Enti locali, in Cassazione lo scontro coi giudici inglesi sui derivati

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Ora toccherà alla Cassazione tentare di dirimere lo scontro in corso da anni tra la giurisprudenza italiana e quella inglese sulla questione degli strumenti derivati sottoscritti dagli enti locali. La partita coinvolge decine di cause che complessivamente valgono centinaia di milioni di euro e che rischiano di zavorrare i bilanci di Comuni, Province e Regioni.

Il ricorso alla Cassazione

A chiamare in campo la Corte Suprema nei giorni scorsi è stata la Corte d’Appello di Milano in una causa che vede contrapposto il Comune di Busto Arsizio e Deutsche Bank, con i giudici che, per la prima volta nella vicenda derivati, hanno deciso di utilizzare lo strumento del «rinvio pregiudiziale» alla Corte di Cassazione.

Nella causa emerge che il Comune di Busto Arsizio era stato chiamato a pagare circa 2,5 milioni alla banca in seguito a una sentenza dell’High Court of Justice inglese del 2021 che aveva riconosciuto come legittimo lo strumento derivato sottoscritto dall’ente. Contro la decisione il Comune non ha fatto ricorso a Londra bensì ha deciso di chiamare in causa i giudici italiani perché la sentenza inglese sarebbe da considerare manifestatamente contraria all’ordine pubblico italiano.

La Corte d’Appello di Milano ha deciso di girare il complicato quesito alla Corte di Cassazione, che sul tema non si è mai pronunciata prima, considerando anche il fatto che «la questione è suscettibile di porsi in numerosi giudizi», hanno sottolineato i giudici.

Gli effetti del ricorso

«Si tratta di una decisione molto rilevante che potrebbe avere effetti sulle tante cause ancora aperte in materia di strumenti derivati», spiega Daniele Maffeis, avvocato civilista e cassazionista e professore ordinario di Diritto Privato. Il fatto è che finora la giurisprudenza italiana e quella inglese si sono mosse in direzioni diametralmente opposte. «Da una parte la Corte di Cassazione italiana a partire dal 2020 ha sistematicamente considerato legittime le richieste degli enti locali, considerando nulli i contratti, sia di copertura sia speculativi, se le clausole non erano state specificamente approvate dai consigli comunali o provinciali oppure se non erano stati condivisi il mark-to-market, gli scenari probabilistici e il criterio di calcolo», aggiunge Maffeis. «Mentre i giudici inglesi, sebbene consapevoli dei principi affermati dalla Cassazione italiana, hanno sempre considerato validi i contratti, anche se gli enti non erano a conoscenza del valore dello strumento, del criterio di calcolo né dello scenario probabilistico». Una diversità di vedute totale, insomma, e senza aver finora avuto alcuna certezza su quale siano le sentenze da applicare, se quelle inglesi o quelle italiane.

I contratti contesi

I ricorsi riguardano in particolare contratti derivati che sono stati venduti prima del 2013, perché dopo quella data è arrivato il divieto e già prima c’erano state delle strette per regolamentarne l’utilizzo.

Le leggi finanziarie 2007 e 2008 hanno, rispettivamente, limitato l’utilizzo di strumenti finanziari derivati da parte di Regioni ed enti locali e improntato la sottoscrizione dei contratti a criteri di massima trasparenza.

In particolare, la legge finanziaria per il 2007 aveva previsto l’obbligo di comunicare i contratti al Dipartimento del Tesoro del ministero dell’Economia e delle Finanze prima della sottoscrizione; il ministero era chiamato a verificarne la conformità alla normativa vigente e, ove avesse ravvisato violazioni, a informare la Corte dei Conti affinché potesse intervenire in virtù delle proprie competenze.

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Nonostante questi correttivi le cause pendenti sono però ancora numerose e riguardano, in particolare, quei contratti che prevedevano il ricorso alla giurisprudenza inglese in caso di contenzioso.

Restano fuori le imprese

«A questo punto, in conseguenza del rinvio pregiudiziale, la Corte di Cassazione potrà definitivamente chiarire se le sentenza inglesi sono applicabili in Italia o se sono da considerarsi nulle perché contrarie all’ordine pubblico internazionale», spiega ancora Maffeis, E più in particolare se sono contrarie «ai principi di contabilità pubblica e all’equilibrio del bilancio pubblico, definito nella Costituzione». Il riferimento è all’articolo 81, nel quale si stabilisce che «lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico».

La sensazione è che i giudici della Corte Suprema dovranno tentare di trovare una soluzione tra due sistemi economici e giuridici profondamente diversi, che si sono ulteriormente allontanati dopo la Brexit. Ma l’incertezza è destinata a durare ancora considerando che la decisione della Cassazione non dovrebbe arrivare prima di un anno e «in ogni caso resteranno fuori tutte quelle cause sui derivati sottoscritti dalle imprese private italiane, per le quali non c’è stato ancora alcun rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione», conclude Maffeis, «e anche in questo caso ci sono decine di ricorsi ancora aperti». (riproduzione riservata)



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