Euro digitale, sì o no? Sovranisti su tutto, ma non sulla moneta

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Nel Vecchio Continente si registrano 379 milioni di transazioni al giorno non in contanti. E due su tre passano da circuiti extra-Ue, rendendo meno stabile la nostra valuta. La soluzione, però, divide

Gli acquisti digitali potrebbero minare la sovranità monetaria dell’area euro e quindi la stabilità della nostra moneta. Sembra un’affermazione esagerata, ma non lo è. Tanto che alla Bce stanno monitorando seriamente la questione. A far suonare i campanelli d’allarme sono due dati: ogni giorno nell’area euro si registrano 379 milioni di transazioni non in contanti; e i pagamenti di due acquisti digitali su tre avvengono su circuiti extra-Ue. Per il momento sono soprattutto americani: Visa e Mastercard, i più grandi. Ma i cinesi hanno fiutato l’affare e stanno diffondendo sempre di più i loro prodotti. Durante la settimana di apertura di Uefa Euro 2024, la piattaforma Alipay, ad esempio, ha registrato un aumento del 67 per cento delle transazioni in Germania.

 

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L’Europa, invece, resta alla finestra. Esistono alcuni circuiti domestici, ma è una rete frammentata che non funziona in tutta l’eurozona. Ben 13 Paesi dell’area euro si affidano interamente a soluzioni non europee. Insomma, mentre si discute – giustamente – dei rischi di una dipendenza extra-Ue per quanto riguarda fattori determinanti per la nostra sicurezza (energia, comunicazioni, difesa) ce n’è un’altra che piano piano, in modo strisciante, rischia di farci diventare una sorta di colonia americana, “rubando” peso specifico alla nostra moneta legale. Con il rischio di influire quindi anche sull’efficacia della politica monetaria centrale.

 

«È indispensabile che l’euro rimanga un mezzo di scambio e una riserva di valore sicuro, stabile ed efficace. Ciò fornisce un’ancora essenziale per l’economia e il sistema finanziario», ricorda Piero Cipollone, membro del board della Bce, che si spinge a definire «imbarazzante» la situazione attuale delle transazioni digitali nell’area euro diventate terra di conquista di colossi stranieri, a maggior ragione – aggiunge – visto che «alcuni Paesi hanno reso obbligatorio accettare mezzi di pagamento digitali nel tentativo di combattere l’evasione fiscale».

 

La soluzione a tutto questo ci sarebbe: l’euro digitale. Una moneta virtuale garantita dalla Banca centrale europea con zero commissioni per i consumatori. Esattamente come il contante, potrebbe essere utilizzata sia in presenza di collegamenti internet sia offline, in modo anonimo, senza la necessità di essere collegata a un conto corrente. Ogni cittadino avrebbe il suo wallet (portafoglio) digitale, accessibile anche con uno smartphone. Sarebbe lo stesso cittadino a decidere quanta moneta digitale (si sta studiando, però, una soglia massima) conservare in questo wallet, proprio come quando si va al Bancomat e si decide quante banconote prelevare.

 

Tra gli addetti ai lavori se ne parla dal 2020: studi, consultazioni, audizioni, squadre di tecnici delle varie banche centrali nazionali dei Paesi membri appositamente dedicate. Ma per il momento resta tutto sulla carta. Mancano infrastrutture e piattaforme sulle quali l’euro digitale dovrebbe viaggiare. Manca soprattutto il via libera del Parlamento europeo. E secondo alcune previsioni, il “parto” dell’euro digitale (semmai dovesse esserci) non avverrà prima del 2028. Un tempo quasi biblico, vista la velocità delle trasformazioni che investono la nostra vita quotidiana. E che rischia di farci arrivare troppo tardi, quando ormai i «buoi sono già usciti dalla stalla» e i danni sono diventati irreversibili. In Bce non nascondono le preoccupazioni. «Dobbiamo muoverci rapidamente per affrontare i rischi derivanti dall’attuale incapacità dell’Europa di garantire l’integrazione e l’autonomia del suo sistema di pagamento al dettaglio. L’euro digitale rafforzerebbe la nostra sovranità monetaria», insiste Cipollone. 

 

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Irene Tinagli, europarlamentare del Pd, nella passata legislatura presidente della commissione per i Problemi economici e monetari che in questa veste si è occupata del dossier euro digitale, spiega: «Si tratta di un progetto complesso, che ha bisogno di una serie di passaggi importanti e delicati. Condivido le preoccupazioni per l’autonomia e l’indipendenza della nostra sovranità monetaria. Non vedo un pericolo imminente, ma è importantissimo essere pronti e accelerare sul dossier. Bisogna sostenere il lavoro che sta facendo la Bce». Tinagli rivendica il lavoro già fatto dal “vecchio” Parlamento europeo, nonostante la riluttanza di alcuni schieramenti politici (centrodestra): «I timori non erano pochi. Alcuni Paesi, come la Germania, hanno preteso garanzie sulla privacy e sul fatto che l’euro digitale non andrà a ridurre il contante. C’è chi ha sollevato preoccupazioni su effetti indesiderati per le banche, come una riduzione dei depositi bancari da parte dei piccoli risparmiatori. Ma sinceramente mi sono sempre sembrate preoccupazioni eccessive: non credo proprio che ci sia qualcuno che voglia mettere a rischio la stabilità del sistema bancario europeo. Meno che mai la Bce».

 

Per il momento il nuovo Parlamento non ha ancora calendarizzato il dossier euro digitale. «Per quanto ci riguarda resta una delle nostre priorità», assicura Pasquale Tridico, economista, ex presidente Inps, ora europarlamentare in quota Movimento 5 stelle. «La moneta elettronica è un’esigenza crescente da parte dei consumatori. L’euro digitale sarebbe uno strumento per soddisfare questa esigenza. Ma, a differenza di criptomonete non garantite da entità pubbliche, come i bitcoin, è anche una riserva di valuta. Avere l’euro digitale nel proprio portafoglio consolida la ricchezza, in futuro potrebbe essere anche un mezzo di risparmio. Il fatto che l’uso della moneta elettronica stia aumentando rispetto a quello del contante, a mio parere, non è un dato negativo. Anzi. È incredibile, però, ed è anche pericoloso, il fatto che noi oggi per i pagamenti elettronici siamo dipendenti da grandi corporation non europee. Questa situazione rischia di minare la nostra autonomia monetaria. Dobbiamo recuperare questo gap con l’euro digitale e con la costruzione della piattaforma infrastrutturale su cui l’euro digitale viaggerà e che servirà anche per tutti gli altri pagamenti elettronici, ad esempio quelli con le carte di credito tradizionali».

 

Tridico precisa: «Parlare di indipendenza e sovranità monetaria non ha nulla a che vedere con l’ideologia sovranista che tanto piace alla destra». Finora a frenare il progetto sono stati gli schieramenti di centrodestra e i Paesi del Nord Europa: «C’è il timore che l’euro digitale possa essere un altro strumento nelle mani della Bce per aumentare la base monetaria e, attraverso questa via, fare una politica espansiva che può portare a inflazione o a qualche forma di instabilità finanziaria». Inoltre – ragiona Tridico – in alcuni Paesi prevale l’idea che «tutto ciò che è contante va apprezzato e tutto ciò che è digitale va rifiutato, perché tracciabile». Invece, per l’europarlamentare del M5S, la possibilità che l’euro digitale possa affiancare gli strumenti già esistenti nella lotta all’evasione fiscale è un motivo in più per appoggiare il progetto: «Spero che questo aspetto sia preso nella giusta considerazione».

 

Nel frattempo, gli acquisti digitali conquistano sempre più terreno. Secondo i dati della Bce, nel 2022 per la prima volta in Europa le transazioni con carta hanno superato quelle in contanti (46 per cento le prime, 42 le seconde). Il consumatore apprezza sempre di più la comodità di fare acquisti digitali e con moneta elettronica. Ma non è gratis. Negli anni le commissioni pagate dagli esercenti alle banche e ai fornitori sono praticamente raddoppiate (da 0,27 per cento nel 2018 a 0,44 nel 2022). Eppure sono stati numerosi i provvedimenti normativi europei per contenere gli aumenti. Che cosa è successo? I circuiti di carte internazionali hanno sfruttato la loro forte posizione negoziale per aumentare le componenti non regolamentate della commissione per i servizi ai commercianti, vanificando le norme europee. Come dire: la sovranità limitata è già realtà. 

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