Carceri senza capo, manca la nomina. Nordio: no all’amnistia

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A un mese dalle dimissioni di Giovanni Russo, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è ancora senza un capo. Mentre l’ex procuratore nazionale antimafia che si era insediato a largo Daga nel gennaio 2023 ha già preso posto come consigliere giuridico della Farnesina, la sua vice Lina Di Domenico, magistrata collocata fuori ruolo dal Csm l’8 gennaio scorso, lo ha sostituito ma ancora solo nella veste di facente funzione. Ma né il suo né un altro nome è  ancora arrivato – come vuole la prassi – al Quirinale. Spetta infatti a Sergio Mattarella, in quanto capo delle forze armate, firmare il decreto presidenziale di nomina della figura istituzionale che guida anche il corpo di Polizia penitenziaria. L’impasse è tale che la delibera con la quale il governo propone il nome del nuovo capo Dap non è neppure ancora pervenuta formalmente sul tavolo del Consiglio dei ministri.

MA È TEMA, questo, che non viene neanche sfiorato dal ministro Carlo Nordio durante la sua relazione sull’amministrazione della Giustizia presentata ieri prima al Senato e poi alla Camera. Le carceri però sono uno dei temi su cui si concentra maggiormente il Guardasigilli. Il quale ammette il sovraffollamento degli istituti penitenziari, anche quelli per minorenni, ma nega ogni responsabilità dell’esecutivo, puntando invece l’indice contro «l’aumento esponenziale dei detenuti stranieri». Le ricette governative per contrastare un problema che, insieme al record di nove detenuti suicidatisi dall’inizio dell’anno (nello stesso periodo del 2024 erano tre), è sintomo del disastro in cui versa l’amministrazione penitenziaria sono sempre le stesse. «Esclusi» invece «i provvedimenti di amnistia o di scarcerazione lineare che – ribadisce Nordio – manifesterebbero una debolezza da parte dello Stato. Si può essere generosi quando si è forti, non quando si è costretti dalla necessità delle cose. L’amnistia sarebbe un incentivo alla recidiva – arriva ad affermare il titolare del dicastero – come ci dimostra la stesse esperienza giurisdizionale».

«STIAMO LAVORANDO sulla riforma della custodia cautelare» che riguarda «il 20% dei detenuti», assicura il ministro che commenta così il dato: «Nel Paese per anni abbiamo assistito al paradosso che era tanto facile entrare in prigione prima del processo, quando si era presunti innocenti, quanto era facile uscire dopo la condanna definitiva quando si era colpevoli conclamati». E poi, ancora di nuovo, parla di «detenzione differenziata» per i tossicodipendenti, di «espulsione degli extracomunitari» dal territorio nazionale (ma gli accordi bilaterali con Marocco, Tunisia e Nigeria sul modello albanese, di cui si è tanto parlato, sono ancora al palo) e del «commissario straordinario con poteri idonei a scavalcare quelle difficoltà burocratiche che si oppongono alla edificazione e alla ristrutturazione degli edifici carcerari», Marco Doglio, nominato nel settembre scorso con il compito di «rimodulare e adattare le strutture esistenti» perché, realizza Nordio, «costruire un nuovo carcere in Italia è praticamente impossibile». Riguardo alla prevenzione dei suicidi in cella, «ce la stiamo mettendo tutta», assicura, e cita come misura «l’integrazione di risorse pari a 5 milioni per l’osservazione psicologica».

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SUI DATI il ministro mette le mani avanti: «A fine 2024 il numero complessivo di detenuti in Italia era pari a 61.861 unità: è un numero elevato che supera la capienza, ma vorrei anche segnalare che non si entra in prigione per volontà del governo, ma perché si compie un reato e perché la magistratura ritiene che non ci siano alternative al carcere per l’espiazione di questi reati». Sorvola però sull’elemento più importante: 15 mila detenuti in più rispetto alla capienza effettiva di 47 mila posti. Ma, è la consolazione di Nordio, «non siamo il fanalino di coda dell’Europa: siamo messi meglio di Francia e Gran Bretagna». Surplus di reclusi anche negli Istituti penali per minorenni dove al 31 dicembre si registravano 588 presenze. Il Guardasigilli però parla solo di «tendenziale sovraffollamento del comparto detentivo minorile» che considera «conseguenza anche dell’aumento esponenziale dei detenuti stranieri, in larghissima maggioranza minori stranieri non accompagnati», perlopiù «provenienti dal nord Africa, spesso poliassuntori di sostanze stupefacenti e/o psico-farmaci, con gravi problematiche comportamentali, talora anche di natura post-traumatica, che giunti in Italia vengono presto fagocitati dal circuito illecito».

LA CRIMINALIZZAZIONE di taluni comportamenti non è, secondo l’inquilino di Via Arenula, responsabile di un eccesso di carcerazione: «Nessuna persona è in prigione per il reato di rave party», assicura. Confermando, senza volerlo, che il relativo decreto legge era solo una norma bandiera, assolutamente non urgente né necessaria.



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