Fare di necessità virtù. Sì, ma fino a un certo punto: sia chiaro. Perché se il Napoli (e Antonio Conte) si sono privati di Kvara a cuor leggero è merito dell’esplosione di un ragazzo di 27 anni nato a San Paolo del Brasile e approdato in azzurro a quasi fine agosto. Il fenomeno David Neres oggi è il frutto di un lavoro a quattro mani o a due cervelli, come volete.
Il colpo
Tutto nasce dall’intuizione di Giovanni Manna, direttore sportivo del Napoli che era sulle tracce del brasiliano fin dai tempi del Benfica. Lo seguiva, lo conosceva e lo avrebbe portato anche alla Juventus, salvo poi non trovare la quadra con il club portoghese. Ma quelle finte, quei movimenti, quella capacità di essere determinante nella metà campo avversaria, non lo aveva lasciato impassibile.
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Ecco perché quando c’è stata la possibilità di prenderlo – stavolta al Napoli – non ci ha pensato due volte. Conte era alla ricerca di un esterno capace bravo nell’uno contro uno e Manna sapeva che quello di Neres sarebbe stato il profilo perfetto. Detto, fatto. Un blitz determinante a Roma e il grande rapporto con l’agente Giuliano Bertolucci hanno fatto la differenza. Nell’arco di qualche ora il Napoli e il Benfica hanno trovato l’accordo e il resto è storia recente. Antonio Conte ha capito che con Neres la sua squadra avrebbe potuto cambiare marcia in ogni momento della partita e poco alla volta lo ha preso sotto la sua ala di protezione ed istruzione.
La crescita
A questo punto, infatti, entrano in gioco le altre due mani: ovvero quelle dell’allenatore. Perché non è un mistero il fatto che per Conte Neres doveva essere un’alternativa. Il classico dodicesimo uomo a disposizione da poter sfruttare come apriscatole per andare a scardinare le difese più arroccate nell’ultimo quarto d’ora delle partite. D’altra parte lì a sinistra uno e uno solo era il depositario del verbo: Kvara.
Ma il brasiliano dondolante ha fatto capire che il trend poteva essere invertito. Merito di quella faccia che sembra allampanata unita a quei piedi capaci di inventare magie. E così David Neres ha scalato poco alla volta la china delle gerarchie dell’attacco azzurro. Perché ogni qual volta è stato chiamato in causa da Conte ha fatto vedere di poter essere determinante. Per metà stagione è stato quello che doveva spaccare le partite. Con tre assist nelle prime tre apparizioni (tutte da subentrante) e poi i gol (prima in coppa Italia e poi in campionato contro il Como). Insomma, la stoffa di chi può ambire anche qualcosa in più di un quarto d’ora di gloria nel finale. Ma mancava ancora qualcosa per la perfezione.
Antonio Conte ci ha lavorato con pazienza certosina, quello che mancava era una applicazione maggiore nella fase difensiva. Perché per Neres, da buon brasiliano, la linea di centrocampo rappresentava le colonne d’Ercole entro le quali era impensabile fare ritorno. Impossibile per uno come Conte poter contare a tempo pieno su un esterno che non si sacrifica, che non ripiega, che non conosce la fase difensiva. E allora poco alla volta si è messo con la testa e con il pensiero fino a fare breccia nella mentalità di David che oggi è un esterno a tutta fascia. Corre e dribbla nella metà campo avversaria, ripiega e copre in quella propria.
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E quando la trasformazione si è completata Conte ha tolto il veto alla cessione di Kvara che infatti si è accasato a Parigi. Da Udinese–Napoli (lo scorso 14 dicembre) Neres ha fatto il suo esordio da titolare e non ha più lasciato il suo posto in campo. Un po’ a destra, ma sostanzialmente sempre a sinistra: perché sulla corsia opposta Politano non si tocca. In queste ultime sei partite ha preso parte a 4 gol del Napoli: uno lo ha segnato lui, tre li ha confezionati ai compagni. Anche a Bergamo ha fatto la sua parte, ispirando due delle tre reti azzurre: l’amico geniale che ognuno vorrebbe al proprio fianco. Ora che sa unire l’utile (passaggi determinanti, gol, chiusure difensive) al dilettevole (finte e controfinte che accendono la folla). Il processo di trasformazione è completo. Per la gioia di Antonio Conte.
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