La chiamano l’ultima dittatura in Europa. Così viene definita la Bielorussia, che dal 1994 viene guidata da Aleksandr Lukashenko. Il leader bielorusso cerca ora un nuovo mandato, il settimo consecutivo da quando è salito al potere. Le sue speranze possono venire confermate il 26 gennaio, quando si terranno le elezioni presidenziali: in questa tornata elettorale Lukashenko, stretto alleato politico e militare del leader russo Vladimir Putin, dovrà confrontarsi con quattro candidati rivali, considerati più una formalità che una vera opposizione.
Il fatto stesso che siano stati ammessi alle elezioni, infatti, dimostra quanto le autorità non li considerino una reale minaccia. In vista della chiamata alle urne per i cittadini bielorussi, ieri il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione Ue e agli Stati membri “di non riconoscere il risultato delle elezioni bielorusse previste per il prossimo 26 gennaio e la legittimità del dittatore in carica Aleksandar Lukashenko”.
Chi sono i rivali “fittizi” che sfideranno Lukashenko
In una risoluzione adottata con 429 voti favorevoli, 205 contrari e 23 astensioni, gli eurodeputati osservano che, a differenza del 2020, alle prossime elezioni ci sono solo “candidati fittizi” a sfidare Lukashenko, ed esprimono il loro fermo sostegno al popolo bielorusso nel perseguimento della democrazia, della libertà e dei diritti umani. I deputati si dicono anche seriamente preoccupati per la situazione dei prigionieri politici in Bielorussia, i quali, secondo l’organizzazione bielorussa per i diritti umani Viasna, sarebbero oltre 1200.
L’Ue autorizza i respingimenti di migranti alla frontiera con Russia e Bielorussia
Sono quattro quindi i candidati “fittizi” a cui si riferiscono gli eurodeputati. Anna Kanopatskaya, ex deputata che nel 2020 partecipò alle presidenziali ottenendo il terzo posto e l’1,68 per cento dei voti, ha improntato il suo programma politico sul rilascio dei prigionieri di guerra. Però, quella che viene considerata la figura più “di opposizione”, non ha mai espresso critiche dirette a Lukashenko. Un altro candidato è Serghei Syrankov, primo segretario del Partito comunista bielorusso, che ha dichiarato di candidarsi “non al posto, ma insieme al presidente”. Come il leader indiscusso di Minsk, Syrankovn vuole avviare dei procedimenti penali contro membri della comunità Lgbtq+.
Il terzo candidato alle elezioni è il leader del Partito liberal-democratico Oleg Gaidukevich, definito “rivale ereditario” di Lukashenko, perché suo padre partecipò a tre campagne elettorali. Secondo Gaidukevich “dovrebbero esserci solo patrioti”. Infine, spicca il nome di Aleksandr Khizhnyak, capo del Partito repubblicano del lavoro e della giustizia, il più “invisibile” dei candidati, perché poco presente e influenze nella politica del paese e sui social.
L’arma dei migranti per destabilizzare l’Unione Europea
Come emerso ieri a Bruxelles, i deputati denunciano inoltre la complicità del regime di Lukashenko nella guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina e condannano la deliberata subordinazione della Bielorussia alla Russia in un cosiddetto “Stato unionale”. Il leader di Minsk non ha mai nascosto le sue simpatie nei confronti del presidente russo Putin, tanto da essere accusato di adottare tattiche di guerra ibrida per indebolire e destabilizzare i governi europei a favore di Mosca.
Lukashenko, l’alleato di Putin, avrebbe deportato bambini ucraini in Bielorussia
Stando a quanto rivela un’indagine condotta da Politico, Lukashenko sarebbe il promotore di un programma segreto volto a destabilizzare l’Unione europea. Il piano di guerra ibrida, noto come ”Operazione Inferno”, sarebbe basato sull’infiltrazione di migranti nell’Ue, una strategia pensata per fomentare disordini sociali e politici nei Paesi membri. Documenti riservati, intercettazioni telefoniche e testimonianze raccolte da fonti interne confermano che Minsk avrebbe orchestrato un sistema organizzato per sfruttare la crisi migratoria come strumento di pressione geopolitica. Il programma, che sarebbe gestito da alti funzionari bielorussi, punta a minare l’unità europea e ridurre le sanzioni economiche imposte contro Lukashenko e il suo governo.
Visti e pacchetti viaggio per immigrati irregolari offerti da Minsk
Tra le tattiche spiccano offerte di pacchetti turistici e visti di gruppo pubblicizzati in paesi di origine come l’Iraq, pensati per agevolare l’ingresso irregolare in Ue. La permanenza temporanea in Bielorussia e l’avvicinamento al confine sarebbe garantito dallo stesso governo bielorusso con voli offerti dalla compagnia aerea di bandiera Belavia, hotel di proprietà di un dipartimento governativo e agenzie di viaggio controllate dal governo, nonché un servizio navetta con veicoli privati.
Il piano avrebbe avuto inizio nel 2021, in concomitanza con l’aumento delle tensioni tra la Bielorussia e l’Occidente dopo le controverse elezioni presidenziali del 2020 che hanno portato l’Ue a imporre dure sanzioni contro Lukashenko e il suo governo. L’uso dei migranti come arma ibrida da parte del regime è stato denunciato anche da leader europei, tra tutti il premier polacco Donald Tusk, il cui Paese condivide una frontiera con la Bielorussia.
Stando a Politico, l’operazione sarebbe ancora in corso e sarebbe diventata più sofisticata nel tempo. Alcuni elementi dell’indagine suggeriscono l’esistenza di un coordinamento con la Russia, che sostiene apertamente il regime di Lukashenko.
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