Vi proponiamo l’articolo di approfondimento che Francesco Belletti ha scritto sul primo numero dell’anno di “Vita Pastorale”, mettendo a tema i dati allarmanti di Istat e Caritas sulla povertà in Italia (Vita Pastorale numero 1, pag.26, 17 gennaio 2025).
È un numero che ci dovrebbe preoccupare: 8,4 è la percentuale di famiglie italiane che nel 2023, secondo i dati recentemente pubblicati dall’Istat, si trova sotto la soglia di povertà assoluta, cioè con un reddito inferiore al costo dei beni considerati indispensabili per vivere dignitosamente. Si tratta di due milioni e217mila famiglie che “non arrivano a fine mese”. Una famiglia ogni undici si trova in questa situazione. Dato allarmante, che mette in discussione l’intero assetto socio-economico e normativo del Paese. E che appare ancora più contraddittorio se si considera, come ricorda Istat, «…l’andamento positivo del mercato del lavoro nel 2023 (+2,1% di occupati in un anno), registrato anche nei due anni precedenti».
Certo uscivamo dalla pandemia, e quindi gli indicatori Economici non potevano che migliorare; e l’improvvisa e potente fiammata dell’inflazione seguita alla guerra in Ucraina ha contribuito non poco all’impoverimento di tante famiglie, con i prezzi di tanti beni di prima necessità cresciuti all’improvviso del 20, 30 e 50% (energia innanzitutto), e gli stipendi invece pressoché inalterati.
Non si può restare tranquilli, quindi, se le persone in condizione di povertà sono 5 milioni 694 mila (il 9,7% della popolazione). Tra l’altro il confronto tra i due dati (8,4%: famiglie povere: 9,7%: persone povere) segnala che per una famiglia numerosa è molto più frequente la condizione di povertà assoluta. Tra le “coppie con tre figli e più” la percentuale di famiglie povere è pari al 18,0% (più del doppio). Ciò contribuisce a un altro dato drammatico: 1 milione e 295 mila minori vivono in famiglie povere: il 13,8% del totale dei minori nel nostro Paese. Tra l’altro questa percentuale è la più alta degli ultimi anni (a partire dal 2014, primo anno in cui questi dati sono stati rilevati).
E se la povertà assoluta delle famiglie fotografa una triste realtà del nostro presente, la povertà assoluta dei minori fotografa una vulnerabilità che condurrà a conseguenze negative anche per il futuro. Questi bambini, esposti fin dalla più tenera età a privazioni economiche, saranno inevitabilmente svantaggiati e penalizzati anche per tutti i successivi passi dei loro progetti di vita. Quanti interromperanno gli studi per mancanza di risorse economiche? Quanti saranno esclusi da attività sportive, esperienze culturali e di socializzazione e da altre opportunità? E non dimentichiamo anche le famiglie monogenitoriali, anch’esse con percentuali di nuclei in povertà assoluta decisamente maggiori della media (12,5%). Anche in questo caso siamo di fronte a famiglie con responsabilità genitoriali che devono fare i conti con la scarsità delle risorse economiche, oltre che con le sfide educative e gestionali della genitorialità, da affrontare per di più senza la stabile presenza del partner.
La vulnerabilità economica di queste famiglie è influenzata da molti elementi strutturali. Il tipo di lavoro offre alle famiglie redditi differenti: chi ha il titolo di studio inferiore è meno protetto dal rischio di povertà, i giovani sono più poveri delle generazioni adulte e anziane (e anche questo è un dato molto allarmante), e infine anche l’area geografica in cui si vive (e il suo tessuto socio-economico) espone le famiglie a rischi maggiori (il Sud in particolare presenta il 10,2% di famiglie in povertà, anche se in calo rispetto al dato del 2022).
Ma la polarizzazione più forte riguarda le persone non italiane: il 30,4% delle famiglie con almeno una persona di cittadinanza non italiana al proprio interno dispone di redditi sotto la povertà assoluta, e questa percentuale sale a 35,1% per le famiglie composte solo da stranieri. Pur ipotizzando una certa opacità per molte di queste situazioni, a causa della scarsa regolarizzazione delle condizioni di lavoro, certamente le politiche di integrazione dovranno misurarsi anche con questa vulnerabilità economica.
Vorremo, però, concludere queste brevi riflessioni integrando questi dati statistici sulla povertà economica con i dati 2023 proposti recentemente dalla Caritas italiana a partire dalle informazioni raccolte presso la rete Caritas dei Centri di ascolto, che nei 3.124 Centri hanno intercettato 269.689 persone, che si sono rivolte alla Caritas per una serie eterogenea di bisogni (nella stragrande maggioranza dei casi bisogni di interi nuclei familiari). Due punti in particolare ci sembrano interessanti.
In primo luogo appare notevole il confronto tra i dati Istat sulla povertà assoluta e il numero di persone ascoltate: a fronte di 2 milioni 217 mila famiglie in povertà assoluta, Caritas ha ascoltato e accolto quasi 270 mila casi: un rapporto di 1 a 9, tra il numero di famiglie povere e il numero di persone che si sono rivolte alla rete informale e di volontariato della Caritas, che si pone quindi come risorsa preziosa – difficilmente sostituibile – per accompagnare questo disagio. Anche se la risposta alla povertà economica propriamente detta non può né deve fare capo alla rete Caritas, ma dev’essere affrontata da interventi pubblici di sistema.
E questo porta al secondo punto, che riguarda la multidimensionalità della povertà, che non è solo “mancanza di reddito”. Le persone che si sono rivolte alla Caritas avevano bisogni di tipo economico nel 78,8% dei casi, però spesso esprimevano anche problemi di lavoro/occupazione (45,9%), abitativi (22,7%), familiari (13,2%), di salute (12,8%)… Insomma: la vulnerabilità economica è un problema troppo diffuso nel nostro Paese, che esige risposte più efficaci. Ma non dobbiamo dimenticare che i volti della povertà sono molti, e che quindi serve anche capacità di ascolto, accompagnamento e reinserimento sociale. Solo così anche le persone più vulnerabili potranno tornare a essere protagoniste dei propri progetti di vita.
Francesco Belletti
Francesco Belletti
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