E’ ancora questione aperta sul concetto di ‘Paesi sicuri’ in merito all’accoglienza dei migranti.
Un concetto su cui, il 25 febbraio prossimo la Corte di giustizia dell’Unione europea sarà chiamata a decidere. La suprema corte di Cassazione, intanto, accogliendo la richiesta della Procura generale, ha “sospeso ogni provvedimento” in merito al ricorso del governo contro le prime mancate convalide del trattenimento di migranti in Albania.
“Al dialogo tra giurisdizioni la Cassazione partecipa offrendo, nello spirito di leale cooperazione la propria ipotesi di lavoro, senza tuttavia tradurla né in decisione del ricorso né in principio di diritto suscettibile di orientare le future applicazioni”, si legge nell‘ordinanza “interlocutoria”.
E comunque – si spiega ancora nel documento della Suprema corte- la pronuncia della Corte di giustizia Ue, del 4 ottobre scorso, in tema di Paesi sicuri, “si occupa esclusivamente delle eccezioni territoriali, chiarendo che l’esistenza di aree interne di conflitto e violenza indiscriminata è incompatibile con la designazione di un paese terzo come sicuro”.
Motovedetta con migranti da Albania arrivata in porto Bari, 19 ottobre 2024 (ansa)
La definizione di Paesi sicuri spetta ai ministri
La designazione di un paese come “sicuro” “spetta, in generale, soltanto al Ministro degli affari esteri e agli altri Ministri che intervengono in sede di concerto”, anche se il giudice di convalida “è chiamato a riscontrare, nell’ambito del suo potere istituzionale, in forme e modalità compatibili con la scansione temporale urgente e ravvicinata del procedimento de libertate, la sussistenza dei presupposti di legittimità della designazione di un certo paese di origine come sicuro, rappresentando tale designazione uno dei presupposti giustificativi della misura del trattenimento”, scrivono ancora i giudici della Prima Sezione della Cassazione in un’Ordinanza interlocutoria, pubblicata oggi, in merito al provvedimento di non convalida del trattenimento di uno straniero proveniente dall’Egitto, adottato dal Tribunale di Roma.
“La designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro – scrive la Corte –può essere effettuata, attraverso un decreto ministeriale, con eccezioni di carattere personale. Tuttavia, la procedura accelerata di frontiera non può applicarsi là dove, anche in sede di convalida del trattenimento, il giudice ravvisi sussistenti i gravi motivi per ritenere che il paese non è sicuro per la situazione particolare in cui il richiedente si trova. In ogni caso, le eccezioni personali, pur compatibili con la nozione di paese di origine sicuro, non possono essere ammesse senza limiti.
Tali eccezioni, infatti, non sono ammesse a fronte di persecuzioni estese, endemiche e costanti, tali da contraddire, nella sostanza, il requisito dell’assenza di persecuzioni che avvengano generalmente e costantemente”, perche’, altrimenti, sarebbe gravemente pregiudicato il valore fondamentale della dignita’ e, con esso, la connotazione dello Stato di origine come Stato di diritto, il quale postula il rispetto delle minoranze nel nucleo irriducibile dei diritti fondamentali della persona”.
Il giudice della convalida “è chiamato a verificare, in ipotesi limite, se la valutazione ministeriale abbia varcato i confini esterni della ragionevolezza e sia stata esercitata in modo manifestamente arbitrario o se la relativa designazione sia divenuta non più rispondente alla situazione reale”.
Per questo la Cassazione “ha rinviato a nuovo ruolo la decisione del ricorso, dichiarando espressamente – in linea con le stesse conclusioni della Procura Generale – di voler partecipare al dialogo fra le supreme corti, offrendo, nello spirito di leale cooperazione, la propria ipotesi di lavoro, nell’attesa che la Corte di giustizia Europea si pronunci, nell’udienza ormai prossima del 25 febbraio 2025, su plurimi ricorsi pregiudiziali, avanzati tanto da giudici italiani del merito quanto dal Tribunale amministrativo regionale di Berlino, su una serie di quesiti sicuramente interferenti con la decisione del caso concreto e in grado di fornire alla Suprema Corte la possibilità di dettare un principio di diritto destinato a operare anche per il futuro che tenga conto dei principi che varranno espressi dalla corte sovranazionale”.
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