Gentili lettori ,
oggi parliamo di pietre, quelle preziose in particolare, e in dettaglio di quella che lo è per antonomasia: il diamante.
Il Diamante
è il materiale più duro in natura e inscalfibile se non da un altro uguale, infatti nella scala della durezza di Mohs il nostro raggiunge il massimo grado di 10. E anche il valore venale della pietra rispecchia il primato, tanto da meritare l’appellativo di “migliore amico delle donne”, come nella famosa canzone di Marilyn Monroe nel film “Gli Uomini Preferiscono le Bionde” del lontano 1953.
Ma come avviene per gli uomini e le donne, i diamanti non sono tutti uguali: vengono valutati in base alle cosiddette “4 C” , le iniziali di Cut, Clarity, Color e Carat.
Cut, Clarity, Color e Carat
- La prima parola, Cut, si riferisce al tipo di taglio operato sulla pietra grezza: è considerata la caratteristica più importante di un diamante, perché influenza direttamente la sua capacità di riflettere la luce con le sue sfaccettature: la proporzione ideale delle dimensioni della pietra nel tradizionale taglio “a brillante” è del 60% tra larghezza ed altezza, e la perfetta simmetria delle facce garantisce la migliore luminosità.
- Clarity si riferisce alla presenza, o meglio assenza, di impurità o macchie, dette “inclusioni”: meno ce ne sono, più prezioso è il diamante. Alcune di esse sono invisibili ad occhio nudo, e l’esame viene fatto con appositi strumenti ottici con ingrandimento di 10x.
- Quanto al Color, anche in questo caso un’assenza dell’elemento distingue i diamanti più costosi, quelli nei quali la trasparenza è assoluta: ma conta anche il colore del metallo sul quale sono montati: l’oro giallo o rosa possono coprire meglio eventuali riflessi di colore, mentre platino e oro bianco magnificheranno l’assenza di tinta.
- Infine il Carato si riferisce al peso del diamante: equivale a 200 milligrammi, e la parola ha origine nei semi di carruba, in origine termine di riferimento per la misurazione, e il termine è ancora oggi in uso. Se però in assoluto viene considerato il primo fattore di valutazione, infatti i prezzi sui mercati mondiali sono per carato, o sua frazione di 0,25 o 0,50, ovviamente una pietra più leggera può ben essere più costosa di un’altra di peso poco superiore, se migliore quanto a taglio e brillantezza.
Le caratteristiche del diamante
Le caratteristiche “chimiche” del diamante, risultato di un processo durato milioni di anni, lo distinguono sia dalle altre pietre preziose, sia dai suoi “imitatori”, altri materiali che si avvicinano alle sue proprietà senza peraltro mai raggiungerle: oltre ad essere quella più dura come detto sopra, è la materia che conduce meglio il calore (infatti al tatto è sempre freddo, in qualsiasi temperatura ambientale) ma è anche tra quelle che non conducono l’elettricità.
Uno dei test che viene eseguito per accertarsi dell’autenticità della pietra consiste appunto nel misurarne la resistenza elettrica: se messo a confronto con la pietra che gli si avvicina di più, la Moissanite, è proprio questo esame che consente di differenziarle con certezza, visto che come apparenza e conducibilità termica le due materie sono analoghe (e la durezza è di poco inferiore) , ma il diamante non permette il passaggio delle cariche elettriche al suo interno, a differenza della prima.
Consideriamo poi che di recente si è riusciti a “clonare” la pietra naturale in laboratorio, riproducendo artificialmente il processo della sua formazione, favorendo l’accorpamento degli atomi di carbonio in adeguate condizioni di pressione e temperatura: in questi casi il risultato estetico sarà uguale a quello naturale, ma proprio l’assenza totale di imperfezioni distinguerà quella sintetica dalla naturale; e la luminosità, espressa dalla sua “brillantezza” ( la capacità di riflettere la luce bianca), la sua “dispersione” della luce ( i riflessi nei colori dell’iride) e la sua “scintillazione” ( i “lampi” di luce dovuti alle facce) saranno rivelatori della sua origine.
I segnali dei mercati finanziari
Anche nel nostro ambito capita spesso di dover esaminare dei “segnali” che i mercati finanziari lanciano di continuo, per cercare di comprendere “dove siamo” e “dove andremo” nel prossimo futuro.
Nell’anno che sta per concludersi abbiamo trovato altre “4 C” che possono aiutarci nell’esame delle tendenze in atto, e le esamineremo insieme di seguito, parlando di Communication Services, di Canada, di Corea (del Sud) e concludendo con il Caffè, come si conviene ad ogni “menù” che si rispetti.
L’andamento settoriale è interessante perché sfata il mito della Tecnologia come protagonista assoluta dei mercati nel 2024:
Intendiamoci, siamo in entrambi i casi abbondantemente oltre il 30% che è comunque un bell’andare, ma il fatto che siano le società che producono le infrastrutture della comunicazione a primeggiare ci ricorda un po’ altri momenti dei mercati nello scorso secolo, come ad inizio ‘900 lo sviluppo delle ferrovie negli Usa che portò le aziende del comparto a brillare in Borsa: oggi come allora, si parla di trasporti, ma non di merci e persone come cento anni fa bensì dei dati .
Perché è vero che la capacità di trattare le loro enormi quantità ha richiesto un aumento della potenza di calcolo e da qui lo sviluppo esponenziale di alcune produttrici di microchips (Nvidia) , poi però i dati bisogna trasmetterli a destinazione per la loro elaborazione e renderli così utilizzabili a scopo di indagine e di previsione: cioè “la potenza è nulla senza trasmissione”, parafrasando una iconica pubblicità.
Così come un secolo fa fu il trasporto di merci e persone uno dei presupposti della crescita economica degli States, oggi le infrastrutture più o meno avanzate sono il vero discrimine del progresso tecnologico , ed il mercato ovviamente lo ha prezzato nelle quotazioni e nella loro performance.
Un altro argomento caro a queste pagine introduttive è quello delle politiche monetarie, e tra i principali paesi il Canada si è finora distinto come quello la cui Banca Centrale ha agito più ampiamente sulla leva dei tassi di interesse, che dai massimi di inizio anno sono stati ridotti di 1,75%:
Non è stata la prima ad allentare la politica monetaria:
quella con il maggiore tempismo è stata la Swiss National Bank, (Paese che per tradizione e cultura ha fatto della misurazione del tempo il suo primato, vedi l’orologeria…); quella di Ottawa ha avuto nel rallentamento economico canadese il suo principale presupposto ( e due riduzioni consecutive di 50 bps non hanno precedenti se non nel periodo della pandemia da Covid-19) : e il Governatore della Bank of Canada, nel ripercorrere il passato biennio quando i tassi erano stati innalzati per contrastare l’inflazione, ha ammesso in un recente convegno (organizzato dalla Camera di Commercio di Vancouver) di non voler ripetere gli errori di valutazione del precedente periodo: stavolta l’azione ha dovuto essere più tempestiva, e un ulteriore ritardo nell’accomodamento della politica monetaria avrebbe poi costretto ad agire in modo ancora più massiccio, visto l’incombente pericolo di recessione e l’incertezza legata alle prossime decisioni in materia di dazi doganali che il neo-eletto Presidente del vicino statunitense minaccia di mettere in atto.
Cambiando scenario geografico, la terza “C” riguarda la Corea del Sud, con la divisa locale che sta inanellando record (negativi) nel valore di mercato della sua divisa locale, il Won; eccolo (simbolo KRW) a confronto, contro Euro, con le altre valute dell’area (cambi BCE al 27/12):
Ora, non è la prima volta che il Won affronta un deprezzamento
come valuta “emergente” è sensibile alla percezione di rischio dei mercati. Infatti anche durante la crisi finanziaria del 2008/2009 la moneta subì una diminuzione nella sua quotazione, ma poiché altre divise come Dollaro Usa, Euro, Yen e Yuan guadagnarono, le esportazioni di Seoul conobbero uno slancio grazie all’aumentata competitività: nel marzo 2009, quando la quotazione arrivò a 1.450 per Usd (più o meno quella attuale), il surplus commerciale segnò un record di 4,3 Miliardi di Dollari Usa in un solo mese.
Purtroppo oggi la situazione è diversa
la matrice del ribasso è l’instabilità politica locale, e visto il ruolo che le imprese nazionali hanno nel settore tecnologico (Samsung, semiconduttori) non è un elemento da trascurare. Ma soprattutto stavolta anche Yen e Yuan, come del resto l’Euro, si sono deprezzati contro Dollaro, e quindi il vantaggio competitivo non aiuterà come nella circostanza precedente: negli ultimi due mesi, il Won ha ceduto contro l’USD oltre il 6%, lo Yen il 3,6%, l’Euro il 5,1% e lo Yuan il 2,7%.
E le autorità locali hanno comunicato il loro intento di stabilizzare il corso del Won prevenendo le eccessive oscillazioni della sua quotazione, senza peraltro ottenere effetti particolari, come l’esperienza giapponese insegna; pochi giorni fa la Banca Centrale ha prolungato l’accordo di currency swap con i Fondi Pensione coreani, che invece di acquistare dollari Usa sul mercato per i loro investimenti sui mercati esteri (il che avrebbe indebolito ulteriormente la divisa locale), potranno attingere direttamente alle riserve in valuta dell’istituto di emissione, e la relativa linea di credito è stata elevata da 50 a 65 Miliardi di Dollari.
Pochi risultati anche su questo fronte: se i mercati “puntano” una moneta con valide motivazioni quale l’instabilità politica, o c’è il concorso di altre banche centrali, oppure pochi hanno la “potenza di fuoco” di andare contro il Dollaro Usa per sostenere la propria divisa.
Prima di passare all’analisi dei mercati, esaminiamo allora l’andamento dei prezzi del Caffè, la nostra quarta “C”:
Curiosamente il podio del 2024 tra le Commodities agricole è occupato da tre prodotti che iniziano per lettera C , ma è solo un caso; quello che non è casuale è l’andamento del nostro Caffè, che trae fondamento dall’elemento climatico ma con diverso presupposto a seconda dell’area di produzione.
Ci spieghiamo meglio.
Nel caso del Brasile (primo produttore al mondo della varietà Arabica) le piantagioni hanno conosciuto la peggiore siccità da quattro decenni (1981) a questa parte, che ha comportato un calo della produzione: nel caso del Vietnam (che primeggia per la qualità Robusta) invece il problema, all’opposto, sono state le eccessive precipitazioni che hanno falcidiato i raccolti, con le esportazioni diminuite nell’ultimo anno del 47% (11/2323 – 11/2024).
Nel caso del paese sudamericano il fenomeno di El Niño, precoce rispetto alle prime previsioni, ha messo a dura prova la produzione locale; i fenomeni climatici sempre più estremi hanno d’altro canto bersagliato l’area del Sud-est Asiatico con precipitazioni copiose e violente.
E considerazioni simili si potrebbero fare anche per il Cacao, ma non ci dilunghiamo, anche per la concorrenza di fattori di instabilità politica in Africa centrale nei paesi produttori (Costa d’Avorio).
Infine, per quanto riguarda più in particolare le borse Usa, non a caso riportiamo abitualmente una tabella che riguarda i titoli delle società più gettonate dagli operatori; sono infatti quelle, poche di numero, che stanno trainando i rialzi da inizio 2024.
E questo ci porta ad una quinta importante possibile “C”, la Concentrazione : se si confronta l’andamento dell’ indice S&P500 “generale” (che risente dell’aumento di capitalizzazione delle “regine” del mercato) con quello “equipesato” tra tutti i titoli (che non ne è influenzato), ebbene il primo sta superando la performance del secondo di una differenza record, non più vista dai tempi dell’ultima crisi finanziaria (2008-2009).
Ma di questo parleremo in uno dei prossimi report.
Passiamo ora alla consueta analisi settimanale.
Andamento dei principali indici e mercati e commento
Considerando le festività intermedie che ovviamente hanno limitato i quantitativi in gioco, i listini azionari hanno vissuto un parziale recupero delle perdite subite la scorsa ottava, e il contributo delle “Magnifiche 7” (cui aggiungiamo AMD e ancora Broadcom) è stato positivo :
I titoli del settore dei Semiconduttori hanno visto un rimbalzo delle quotazioni, con la citata Broadcom che continua a sovraperformare gli indici di settore (vedi anche in merito il focus iniziale sulle aziende Communication Services); ma nelle ultime sedute abbiamo assistito ad un tentativo di rotazione settoriale che spesso avviene a cavallo di fine ed inizio anno : il miglior comparto, sia in Europa (+2,43%) che in Usa (+0,69%), è stato l’Healthcare, che aveva segnato il passo rispetto ai listini principali nel corso dell’anno. Geograficamente parlando, annoveriamo il superamento di quota 40.000 dell’indice Nikkei, sull’onda dell’indebolirsi delle prospettive di un rialzo del costo del denaro in Giappone; e anche sotto l’aspetto geografico vi è stata rotazione tra i listini nordamericani e quelli europei.
I rendimenti obbligazionari sono saliti ancora e in Usa il decennale è arrivato a superare il 4,60%, continuando nel lavoro di “irripidimento” della curva, la cui forma è ora ben diversa da quella presentata ad inizio anno, e di riflesso anche in Europa (Bund tedeschi):
Le differenze di rendimento all’aumentare delle scadenze principali sono quasi identici (coincidenti tra 2 e 10 anni, 0,30 in entrambi i casi):
Il termine “Slope” traduce la pendenza delle rispettive curve; e il fatto che le rispettive banche centrali siano di fronte a scenari economici molto diversi e di conseguenza a prospettive di politica monetaria divergenti non ha influenza particolare se non nell’ovvio differenziale dei rendimenti. A trainare il comparto (sia in positivo che in negativo) sono sempre i titoli del settore pubblico statunitense; nel panorama globale ci sono però importanti eccezioni, come l’andamento dei titoli governativi di Pechino che da inizio dicembre rendono sulla scadenza decennale meno del 2% (1,70% alla chiusura di venerdì scorso), livelli che non si vedevano sugli schermi da più di 20 anni. Curiosa, ma nemmeno troppo, la simmetria tra gli andamenti di Washington e della Cina: da inizio anno il rendimento del Treasury a 10 anni è salito di 76 bps, quello dei governativi del Dragone è sceso invece di 82 bps, una misura quasi identica in assoluto ma dal segno opposto.
E anche stavolta l’aumento dei rendimenti Usa ha favorito il Dollaro, che se è rimasto in “stand-by” contro Euro in area 1,04 o poco sopra, contro il paniere delle principali divise così come calcolato dal “Dollar Index” ha raggiunto quota 108: se escludiamo l’autunno del 2022 quando le banche centrali facevano a gara nel rialzare i tassi ufficiali, quello attuale è il livello più alto dal 2002. L’effetto Dollaro ha inciso negativamente sulle divise emergenti, in primis il Real Brasiliano (-2,24% rispetto al cambio BCE contro Euro di sette giorni fa) e il Rand Sudafricano (-2,17%); la modifica delle attese sui tassi giapponesi cui abbiamo accennato sopra ha poi penalizzato lo Yen, ormai incamminato verso la quota di 160 contro USD da molti indicata come “last resort”, o se preferite “ultima spiaggia”, che potrebbe provocare l’intervento a difesa della moneta da parte della Bank of Japan, i cui vertici hanno fatto coro con i rappresentanti del Governo locale nel significare la comune preoccupazione per gli “eccessivi movimenti sul mercato forex di origine speculativa” , ai quali si riservano di opporre le “opportune contromisure”, un canto dell’assiuolo di Pascoliana memoria cui gli operatori del settore sono ormai abituati da tempo.
Invece sul fronte delle Commodities all’aumento di valore del biglietto verde è corrisposto un ritorno del Petrolio WTI oltre quota 70, interrompendo un attimo quel ritorno alla correlazione negativa tra divisa e Oil susseguita al risultato delle elezioni Usa : torniamo tra poco sull’argomento; è invece scemato un po’ l’entusiasmo sulle quotazioni del Gas naturale sulla scorta di previsioni meteo meno “invernali” del previsto per la prossima settimana in Nordamerica, con le conseguenti attese di minore domanda di elettricità per riscaldamento di abitazioni ed uffici: intendiamoci, stiamo comunque stornando dai massimi dell’anno, e il 2024 per il Gas si avvia ad una chiusura intorno a +20%. Ma parlando anche qui di “rotazione”, qualcuno si deve essere ricordato che le materie prime Agricole erano vicine ai minimi e quindi, Grano in testa (+2,77%) è arrivato un recupero; relativamente stabile invece l’Oro, che sta mantenendosi sopra quota 2600 dollari oncia, livello considerato di supporto, con una volatilità delle quotazioni (14,49%) non di molto inferiore a quella del principale indice azionario Usa S&P500 (15,9%).
Per concludere, si era accennato al cambio di scenario seguìto all’esito delle elezioni presidenziali Usa: se confrontiamo l’andamento delle correlazioni tra diverse asset class e in particolare quelle con protagonista il Dollaro Usa, il “punto di svolta” di inizio novembre è quanto mai evidente:
In particolare, il ritorno alla correlazione negativa tra Dollaro e Petrolio (stabilizzatasi nelle ultime sedute) e tra Indici Azionari e Obbligazioni Governative sembra un ritorno al classico, ma anche il ritrovato allineamento positivo degli andamenti di divisa Usa e indice S&P500 delineano tutti insieme, con la loro coincidenza di data con l’esito elettorale come da grafico, un mutamento di scenario che probabilmente non sarà un fatuo “facite ammuina” di Borbonica memoria, ma che anzi promette un 2025 con fuochi d’artificio sui mercati, che proseguiranno ben oltre la mezzanotte del 31 dicembre prossimo.
A proposito, Buon Anno Nuovo a tutti voi lettori!
Concludiamo con il nostro consueto indicatore: dopo aver raggiunto quota 75 a metà settimana, è ritornato in area neutrale, dove aveva chiuso lo scorso venerdì.
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