Non è solo un sinonimo di guerra, indica quell’incontro anche aspro che avviene nelle società che permettono il dissenso
Dovremmo avere imparato a diffidare dalla superficialità con cui rischiamo di usare le parole. Molte di loro nascondono ricchezze che vale la pena di conoscere per esprimerci meglio e per rispettarle. Una di queste è senza dubbio conflitto.
Fragore delle armi. Il significato immediato di conflitto ci porta direttamente in una situazione di combattimento, di scontro fra armati, di prepotente contrasto. Ereditiamo questa parola dal verbo latino confligĕre, composto da cum e fligere, un “urtare contro” che si è rapidamente evoluto in “combattere”. E che ha ampliato il suo utilizzo nella nostra lingua per definire un contrasto, una opposizione. Eppure, quel verbo latino è molto più ricco di quanto sembra.
Prima sorpresa. Questo verbo confligo, della III coniugazione, si presenta intransitivo e transitivo e il significato cambia. Mentre l’intransitivo viene comunemente usato per urtare, combattere, lottare, quando è transitivo mantiene il significato di opporre, ma aggiunge quello importantissimo di confrontare. Perché il conflitto è senz’altro uno scontro, ma può essere anche un incontro. E porta nel cuore del suo significato non solo il contrasto di forze opposte, ma la discussione, la disputa. È una parola straordinaria perché ci insegna che, da versanti e posizioni opposte, non è obbligatorio spararsi addosso e ci spalanca le porte sul disaccordo, la divergenza, il dissenso.
Un po’ per abitudine. Vediamo che conflitto viene proposto come sinonimo di guerra ma abbiamo visto che questo è solo uno dei modi di usare questa parola che infatti entra in moltissime locuzioni per spiegare particolari situazioni. Ed è vero che quando leggiamo della Grande guerra 1914-1918, spesso la troviamo indicata come ”primo conflitto mondiale”. E usiamo “conflitto a fuoco” per descrivere una sparatoria. Ma proviamo ad andare oltre.
Senza proiettili. Anche senza entrare nei particolari del linguaggio giuridico che utilizza lo espressioni come “conflitto di competenza” o “conflitto di giurisdizione” per indicare contrasti nella definizione del giudice autorizzato a intervenire su una controversia, è molto usata nel linguaggio comune l’espressione “conflitto di interessi” che identifica una situazione in cui un interesse privato interferisce o può interferire con l’interesse generale della comunità.
Il sale della vita comune. Ma esiste una espressione, il conflitto sociale che fotografa esattamente il contrasto fra due gruppi della comunità per la conquista di migliori posizioni economiche sociali e politiche. La definizione può sembrare un po’ ampollosa, ma in realtà definisce uno dei fondamenti cardine della democrazia: quando esiste un conflitto, quindi una divergenza, su elementi essenziali dello stare insieme, nel nostro ordinamento esistono leggi precise che regolano come questa divergenza deve essere composta. Alla ricerca di una soluzione che risolva i temi sollevati dal conflitto. Quindi il conflitto è una condizione normale della vita sociale, ma solo in democrazia. Nei regimi autoritari non è permesso il conflitto perché è vietato il dissenso (è così oggi nelle autocrazie come la Russia, è stato così in Italia sotto il regime fascista) e quindi si concepisce solo la repressione di ogni opinione non allineata al potere.
Una definizione “sociale”. Il sociologo Mauro Magatti ha scritto la definizione di “conflitto sociale” per l’enciclopedia Treccani. Ne prendiamo un estratto: “Si può dire che il conflitto ha per scopo la soluzione di tensioni divergenti nei vari ambiti della vita sociale. Tali tensioni possono avere una pluralità di cause, sono assai frequenti e si riproducono continuamente. È la loro assenza, e non la loro presenza, che va considerata come una condizione straordinaria: la pluralità degli attori, la contrapposizione degli interessi, i diversi orientamenti culturali e valoriali, i differenziali di potere e di status, l’esistenza di confini di gruppo, sono tutti fattori che possono generare dei conflitti. Su queste basi si originano poi delle lotte – condotte in modi e con strumenti molto diversi – dirette ad acquisire prestigio, potere e risorse, e a neutralizzare, ferire o eliminare il rivale. Da questo punto di vista il conflitto sociale può essere interpretato come un effetto emergente delle relazioni e delle condizioni strutturali nelle quali si svolge la vita sociale. Una volta riconosciuto che il conflitto, così come il potere o la disuguaglianza, è un elemento costitutivo della vita sociale, la questione si sposta sulle sue forme e sulla sua intensità”.
Tracce storiche. Questa definizione di conflitto appartiene alla nostra modernità. Ed è figlia di conflitti molto aspri che hanno generato la nostra società. Le rivoluzioni prima di tutto. Quelle inglesi, cui dobbiamo l’affermarsi dell’inviolabilità della persona e la creazione degli organi di rappresentanza. Quella francese che ha fissato i criteri di uguaglianza travolgendo secoli di prevaricazioni. Quella americana, che ha sancito l’indipendenza dei popoli. Rivoluzioni violente concluse con l’uccisione dei Re, tranne quella americana che non ne aveva e la Gloriosa rivoluzione inglese, che si è guadagnata l’aggettivo “gloriosa” proprio perché conclusa senza spargimento di sangue. La nostra democrazia occidentale è figlia di queste rivoluzioni, cui dobbiamo la capacità di gestire i conflitti senza violenza, anzi rendendo il confronto anche aspro tra le componenti della società, un elemento qualificativo del nostro stare insieme.
Regolamentazione. Il conflitto si manifesta con proteste anche pubbliche, scioperi, cortei, pubblica manifestazione del dissenso. Che non può essere impedito. L’articolo 17 della Costituzione prevede che il diritto di riunione in luogo pubblico (una via, una piazza) possa essere limitato solo «per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica». Le limitazioni, ad hoc, e ovviamente temporanee, devono rispondere ai canoni della proporzionalità e della ragionevolezza. Più i meccanismi di controllo sono rigidi, minore è la possibilità che i conflitti sociali trovino una valvola di sfogo legittima. Ciò comporta un aumento del loro grado di intensità, che però non si manifesta necessariamente tramite il ricorso alla violenza fisica.
In conclusione. Il conflitto è essenziale alla democrazia e può esistere solo grazie alla democrazia. Negarlo, reprimerlo, renderlo faticoso e spingerlo alla violenza è tipico di chi la detesta e ama l’autoritarismo. Appena finita la Seconda guerra mondiale, Norberto Bobbio scriveva per il quotidiano del Partito d’Azione. In un suo articolo, pubblicato il 7 agosto 1945, definiva così la democrazia: «è quella forma di società statale in cui non si combattono i valori opposti come se fossero interessi inconciliabili, né si rispettano gli interessi antagonistici come se fossero valori intoccabili. Ma i valori si rispettano e gli interessi si combattono. E i valori si rispettano, appunto perché sono irraggiungibili, e gli interessi si combattono proprio perché sono violabili. Ma nel combatterli o nel violarli – si badi – la maggioranza che ha il potere non pretende di avere realizzato in terra il regno di Dio, o di non avere più altro da fare che contemplare l’eternità della meta raggiunta; e la minoranza continua ad avere la certezza di non aver rinunciato ai propri valori, solo perché ha dovuto sacrificare, in tutto o in parte, i propri interessi».
22 gennaio 2025 ( modifica il 22 gennaio 2025 | 09:22)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link