubbio interesse per appassionati e studiosi di teatro che un’operazione come questa suscita, quale dialogo con il presente può e vuole instaurare, Heliopolis?
I temi che compaiono in Heliopolis non riguardano solo il teatro. Si rifanno a questioni filosofiche o politiche che evidentemente l’arte affronta, ma che interrogano il nostro tempo in modo più esteso. L’arte però può chiamarci a riflettere su un tema in modo decisivo, portandoci improvvisamente ai limiti di un discorso senza avere apparentemente bisogno del discorso. E soprattutto riuscendo a rilanciare l’oggetto della sua indagine a prescindere dal momento della creazione, superando cioè i confini della storia. L’opera è la testimonianza più profonda di ciò che la ispira. Per questo avrà sempre un rapporto essenziale col presente. Per questo continua a interrogarci. É una discesa nelle parti oscure dell’uomo, il punto limite di ogni identità e di ogni cultura. Ma se identifichiamo il presente col momento che viviamo perdiamo tutto. Il pericolo è quello di riflettere sul presente riferendosi al presente stesso, come se tutto si esaurisse sulla base dei nostri bisogni quotidiani. L’arte, la filosofia hanno invece il potere di farci essere lontani dal presente proprio perché lo interrogano da ogni epoca.
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Per concludere (e al contempo aprire): l’archivio ha per oggetto generale «la rappresentazione e alla sua crisi». Si potrebbe facilmente obiettare che ogni documentazione sull’arte dal vivo, ontologicamente, ne tradisce l’essenza. Cosa questo archivio non può e non potrà mai contenere?
Non solo ne tradisce l’essenza, ma diventa una cosa a sé. L’arte dal vivo non può essere in nessun modo fissata in un video, in un racconto, in qualsiasi narrazione. Il teatro è un’esperienza definitivamente determinata dal suo realizzarsi. Le tracce che ci rimangono di uno spettacolo sono testimonianze che servono a circoscrivere un’ipotesi, a darci delle suggestioni, a dare ragione di un possibile apparato critico, ma nulla più di questo. L’opera è definitivamente perduta, non potrà mai essere riprodotta, ripetuta. Ed è proprio questo a renderla così vicina alla vita. Ma la crisi della rappresentazione è una questione che riguarda l’opera, non la sua testimonianza. Riguarda cioè la possibilità e l’opportunità di misurarsi con la rappresentazione di un mondo che è a sua volta rappresentazione. E questo è un problema che si ripresenta ogni volta, nella vita come nell’arte. Heliopolis si occupa principalmente di questo paradosso.–
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Heliopolis, fruibile gratuitamente e senza bisogno di registrazione, ha anche una sede fisica, aperta al pubblico su appuntamento, in Villa Durazzo Bombrini (Via Lodovico Antonio Muratori 5) a Genova, con postazioni informatiche e multimediali per l’accesso ai materiali digitali e spazi per la consultazione diretta di testi e documenti.
Heliopolis è un progetto a cura di Clemente Tafuri e Teatro Akropolis; responsabile di progetto Luca Donatiello, collaborazione alle ricerche d’archivio e bibliografiche Simone Dragone. Heliopolis è sostenuto da Next Generation EU – PNRR Transizione Digitale Organismi Culturali e Creativi – Ministero della Cultura, Fondazione Compagnia di San Paolo e Comune di Genova.
Contatti: info@heliopolisarchive.org, 329 1639577.
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