Il tema della pace è oggi sentito in maniera molto pressante, soprattutto da parte di coloro che ne soffrono le conseguenze drammatiche, meno da parte di chi in Occidente pensa di non esserne colpito perché le guerre si stanno svolgendo a migliaia di chilometri di distanza e le negatività economiche che arrivano sono ben assorbite dagli alti livelli di reddito acquisiti.
>Parlare di pace può diventare un esercizio retorico legato alla geopolitica oppure essere un confronto che mette a tema i punti di riferimento della vita personale e collettiva. Un grande contributo ci viene dal messaggio di papa Francesco per la recente Giornata mondiale della pace che in primis richiama la responsabilità di ciascuno rispetto alla devastazione prodotta da una serie di azioni che alimentano la Terza guerra mondiale a pezzi. La lettura di questi conflitti è legata a “sfide sistemiche ed interconnesse” come la gestione delle emigrazioni di massa, il degrado ambientale, le colpe di una disinformazione voluta, il rigetto di ogni tipo di dialogo, i finanziamenti all’industria militare. Sfide che mettono in crisi il futuro dell’umanità e che non possono essere affrontati con saltuari atti filantropici, ma con un profondo cambiamento culturale.
La partita è tutta centrata pertanto su un cambiamento antropologico, sul prendere atto che il non riconoscere l’aspetto creaturale dell’uomo, il suo non farsi da solo, il suo essere dipendente da un Altro, divide gli uomini invece di unirli. Il non riconoscere questa evidenza di dipendenza comune tende a far prevalere la logica del più forte, dello sfruttamento dell’altro di cui la crisi del debito dei Paesi poveri è l’esemplificazione storica più attuale. Tale debito è uno strumento di controllo da parte di alcuni Governi e istituzioni private dei Paesi ricchi che porta a uno sfruttamento indiscriminato delle risorse che si associa al peso del debito ecologico che viene scaricato su di essi. Solo il riconoscere una dipendenza comune dal Creatore introduce la consapevolezza che siamo tutti debitori di un Altro che nell’esperienza cristiana è riconosciuto come misericordioso. Solo tale consapevolezza rende ragionevole e praticabile la via della remissione del debito e altre azioni che papa Francesco così sintetizza.
Propone, in primo luogo, una consistente riduzione, se non condono, del debito internazionale dei Paesi poveri riconoscendo così anche i costi del debito ecologico a cui sono stati sottoposti. Propone poi come architrave della nuova cultura il rispetto della vita umana dal concepimento sino alla morte naturale in modo che tutti possano guardare con speranza al proprio futuro. Infine, ribadisce la proposta che almeno una percentuale della spesa in armamenti per scopi difensivi sia devoluta per attività educative nei Paesi poveri volte a promuovere lo sviluppo sostenibile.
Invocare oggi la pace giusta nei vari conflitti in corso implica confrontarsi con l’ampiezza di questo sguardo sulla sfida che dobbiamo affrontare evitando così di utilizzare tale slogan solo per giustificare il perpetuarsi delle guerre in corso. Raccogliere queste proposte significa rendere praticabile una strada che porti alla vera pacificazione che nasce da “un cuore disarmato dall’ansia e dalla paura della guerra”.
Qualcuno potrebbe obiettare che stiamo parlando di utopie, ma occorre far presente che questa visione affronta realisticamente le sfide odierne senza censurare tutti gli aspetti implicati. Non avere questa visione opera una riduzione che rende impraticabili e soprattutto non credibili le varie proposte di costruzione di una pace duratura. Inoltre, questa visione non è un’elaborazione ideologica, ma la rappresentazione come giudizio storico di un mondo che esiste, che vive questa cultura, che è coinvolta fattivamente nel sostegno alle popolazioni colpite dalle guerre o dagli sfruttamenti. Papa Francesco, infatti, ci dice che “la pace non giunge solo con la fine della guerra, ma con l’inizio di un mondo nuovo, un mondo in cui ci scopriamo diversi, più uniti e più fratelli rispetto a quanto avremmo immaginato”.
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