Rischiamo di avere troppi satelliti in orbita: è urgente occuparsi di ecologia dello spazio

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Il 16 gennaio scorso le immagini di quella che sembrava una spettacolare cascata di stelle cadenti nei cieli dei Caraibi hanno invaso social, siti e poi tutti i media. Si trattava in realtà della ricaduta verso terra dei detriti fiammeggianti dell’astronave Starship di SpaceX – l’azienda di voli spaziali di Elon Musk – esplosa pochi minuti dopo il decollo dalla base di Boca Chica, in Texas. Elon Musk stesso ha pubblicato un video dell’incidente sul suo social X, commentando: «Il successo è incerto, l’intrattenimento garantito».

La Federal Aviation Administration, l’agenzia federale che regola i voli commerciali negli Usa, ha annunciato da parte sua di avere rallentato e deviato gli aerei intorno all’area dell’incidente per motivi di sicurezza.

Per coincidenza, questa notizia è arrivata proprio nel momento in cui terminavo di leggere un libro uscito da poco per Hoepli: Ecologia spaziale – Dalla Terra alla Luna a Marte, di Patrizia Caraveo (154 pp, 17,90 euro). Una lettura che permette di contestualizzare l’incidente di Starlink in un panorama molto più ampio. E molto più serio di una questione di semplice “intrattenimento”. L’autrice, astrofisica italiana di fama internazionale, in questo saggio scorrevole, documentatissimo e molto appassionante richiama l’attenzione su un problema emergente: i pericoli – per l’uomo e per l’ambiente – legati ai lanci e soprattutto alla presenza sempre più massiccia e in rapida crescita di satelliti e altri oggetti orbitanti nello spazio che circonda la Terra.

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Aumentati a dismisura negli anni più recenti, in seguito all’esplosione della space economy e alla conseguente impennata dei satelliti utilizzati da aziende private per motivi commerciali, si contano ormai a decine di migliaia gli oggetti che orbitano intorno a noi, creando con le loro rotte che si intersecano un fitto reticolo che avvolge il Pianeta. Muovendosi in uno spazio che formalmente non appartiene a nessuno, dove non esistono regole globalmente condivise né tantomeno legislazioni vincolanti. Tutto questo ormai pone seri problemi: di sicurezza, di sostenibilità, di salvaguardia dell’ambiente. E, avverte Caraveo, è urgente occuparsene.

Anche lo spazio circumterrestre è da preservare

Da dove iniziare, dovendo parlare dei pericoli legati all’inquinamento dello spazio? Da un’immagine che è cara a chiunque si sia un po’ occupato di astronomia, anche da dilettante: quella del famoso pale blue dot, il “puntino azzurro pallido”, come appare la Terra fotografata nel 1990 dalla sonda Voyager 1 da una distanza di sei miliardi di chilometri. Caraveo parte proprio da qui, per sottolineare il profondo legame tra spazio ed ecologia: da quella immagine nacque infatti la celebre riflessione di Carl Sagan (promotore di quello scatto) sulla fragilità e unicità del nostro piccolo punto pallido nello spazio, l’unica casa che abbiamo, che è necessario “preservare e proteggere”. Un invito che ha dato un impulso importante al pensiero ecologista.

Ma che cosa sta succedendo nel vuoto dello spazio, oggi? Paradossalmente, che lo spazio circumterrestre (ovvero da 100 km sopra la superficie della Terra) non solo non è più vuoto, ma rischia addirittura di diventare sovraffollato. Elencando molto precisamente i dati, Caraveo ci mostra che la quantità di satelliti in orbita intorno alla Terra sta aumentando vertiginosamente: il 25 settembre 2024 sono stati censiti 10.326 satelliti attivi (senza contare che comunque continuano a orbitare intorno a noi anche quelli che cessano di funzionare e che nel momento in cui scrivo il numero è sicuramente già aumentato, data la frequenza di lanci).

Ma il problema non è tanto il numero attuale, quanto l’impennata che ha avuto il lancio dei satelliti nello spazio a partire dal 2015. «Mentre per circa mezzo secolo, grossomodo da metà degli anni 60 al 2015, il numero di satelliti lanciati ogni anno, pur con variazioni, si aggirava intorno alle 200 unità, dopo il 2015 si nota un deciso aumento che poi diventa una crescita vertiginosa tanto che nel corso del 2023 sono stati lanciati circa 2.600 satelliti, oltre 2.000 dei quali con bandiera americana».

A che cosa servono, tutti questi satelliti? Caraveo mostra che l’aumento vertiginoso del loro numero è legato interamente all’esplosione di satelliti commerciali, lanciati in orbita per fornire servizi che poi vengono venduti. La parte del leone, in questa attività, la fa la rete Starlink di Elon Musk, che «al 15 giugno 2024 conta già 6.086 satelliti in orbita e si propone di arrivare a breve ad averne 12.000, con una possibile estensione di altri 30.000». A questi, che Elon Musk progetta di aumentare ulteriormente in futuro, bisogna aggiungere i satelliti lanciati da altre compagnie (Amazon, Samsung, Boeing), nonché da altri Paesi come Russia e Cina (qui è stato già lanciato il primo lotto dei 15.000 satelliti per il progetto “Mille vele”).

A conti fatti, conclude Caraveo, si può prevedere di arrivare facilmente al numero di 100.000 satelliti in orbita nei prossimi anni, solo per il servizio Internet. Caraveo non sottovaluta di certo i vantaggi di questi straordinari avanzamenti tecnici e scientifici: al contrario, li spiega con estrema competenza e chiarezza, aiutando il lettore a farsi un’idea più chiara su un ambito di cui si sente molto parlare, ma che non sempre è facile cogliere nella sua complicazione e vastità. Per esempio Caraveo illustra molto chiaramente e sottolinea la straordinaria efficienza tecnica di Space X nei lanci, l’innovatività del nuovo sistema di recupero e riutilizzo del primo stadio dei razzi, l’utilità dei servizi di connessione consentiti dalla rete Starlink, che può portare Internet nelle località più sperdute di tutto il globo, anche nel cuore della foresta amazzonica.

E tuttavia l’autrice non scorda di delineare anche i pericoli legati all’enorme potere legato a questo, che è ormai un vero e proprio monopolio spaziale: e lo si è visto quando Elon Musk ha potuto dimostrare la valenza strategica del servizio di internet orbitale dei suoi Starlink in occasione della guerra in Ucraina. Commenta Caraveo: «Quando un uomo solo può decidere di chiudere l’accesso a Starlink per un cliente o un paese e, se volesse, potrebbe avere la capacità di sfruttare le informazioni sensibili raccolte dal servizio, è il caso di porsi qualche domanda». Anche e soprattutto considerando che Elon Musk non fa nulla di illegale.

Danni all’ambiente in tutte le fasi: lancio, orbita e rientro

In primo luogo Caraveo, di fronte a un cielo sempre più fittamente solcato da satelliti, confessa (durante una presentazione del libro tenuta recentemente alla Fondazione Bracco di Milano) che “la mia anima di astronoma si ribella”: gli astrofisici soffrono di questa occupazione del cielo, perché i satelliti diventano una ulteriore fonte di inquinamento luminoso che ostacola le osservazioni. Ma questa è solo una piccola parte del problema. Infatti, spiega Caraveo, i satelliti creano problemi ambientali in tutte e tre le fasi della loro vita: il lancio, l’uso, il rientro.

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Al momento del lancio, c’è ovviamente da considerare il disturbo arrecato alla gestione dello spazio aereo e talvolta marittimo, l’inquinamento ambientale legato alle manovre di lancio (incendi, esplosioni, perdite di combustibile, gas di scarico dei razzi nell’aria), a cui si aggiunge il preoccupante scarico di gas nella stratosfera, la fascia atmosferica che ospita lo strato di ozono, elemento estremamente sensibile ai cambiamenti. Caraveo ricorda che i gas di scarico dei razzi contengono ossidi di azoto e cloro, in grado di reagire con l’ozono, distruggendolo e assottigliando lo strato di questo gas così importante per proteggerci dalle radiazioni ultraviolette del sole. «Il Protocollo di Montreal, che ha fissato con successo limiti sulle sostanze chimiche note per danneggiare lo strato di ozono, non affronta le emissioni dei razzi o dei satelliti per l’ottimo motivo che nel 1987, quando il documento è stato approvato, il numero di lanci era molto più modesto di oggi e questo problema non si poneva». Ma se si parla di avere in orbita 100.000 satelliti, con una vita orbitale di 5-10 anni, dovranno essere lanciati in orbita 10.000 satelliti all’anno, avverte Caraveo. E conclude: «Meglio valutare accuratamente il problema adesso per cercare di limitare le conseguenze ambientali della nuova corsa allo spazio».

Ci sono poi molti problemi legati al sovraffollamento in orbita. Aggiungendo ai satelliti attivi quelli fuori uso (perché guasti, spenti o per alti motivi), si può calcolare oggi la presenza in orbita di circa 29.000 oggetti. Tenendo conto che alcune orbite sono particolarmente richieste (e Caraveo ne spiega molto bene i motivi), secondo l’autrice «si prospetta un futuro con orbite trafficatissime, cosa che, tra l’altro, amplifica la possibilità di collisioni tra satelliti, con effetti a catena a dir poco preoccupanti. Infatti, in caso di collisione, si formerà una nube di detriti che continuerà a percorrere la stessa orbita del satellite originale moltiplicando la probabilità di altri impatti». E già oggi si parla di “spazzatura spaziale”: migliaia di tonnellate orbitanti costituite da satelliti fuori uso, razzi vettori rimasti in orbita, bulloni esplosivi, attrezzi persi dagli astronauti impegnati nei lavori di manutenzione della ISS, pezzi di satelliti esplosi in modo accidentale o voluto. Non per caso i satelliti di Starlink sono obbligati ad effettuare sempre più frequentemente manovre anti-collisioni: «Con il numero di manovre anti-collisioni che sembra raddoppiare ogni sei mesi, se le tendenze attuali continueranno, i satelliti Starlink dovranno eseguire circa un milione di manovre ogni sei mesi entro il 2028».

Ma anche il rientro fiammeggiante dei satelliti distrutti dall’attrito nell’atmosfera comporta rischi per l’ambiente: oltre ai pericoli concreti legati alla caduta al suolo di pezzi non completamente consumati – evento raro, ma in aumento, proporzionalmente all’aumento dei satelliti che passano sopra le nostre teste, anche perché alcuni detriti hanno dimensioni tali che non riescono a consumarsi completamente – c’è l’inquinamento legato al materiale surriscaldato, che si trasforma in gas e polvere tossica destinati a restare in sospensione nell’atmosfera.

L’ecologia della Luna, di Marte e degli altri Pianeti

Una parte molto interessante del saggio è dedicata a problemi di ecologia relativi alla esplorazione spaziale. Anche per quanto riguarda la Luna si è aperta l’era dello sfruttamento commerciale, esattamente come è già successo per lo spazio circumterrestre, e questo significa che il traffico lunare è in crescendo: il 23 febbraio 2024 è allunata la prima missione privata americana, nella regione strategica del Polo Sud, ambitissima per la presenza di ghiaccio che apre scenari interessanti, oltre che per le ricerche scientifiche, per le future colonie umane e per il business spaziale. Caraveo ricorda che è cruciale, a questo punto, considerare l’impatto di qualsiasi attività sull’ambiente lunare: e racconta l’impatto che già hanno avuto le missioni precedenti. E lo stesso vale per l’esplorazione di Marte, con tutte le sue incognite. Il saggio dedica un capitolo alla “difesa planetaria”, allargando questa visione alle interazioni tra l’ambiente terrestre e gli altri corpi del sistema solare, tra cui includendo la dimensione biologica: ovvero gli sforzi necessari a evitare di contaminare con organismi terrestri i corpi celesti che visitiamo e, viceversa, premunirci perché campioni di materiale extraterrestre non contaminino il nostro mondo.

Caraveo racconta il nascere di queste attenzioni a partire dal programma Apollo, inclusa la storia – a tratti francamente divertente – dei campioni lunari, finiti a volte come omaggi a capi di stato in visita negli Usa, a volte addirittura rubati e venduti all’asta, come è successo alla borsa con la scritta Lunar Sample Return usata da Neil Armstrong in persona per raccogliere i campioni di rocce lunari.

Verso uno spazio sostenibile

Chiaro, preciso e anche coinvolgente al punto da risultare più appassionante che preoccupante – nonostante la materia di preoccupazione non manchi certo – il saggio si conclude con una serie di proposte per limitare gli impatti negativi legati ai rapidi sviluppi tecnologici legati allo spazio: inquinamento luminoso, pericolo di collisioni, deposito di gas tossici nell’atmosfera, rischio di incidenti causati da detriti in caduta libera. Come sostiene Caraveo, sappiamo che cosa si deve fare. Il problema è decidersi a farlo. E, soprattutto, stabilire a carico di chi caricare i costi economici di queste operazioni.

Lo spazio è una risorsa liberamente disponibile, ma non infinita: sta evidentemente alle autorità politiche regolamentarne l’uso in modo da garantire la sicurezza collettiva. Un primo segno di consapevolezza sul tema, segnala l’autrice, si può rintracciare nella dichiarazione dei leader del G7 a Carbis Bay, in Cornovaglia, nel 2021, in cui i delegati di Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, USA, Regno Unito e UE si sono impegnati ad agire per affrontare il crescente pericolo dei detriti spaziali. Nella dichiarazione tra l’altro ci si impegna a un uso sicuro e sostenibile dello spazio; a intensificare gli sforzi per un’azione comune di tutte le nazioni; a accogliere e incoraggiare la rimozione dei detriti spaziali; e si chiede a tutte le nazioni di lavorare insieme per preservare l’ambiente spaziale. Tuttavia, ad oggi non è seguita alcuna azione collettiva.

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Una proposta per realizzare un sistema di valutazione della sostenibilità spaziale è stata realizzata dal World Economic Forum in collaborazione con l’Agenzia spaziale europea e altri enti scientifici: si tratta dello Space Sustainability Rating (SSR), rivolto agli operatori dei servizi satellitari, ai fornitori di servizi di lancio e ai produttori di satelliti, che possono far valutare il loro operato, ottenendo una sorta di voto basato sulla sostenibilità; secondo l’autrice è un ottimo punto di partenza, che potrebbe innescare un fenomeno di emulazione virtuosa nella filiera dello spazio. Tuttavia, la buona volontà non sempre è sufficiente e il tempo stringe. Servono misure e incentivi normativi e politici, a livello nazionale e internazionale.

La prima regola, secondo Caraveo, dovrebbe essere che tutti gli operatori evitino di produrre detriti spaziali, attraverso una programmazione e gestione dei satelliti orientata in questo senso: finora le agenzie spaziali lo hanno fatto, a titolo volontario. Ma dato che progettare e gestire i satelliti in modo che non diventino rifiuti – per non parlare del ritiro di quelli che già lo sono diventati –  implica un aumento dei costi, disincentivo inevitabile per le società commerciali, sarebbe necessaria una space law condivisa, che individui regole vincolanti per tutti gli operatori. Caraveo cita alcune norme in questo senso poste dalla Federal Communications Commission USA prima di rilasciare autorizzazioni ai lanci: ma non sono riconosciute internazionalmente.

Deorbitazione di satelliti non più funzionanti, manutenzione di quelli in orbita, stazioni di rifornimento orbitali: sono tutte possibilità che possono aumentare la sostenibilità dell’attività nello spazio. Ma in assenza di regole vincolanti e globali è ben difficile pensare che il mondo commerciale si orienti spontaneamente in questo senso nei tempi necessari. In sostanza, conclude Caraveo, per la politica è tempo di agire. «La proliferazione delle costellazioni di satelliti offre un ottimo esempio della tensione tra l’innovazione e le sue conseguenze, richiedendo una politica spaziale e un sistema di governance adattabile all’evoluzione delle attività spaziali e ai loro impatti previsti. Occorre applicare allo spazio le lezioni che abbiamo imparato sulla Terra».

In appendice, il volume è arricchito ulteriormente da un’utile rassegna dei trattati ONU, accordi internazionali e leggi nazionali riguardanti lo spazio e da una serie di letture consigliate per chi desideri approfondire l’argomento.





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