Costi energetici alle stelle e nella manovra il rinnovo ai distributori per 20 anni

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La ricchezza dipende dalla capacitá di organizzare i fattori di produzione e innovare in modo tale che ad ogni unità di input corrisponda un’unità di output sempre crescente ed in misura piú che proporzionale rispetto ai concorrenti. I tecnici la chiamano Produttivitá Totale dei Fattori, ovvero quell’insieme di elementi che determina la dinamicitá e competitivitá di un sistema e di un Paese.

Da trent’anni la produttivitá totale dei fattori in Italia è bassa e sostanzialmente ferma dovuta alla volontà politica di non affrontare i nodi che bloccano il Paese e di scardinare le rendite di posizione.

Un elemento centrale che ostacola la crescita è, lo si dice spesso oggi, il costo dell’energia che incide effettivamente in maniera determinante sulla competitività di un sistema sia perché alti costi energetici zavorrano le imprese sia perché sottraggono alle famiglie risorse che se no alimenterebbero la domanda interna.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Che i costi dell’energia in Italia siano piú alti della media europea e lo siano da trent’anni è dato noto. Rimangono del resto piu o meno inalterate alcune direttive di fondo della politica energetica nazionale che determinano anche i costi: no aprioristico al nucleare, limitato sviluppo delle risorse di idrocarburi nazionali, inquinamento e sostanziale mancata applicazione del principio comunitario dell’interesse pubblico prevalente di cui beneficiano le fonti rinnovabili.

Come il decisore politico possa pensare che il nostro sistema energetico sia competitivo rinunciando al nucleare, limitando la produzione nazionale di gas e imponendo maggiori restrizioni a sole e vento, le fonti piú economiche di cui tra l’altro il Paese é ricco, è un mistero.

Si é aggiunta nella manovra finanziaria appena approvata una vera e propria chicca.

È stato offerto alle società titolari delle concessioni di distribuzione dell’energia elettrica la possibilità di avere un rinnovo automatico di 20 anni. Ovvero, dopo che nel 2001 il decreto Bersani aveva dato ad operatori nazionali e municipalizzate concessioni fino al 2030 per poi essere messe a gara, il governo Meloni, impermeabile alla concorrenza, ha pensato di estendere tali concessioni di altri 20 anni. Fin qui si direbbe la solita, bipartisan, avversione al mercato. Il peggio è la modalità con cui é stata disegnata la toppa che dovrebbe coprire il buco della mancanza di concorrenza. L’estensione si giustificherebbe perché é richiesto un contributo una tantum dalle società che ne beneficiano. Tralasciando le modalità di calcolo di tale contributo – che ha a che fare con idee di pianificazioni pluriennali difficilmente compatibili con incertezze insite all’evoluzione della transazione energetica e al naturale imprevedibile mutare del mercato – il capolavoro sta nel fatto che i concessionari hanno la possibilitá di recuperare il contributo e addirittura guadagnarci a danno di imprese e famiglie.

Infatti, ottenuto il diritto di continuare a fare profitti in regime di monopolio per 20 anni, le società di distribuzione possono recuperare il contributo in tariffa maggiorato del presunto costo di capitale che oggi, come regolato da ARERA, é del 5.6% annuo. Quindi, società con garanzia di esercizio in monopolio naturale per i prossimi 20 anni possono accedere al credito a condizioni ovviamente molto vantaggiose per ottenere l’anticipo del contributo e lo ribaltano al 5/6% annuo ai poveri consumatori.

Un bell’affare che sa molto poco di rischio d’impresa e sua remunerazione. Ma lo é anche per il governo che incassa subito il contributo che sarà destinato “prioritariamente” (come, quando, quanto?) alla riduzione dei costi energetici (non delle tariffe) delle utenze domestiche e non domestiche.

Come ha fatto giustamente osservare l’Istituto Bruno Leoni, per i consumatori si tratta dell’introduzione surrettizia di una tassa che, aggiungiamo noi, in bolletta sarà probabilmente regressiva, per pagare un aumento del debito pubblico fuori bilancio.

Quale occasione migliore per le opposizioni per caricare a testa bassa contro il Governo che pone un ulteriore aggravio alla competitivitá delle imprese e al bilancio delle famiglie?

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

Invece, al netto di pochissime voci, silenzio assoluto da opposizioni e media.

Quest’esempio di politiche economiche conservatrici e stataliste della maggioranza, così ben accettate da gran parte delle opposizioni, suggerisce ancora una volta la necessitá, non piú procrastinabile, che si crei una vera alternativa liberale capace di incalzare il governo nel sogno di superare le varie “corporazioni” che si nutrono di rendite di posizione.

Per ragioni incomprensibili agli elettori le forze politiche italiane che si ritrovano nella famiglia dei liberali marciano separate marcando marginali differenze.

Chi vede nella produttivitá stagnante l’origine dei problemi del Paese e nell’apertura al mercato una soluzione è chiamato a lavorare insieme denunciando l’incapacità di destre e sinistre sovraniste e stataliste di affrontare la sfida della competitività.



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