Burnout, quando la corsa fa male…

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“La corsa mi stressa”. Come è possibile? Due parole in antitesi, CORSA e STRESS: lo sport da amatori si pratica per stare bene, per migliorare la nostra salute, per alleggerire la mente. È quindi possibile andare in burnout a causa della corsa? La risposta è sì. la nostra esperta Carlotta Montanera ci spiega perché.

Di Carlotta Montanera (runningcharlotte.org | IG: @runningcharlotte)
foto: courtesy Under Armour

Una situazione abbastanza frequente

Il burnout è spesso sottovalutato. Attenzione, però, perché avviene raramente in parallelo con una situazione di sovrallenamento, o quantomeno le due condizioni sono indipendenti.
Questo significa che si può andare in burnout anche se ci si allena correttamente, il che lo rende una condizione possibile per tutti.

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Il burnout del runner

Come si manifesta? E soprattutto, perché può essere comune? Noi runner mettiamo molte energie negli allenamenti, carichiamo di aspettative ogni allenamento, ci concentriamo sull’obiettivo.
Un processo sano, questo, che denota tenacia e carattere. Solo se però non varchiamo il confine dell’ossessione. L’emozione che, più di ogni altra, rappresenta un chiaro sintomo è proprio l’ossessività. La differenza tra passione e ossessione talvolta segna però un confine labile.

Il caso di Lucia

Maratoneta amatoriale con buoni risultati, un crono sotto le 3h15’, all’attivo un’esperienza più che decennale. Sono mesi che Lucia avverte dolori vari, ma non molla: ha un obiettivo ambizioso, una maratona sotto le 3h10’. Io da allenatrice so che è nelle sue possibilità, ma sono preoccupata per il dolore, tra schiena e gluteo. Le consiglio di fermarsi, e qualche giorno si ferma, ma poi il desiderio di arrivare all’obiettivo prende il comando. Come sua coach vedo gli allenamenti e noto che sono sempre presenti, talvolta anche più del dovuto. La capisco, il sogno è grande e non è da lei arrendersi, è una donna forte, metodica, ambiziosa. Mi scrive sempre meno, ho sempre meno feedback, percepisco il lato oscuro di questo frangente avvolgere i suoi passi. Fino alla maratona. Quel giorno non si fa sentire fino a sera e solo perché le chiedo io, più volte, un resoconto.

Le parole di Lucia

“Ho pianto al traguardo di rabbia e delusione provando fastidio nel mettere la medaglia al collo. Non è cosi che un amatore può vivere una gara andata male. La corsa deve essere un valore aggiunto, io ne ho fatto lo scopo delle mie giornate. Mi fermo. Non voglio sentir parlare di allenamenti per un po’. Voglio uscire a correre solo se mi va, solo dopo aver prima dedicato il tempo alle tante cose che da troppo non metto più al primo posto, dove meritano di stare. Non posso permettere che la mia passione più grande si trasformi in incubo.”

L’analisi fatta a caldo da Lucia è molto lucida. Consapevole. Lucia sente il fallimento, ma in realtà non sa che è solo umana!

Il caso di Marco

Marco si è allenato tutta l’estate, tra trail, bici e corsa. La sua performance è migliorata nettamente, ha anche visitato una nutrizionista, fatto analisi, controllato i valori. In questo momento è all’apice, non è mai stato così veloce e non si è mai sentito così bene. Devo mettere a posto i suoi valori sulla piattaforma di coaching perché è migliorato troppo velocemente. Non passa giorno che non si alleni, con dedizione. Ha iniziato anche un percorso formativo per diventare coach, segue i bimbi della sua società podistica. La corsa occupa la sua vita. Incastra orari, impegni, priorità. Fa tutto, lavora, mantiene unita la famiglia, si allena. Tutto è perfetto. Poi arriva la data della gara. Nei primi km il GPS impazzisce e lui sbaglia completamente il ritmo, va troppo forte, perde la connessione con se stesso. Finisce stravolto, arrabbiato, con 15’ in più sull’obiettivo. Il giorno dopo mi scrive e interrompe il programma di allenamento. Le emozioni lo hanno sopraffatto, ha passato il limite. Lo sa e interrompe perché non sente altro che il fallimento della gara, perché si rende conto che tutto è esploso.

La passione che diventa “obbligo”

Questi sono due casi di burnout molto chiari. In entrambi, gli atleti erano nei range di carico corretti, erano in forma, avevano le carte in regola per allenarsi con profitto. Quello che è accaduto infatti ha poco a che vedere con l’allenamento.
In tutte e due le situazioni a scatenare la reazione di rigetto è stata una gara, ma ciò che ha reso la situazione pericolosa è l’antefatto. La disconnessione dalle esigenze reali del corpo, la rivoluzione dell’ordine di priorità della vita, la passione che diventa “obbligo”. Il non riuscire a divertirsi più nella corsa, il provare rabbia. Ma anche l’eccessivo entusiasmo, la voglia di strafare. Il burnout spesso si manifesta proprio con un desiderio di fare che pervade ogni angolo della vita, che si trasforma in una scioccante mancanza di voglia nella fase successiva.
Noia, stanchezza, fino a diventare rabbia quando l’obiettivo viene mancato. Questa situazione richiede solitamente dalle 4 alle 8 settimane per essere risollevata, ma alle volte anche di più.

Burnout, come uscirne?

Le strategie per prevenire il burnout e uscirne non sono molte e la più efficace è proprio quella di fermarsi. È infatti indispensabile rimettere ordine, abbandonando l’ossessione.

L’allenamento deve tornare al suo posto e cioè quello di quella cosa che ci fa stare bene, che funge da booster per il nostro benessere.

In questo quadro le tabelle devono essere momentaneamente accantonate e sostituite da eventuali corse libere, o da altre attività piacevoli che possano scaricare la mente. È fondamentale ritrovare il desiderio della corsa, sentirne la mancanza, riprendere le priorità. E questo non è compatibile con un piano d’allenamento, ma solo con la libertà.

Stanchezza mentale e poi…

Una delle strategie migliori per non cadere in questa situazione è proprio quella di sospendere tabelle e accantonare obiettivi per qualche tempo appena si sente la situazione di stanchezza mentale che precede il burnout. Questo non significa mollare gli allenamenti quando non si ha tanta voglia, impigrendosi, ma concedersi una vacanza mentale per ripensare il nostro rapporto con la corsa e lo sport, peraltro molto efficace anche per attivare la famosa “supercompensazione” tanto decantata…. ma questo è un altro discorso, da affrontare in un altro articolo.

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