Almeno due le vittime nel quartiere Tal as-Sultan, fa sapere Al Jazeera. Domani Israele saprà da Hamas chi tra i rapiti è vivo e chi no. Continua l’assedio a Jenin, in centinaia sfollati dal campo
Quel carro armato che apre il fuoco e miete altre vittime racconta di quanto sia fragile e insanguinata la tregua nella Striscia di Gaza. Almeno due palestinesi sono stati uccisi dal fuoco dei carri armati israeliani nel quartiere di Tal as-Sultan, nell’ovest del governatorato di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza. Lo hanno riferito fonti della protezione civile dell’enclave palestinese all’emittente panaraba al-Jazeera. Il bilancio dei morti a Gaza è salito a quota 47.283, di cui 120 nelle ultime 24 ore: lo ha reso noto su Telegram il ministero della Sanità di Hamas. I feriti sono 111.472, secondo la stessa fonte.
Il tutto avviene in una terra ridotta ad un cumulo sterminato di macerie. Lo United Nations Satellite Centre, nel mese di luglio, ha compiuto un’analisi sugli edifici distrutti all’interno della Striscia e i risultati sostengono che ci siano più di 42 milioni di tonnellate di macerie sul suolo dell’enclave palestinese. Le stime dei detriti derivanti dalla distruzione degli edifici possono variare in base alle assunzioni fatte in fase di modellazione, ma aldilà di qualche variazione, il risultato finale non cambia: per ogni chilometro quadrato della Striscia ci sono più di 115.000 tonnellate di detriti. Le zone più colpite sono quelle di Gaza e Khan Yunis, con rispettivamente 46.370 e 42.175 edifici danneggiati. Seguono Gaza Nord (34.476), Rafah (23.467) e Deir Al-Balah (17.290).
Nel complesso, il 66% degli edifici che erano presenti sulla Striscia risulta ora danneggiato. Il rapporto, inoltre, sottolinea che il volume complessivo dei detriti prodotti dal conflitto è oltre cinque volte superiore a quello generato dal bombardamento di Mosul nel 2017 da parte degli Stati Uniti, un confronto che mette in prospettiva la vastità della tragedia umanitaria e delle sfide future. Il britannico Times ha riportato che la rimozione delle 50,8 milioni di tonnellate di macerie accumulate a Gaza a causa dei bombardamenti israeliani rappresenta un’impresa colossale. Le stime indicano un costo di quasi 1 miliardo di dollari solo per sgomberare i detriti, mentre l’intero processo di ricostruzione, che include edifici residenziali, ospedali, moschee, chiese, scuole e infrastrutture essenziali come reti elettriche e fognarie, potrebbe richiedere fino a 80 miliardi di dollari.
Ma il dato Onu più impressionante è quello del tempo: per portar via da Gaza l’ultimo secchio di detriti che (soprattutto a nord) sono il solo panorama della Striscia, ci vorranno 14 anni. Tra l’altro serviranno aziende e metodi specializzati perché sotto quella montagna di case, ospedali, scuole, università, moschee strade sbriciolate ci sono 7.500 tonnellate di ordigni inesplosi, secondo l’Autorità per la qualità ambientale della Palestina. E ci sono materiali pericolosi come l’amianto oltre a resti umani. Insomma: un lavoro gigantesco e lunghissimo che però è indispensabile per poter immaginare la ricostruzione a tappe, cioè man mano che un’area viene sgomberata dalle macerie. La Striscia, vista alcuni giorni fa dai droni dell’Associated Press, appare perfino peggio di come era stata descritta perfino da chi ci sopravvive.
Quanto all’attuazione della prima fase degli accordi sulla tregua, domani per la prima volta Israele saprà ufficialmente da Hamas chi dei rapiti è vivo e chi è morto: contestualmente al rilascio delle quattro donne del secondo round, l’organizzazione fondamentalista – se rispetterà l’impegno preso – dovrebbe consegnare l’elenco completo dei nomi dei 33 rapiti che saranno rilasciati nella prima fase. Israele stima che la maggior parte dei 33 ostaggi sia in vita, ossia 25 su 33.
Dalle macerie di Gaza al “Muro di ferro” in Cisgiordania.
Secondo fonti mediche palestinesi riferite da Wafa le vittime dei raid israeliani negli ultimi tre giorni a Jenin, Cisgiordania – nell’ambito dell’operazione “Muro di ferro” -, sono 12 e 40 i feriti, mentre secondo l’Idf sono stati uccisi 13 uomini armati. L’agenzia di stampa palestinese riporta che l’esercito israeliano ha imposto un assedio serrato al campo di Jenin chiudendo gli ingressi, e costringendo gli abitanti di alcuni quartieri del campo a evacuare la zona.
Centinaia di persone hanno lasciato il campo profughi di Jenin su ordine delle autorità israeliane. Lo ha detto il governatore della città all’Afp al terzo giorno del giorno dell’operazione militare lanciata dalle forze armate israeliane. “Centinaia di residenti del campo hanno iniziato ad andarsene dopo che l’esercito israeliano, tramite megafoni montati su droni e veicoli militari, ha ordinato loro di evacuare”, ha affermato il governatore Kamal Abu al-Roub. Il direttore per la Cisgiordania dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa), Roland Friedrich, ha denunciato mercoledì che il campo profughi di Jenin, nel nord del territorio, è «quasi inabitabile» dopo un mese di incursioni. «Il campo è quasi inabitabile, con circa 2.000 famiglie sfollate da metà dicembre. L’Unrwa non è stata in grado di fornire un servizio completo al campo durante questo periodo», ha dichiarato il funzionario sul suo account X sui social media.
Decine di bulldozer militari hanno scavato tratti di strada a Jenin. Un’infermiera ha raccontato che i pazienti erano “terrorizzati” perché centinaia di persone non hanno potuto uscire per ore. Ieri pomeriggio, donne incinte e anziani, uno dei quali portava un neonato avvolto in una coperta contro il freddo invernale, hanno camminato accanto ad ambulanze e veicoli blindati, allontanandosi dall’ospedale e dal campo profughi di Jenin, mentre gli spari echeggiavano lungo le strade vuote e droni e aerei militari israeliani ronzavano a bassa quota. “Non ci sono medicine, cibo, provviste, niente”, ha detto Ashram Abu Sroor, scuotendo la testa all’uscita dell’ospedale.
Muro di ferro. Ovvero, il “metodo Gaza” applicato a Jenin. Stesso ideatore: Benjamin Netanyahu. Un recente studio di B’Tselem, l’Ong israeliana per i diritti umani, stima che il territorio della Cisgiordania sia spezzato da 898 check-point e cancelli militari israeliani. Secondo un rapporto presentato nel marzo del 2023 da Christian Salazar Volkmann, direttore della divisione operazioni sul campo e cooperazione tecnica dell’ufficio dell’Alto Commissariato per i diritti umani (Ohchr), dal 2012 al 2022 la popolazione dei coloni israeliani nella Cisgiordania occupata, tra cui Gerusalemme Est, è cresciuta da 520.000 a oltre 700.000. Cisgiordania, lo “Stato dei coloni”.
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