Nessuna fusione tra Comuni – Il Pais

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Il 71% dei Comuni del Friuli Venezia Giulia ha meno di 5.000 abitanti

I percorsi di fusione tra Comuni in Italia hanno subito un forte rallentamento negli ultimi anni e nel 2024 nessun referendum per l’aggregazione tra Municipi è stato approvato. Ad eccezione del 2021, quando la pandemia aveva comportato il rinvio di alcune consultazioni, l’ultimo anno senza fusioni era stato il 2012.

Complessivamente, nel nostro Paese, secondo i dati raccolti dalla Fondazione Think Tank Nord Est, si sono tenuti 274 referendum per la fusione tra Comuni: 150 sono stati approvati, pari al 55% del totale. Il numero maggiore di consultazioni si è tenuto in Lombardia, dove sono state 64, con una percentuale di successo del 53%. In Trentino Alto Adige ci sono stati 47 referendum, approvati nel 62% dei casi. In Toscana la quota di successo è del 41% su un totale di 34 consultazioni, mentre in Veneto ha avuto esito positivo il 52% dei 33 referendum indetti. Ottima la performance del Piemonte, dove è stato approvato l’85% delle 27 consultazioni tenutesi. In Emilia Romagna, sempre a fronte di 27 referendum, la percentuale di successo è invece del 48%.

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Il maggior numero di fusioni si è registrato nel 2018, quando le consultazioni approvate furono 30. Ma anche gli anni precedenti furono proficui: 27 aggregazioni tra Comuni certificate nel 2015, 26 nel 2013, 20 nel 2016 e 19 nel 2017.

I percorsi di fusione sono stati stimolati dall’introduzione e, successivamente, dal rafforzamento degli incentivi statali. In seguito l’interesse per le aggregazioni si è affievolito ed infatti ne sono state realizzate solo 9 dal 2019 in avanti. Eppure, il quadro regolativo statale è ancora particolarmente favorevole ai processi aggregativi: ai Municipi che decidono di mettersi insieme spetta l’erogazione, per un periodo di quindici anni, di un contributo pari al 60% dei trasferimenti statali 2010, fino ad un massimo di 2 milioni di euro. A queste risorse si aggiungono ulteriori incentivi di livello regionale, come l’erogazione di trasferimenti straordinari, di contributi per gli studi di fattibilità, oppure l’assegnazione di priorità per l’accesso ai bandi.

Tuttavia, oggi, nonostante i cospicui incentivi a disposizione, i percorsi di aggregazione in corso sono molto pochi, soprattutto a fronte della frammentazione amministrativa del nostro Paese.

In Italia, infatti, ci sono 7.896 Comuni, il 70% dei quali ha meno di 5.000 abitanti: in questi 5.519 Municipi vivono complessivamente 9,7 milioni di abitanti, pari al 16,4% del totale nazionale. Sono invece 2.018 i Comuni con meno di 1.000 abitanti (il 25,6%): in queste aree risiede poco più di un milione di persone, meno del 2% della popolazione italiana. Il numero maggiore di Comuni è concentrato nel Nord del Paese: il 19% si trova in Lombardia (dove sono 1.502) e quasi il 15% in Piemonte (in tutto 1.180). Le percentuali più elevate di piccoli Comuni si registrano in Valle d’Aosta (99%), Molise (94%) e Piemonte (89%).

In Veneto più della metà dei Comuni (286 su 560, il 51%) ha meno di 5.000 abitanti: in questi territori vivono circa 715.000 persone, meno del 15% della popolazione totale. In Friuli Venezia Giulia i Municipi con meno di 5.000 residenti sono il 71% (153 su 215), ma ospitano solo il 22,5% degli abitanti (circa 269.000).

“La ritrosia al cambiamento e la paura di perdere la propria identità stanno bloccando il percorso di razionalizzazione amministrativa del nostro Paese, che rimane però necessario per garantire i servizi a tutti i territori – sostiene Antonio Ferrarelli, presidente della Fondazione Think Tank Nord Est. Si tratta quindi di creare un consenso diffuso, da parte degli amministratori locali e dei cittadini, alla fusione tra Comuni: questo percorso dovrebbe partire dalla definizione dello statuto del nuovo Ente, che per legge deve assicurare alle popolazioni dei Comuni soppressi adeguate forme di partecipazione e di decentramento dei servizi. La fusione si costruisce quindi rafforzando proposte come: l’istituzione di Municipi presso le ex sedi comunali, l’introduzione dei prosindaci o delle consulte municipali per rappresentare i Comuni soppressi, l’apertura di sedi decentrate per l’erogazione dei servizi. In questo modo – conclude Ferrarelli – si possono rassicurare i cittadini e tutelare le comunità attraverso specifici strumenti di rappresentanza.”

Peraltro, nelle esperienze di fusione già realizzate si osserva che, superati i timori identitari, si possono ottenere numerosi benefici, non solo di natura economica.

Numero di referendum per la fusione dei Comuni in Italia, per regione e per esito.

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Fonte: elaborazioni Fondazione Think Tank Nord Est.

Nota: si considera anche il referendum di fusione approvato di Nuova Pescara, sebbene il nuovo Comune non sia ancora stato istituito. I referendum che hanno portato all’istituzione di un nuovo Comune, nonostante non siano stati approvati da tutti i Comuni coinvolti, sono stati considerati approvati. In Valle d’Aosta, Molise, Basilicata e Sardegna non si è tenuto alcun referendum per la fusione dei Comuni.






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