Prezzo latte: dalle stalle alle stelle

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Parmigiano anche a 30 euro e burro a 14: la tavola diventa una gioielleria

Un litro di latte scremato a lunga conservazione, nei supermercati italiani, costa in media 1,28 euro, con prezzi che variano da un minimo di 0,79 euro a un massimo di 2,09 euro. Lo evidenzia l’ultima rilevazione di novembre 2024 dell’Osservatorio Prezzi e Tariffe del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, che monitora i beni di largo consumo per la spesa quotidiana. Questo alimento, presenza fissa nella colazione della maggior parte delle famiglie italiane, resta una delle principali voci nel carrello della spesa dei consumatori italiani. E chi ha difficoltà a digerire il lattosio deve fare i conti con un costo ancora maggiore: il latte alta digeribilità ha un prezzo medio di 2,30 euro al litro, con oscillazioni tra 2,13 euro e 2,42 euro, rendendolo un’opzione più costosa rispetto al latte tradizionale.

Prezzo latte, quanto incide sulla nostra colazione

Se il latte da solo non basta, quanto costa far colazione in Italia? Dal burro allo yogurt, ecco cosa si deve mettere in conto per iniziare la giornata con più gusto. Il burro ha un prezzo medio di 14,21 euro al chilogrammo, ma può costare tra 8,85 euro e 27,12 euro, a seconda del supermercato. Per lo yogurt, una confezione da 125 grammi ha un prezzo medio di 0,42 euro, con cifre che vanno da un minimo di 0,25 euro a un massimo di 0,81 euro.

Il parmigiano reggiano è sempre più un lusso per molti italiani: a 30 euro al chilo sembra quasi di parlare di un prodotto da gioielleria. Il parmigiano reggiano, tanto amato dagli italiani per condire anche la pasta e le zuppe, costa infatti in media 23,42 euro al chilogrammo, con un minimo di 19,90 euro e un massimo appunto di 30 euro. Il fior di latte, la mozzarella regina della pizza, ha un prezzo medio invece di 8,38 euro al chilogrammo, mentre lo stracchino, ideale per spuntini o cene leggere, costa in media 11,32 euro al chilogrammo, oscillando tra 5,98 e 14,95 euro.

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Prezzo latte, come incide sui formaggi e i derivati

Nel carrello della spesa, il latte è una presenza immancabile, ma sono soprattutto i formaggi a occupare la maggior parte dello spazio. Come si può vedere anche dal grafico dinamico ecco cosa comprano gli italiani: nel 2023 il latte fresco ha rappresentato il 6% della spesa alimentare complessiva, mentre il latte UHT pesa per il 14%. I formaggi freschi occupano il primo posto con il 19%, seguiti dai formaggi molli al 10% e dai formaggi duri con una quota del 19%. Lo yogurt si attesta al 12%, mentre il burro rappresenta solo il 3% della spesa, secondo i dati elaborati da Ismea su base NielsenIQ Panel Consumer.

Ogni anno comunque la spesa pesa di più: i prezzi volano e i carrelli sono sempre più desolatamente vuoti. Dal 2019 al 2023, i prezzi al consumo alimentare sono aumentati costantemente: +2,6% nel 2020, +1,8% nel 2021, +11,4% nel 2022 e +9,8% nel 2023. La spesa alimentare ha registrato variazioni simili, con incrementi del 5,8% nel 2020, +8,9% nel 2022 e +8,2% nel 2023, mentre i volumi di acquisto sono diminuiti del 5,1% nel 2020, -3,4% nel 2021 e -0,5% nel 2023.

Consumi in picchiata: latte e burro si sono sciolti nel 2024

Nel 2024 volumi e spesa sono stati come burro al sole. Nei primi otto mesi del 2024, i consumi in Italia di latte e derivati hanno registrato un calo sia nei volumi (-0,9%) sia nella spesa complessiva (-1,7%) rispetto allo stesso periodo del 2023. Lo evidenziano i dati elaborati da Ismea su base NielsenIQ Panel Consumer. In particolare, il latte fresco ha subito la contrazione più marcata, con un calo del 7% nei volumi e dell’8,2% nella spesa. Anche il burro ha registrato un calo significativo, con una diminuzione dell’1,7% nei volumi e del 6,9% nella spesa.

In mezzo a rincari e rinunce, c’è chi conquista quote di mercato: yogurt e formaggi freschi provano a distinguersi nel carrello. In controtendenza, alcuni prodotti hanno mostrato segnali di crescita. Lo yogurt ha visto un incremento del 4% nei volumi e del 4,1% nella spesa, mentre i formaggi freschi sono aumentati dell’1,6% nei volumi. I formaggi industriali hanno registrato una crescita del 2,7% nei volumi e dello 0,6% nella spesa.

Dove tutto inizia: ecco il prezzo alla stalla

Dalle stalle alle stelle dei prezzi. Il prezzo alla stalla è il valore riconosciuto agli allevatori per ogni litro di latte crudo prodotto. Questo dato, apparentemente tecnico, è in realtà il fulcro dell’intero settore lattiero-caseario: da esso dipendono i margini di guadagno degli allevatori, il costo dei latticini sugli scaffali e la competitività delle imprese italiane sul mercato. Nel 2023, in Italia, questo prezzo è stato fissato a 52,8 euro ogni 100 litri, esclusi eventuali premi, segnando un aumento del 4,2% rispetto all’anno precedente.

Guardando nel dettaglio i dati Ismea, a gennaio 2023, il prezzo del latte alla stalla era di 55,34 euro, scendendo fino a 49,76 euro a luglio, per poi risalire a 52,85 euro a dicembre. Nei primi mesi del 2024, i prezzi si sono stabilizzati intorno ai 50 euro per 100 litri, con una possibile ripresa prevista per l’estate. E che questo indicatore sia importante lo dimostra un altro dato significativo: circa il 50% del latte italiano è destinato alla produzione di formaggi DOP (Denominazione di Origine Protetta) e IGP (Indicazione Geografica Protetta), che garantiscono qualità e origine controllata.

Il latte è la “benzina” dell’agroalimentare italiano

Il latte è senza dubbio la “benzina” dell’agroalimentare italiano, e i numeri lo dimostrano. Secondo Istat, la fase agricola della filiera lattiero-casearia ha generato 6,5 miliardi di euro nel 2023, pari al 10% del valore agricolo nazionale, con un incremento del 4% rispetto al 2022. Il latte di mucca domina la scena, mentre quello di capra e pecora incide appena per l’1%. A questi si aggiunge la fase di trasformazione, che ha registrato un fatturato di 18,5 miliardi di euro (+3,5%) e rappresenta il 9,5% dell’industria agroalimentare italiana, come indicano i dati Federalimentare.

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Nel 2023, la produzione nazionale di latte in Italia ha raggiunto 13,578 milioni di tonnellate, in calo rispetto agli anni precedenti. Un calo che conferma di riflesso una forte dipendenza dalle importazioni estere: circa il 20% del fabbisogno nazionale è coperto da latte sfuso, semilavorati e formaggi importati dall’estero, per un totale di 9,063 milioni di tonnellate. Nonostante ciò, il grado di autoapprovvigionamento si è attestato all’80%, ritornando ai livelli del 2019.

Latte, le regioni del Nord quelle più munte

Nel 2023, la produzione di latte di mucca in Italia è stata pari a 12,856 milioni di tonnellate, segnando un calo dell’1,3% rispetto al 2022, ma restando superiore del 6% rispetto a cinque anni fa. Secondo i dati elaborati da Ismea su base Agea, questa diminuzione conferma una tendenza legata alle difficoltà del settore, tra cui costi di produzione più alti e una domanda interna in flessione.

Le regioni del Nord sono quelle dove si munge di più. In Italia, il latte parla decisamente con accento del Nord. Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte producono oltre l’80% del totale, con la Lombardia che da sola sfiora la metà della produzione nazionale, raggiungendo il 47%.

 

I dati si riferiscono al: 2023 e 2024
Fonte: Osservatorio Prezzi e Tariffe, Ismea
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