Gli italiani invecchiano e vanno in pensione ma i giovani copriranno la metà dei posti

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Ci sono 120mila posti di lavoro in pericolo, in Italia, per via delle numerose crisi aziendali che fin troppe imprese purtroppo stanno attraversando. E ci sono, secondo le stime, circa 1,37 milioni di lavoratori che potrebbero essere assunti in tempi brevi, e di questi ben 380mila a tempo indeterminato. Il che, come salta subito all’occhio, non ha alcun senso, ma l’economia non sempre risponde ai più elementari criteri della logica.

E allora, visto che la situazione è comunque questa, è il caso di concentrarsi sulla buona notizia, o almeno così pare a prima vista, ma in realtà proprio ottima non è. Già, perché i posti di lavoro ci sono, ma non i candidati, o comunque il mercato ne offre soltanto la metà. Non di disoccupati, ché di quelli ne abbiamo pieni i magazzini, bensì di personale qualificato e competente in una precisa attività. Insomma: l’Italia è piena di gente che cerca lavoro, ma semivuota di persone competenti che potrebbero essere assunte e iniziare a essere subito produttive senza troppo impegnativi corsi di formazione professionale.

Dunque, a fronte di 120mila persone che potrebbero perdere il posto, nei primi tre mesi di quest’anno le aziende troveranno solo la metà del fabbisogno di addetti per sostituirli, anche offrendo un posto fisso. Perché sul mercato, raschiando il barile, si possono trovare al massimo 190mila figure professionali, ma ne sono richieste esattamente il doppio: i 380mila di cui si parlava prima.

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Paradossale. Infatti gli imprenditori, particolarmente quelli artigiani, non nascondono la preoccupazione per la mancanza di personale ormai decisamente superiore ai possibili effetti di una nuova crisi che non riguarda solo noi: si sta diffondendo in buona parte dell’Unione europea. A indicarlo è uno studio della Cgia di Mestre, cioè l’Associazione artigiani e piccole imprese, che ha un ufficio studi sempre molto attento all’andamento dell’economia soprattutto nel mondo delle piccole realtà economiche.

Il problema che sta alla base di tutto è che sempre meno giovani entrano nel mercato del lavoro. Si dirà «bella scoperta», considerato non solo il calo demografico ma anche la crescente quantità di giovani ben scolarizzati che fanno un biglietto di sola andata e vanno a lavorare all’estero. Per non tornare più. I dati della Cgia – che nel nostro Paese non sono molto dissimili da quelli del mondo occidentale – sono comunque peggiori per quanto riguarda appunto l’Italia. Nel 2024 la fascia d’età fra i 25 e i 34 anni contava circa otto milioni e mezzo di persone, mentre ora sono 6,2 milioni. Un crollo inedito rispetto non solo al passato, ma all’intero continente europeo: è tra i più accentuati, e così diminuisce la platea di potenziali lavoratori. Nella fascia d’età fra i 35 e i 49 anni, l’Italia è passata dai 14 milioni di residenti nel 2004 a meno di undici milioni e mezzo attuali, e si prevede di finire sotto la quota di dieci milioni entro il 2040.

Altro che “non è un Paese per vecchi”: sarà un Paese soprattutto di vecchi.

Che cosa mai potrebbe peggiorare una situazione già di per sé molto complicata? L’età media più alta che in passato di addetti nei vari settori produttivi. La Cgia di Mestre calcola che entro il 2028, cioè tre anni, andranno in pensione tre milioni di lavoratori. Sostituirli, con la carenza di giovani che già oggi ci fa soffrire, non sarà un gioco da ragazzi: mancano proprio i ragazzi o poco più. L’invecchiamento della popolazione, stima la Cgia di Mestre, nei prossimi anni porterà gravi danni al sistema economico e produttivo del Paese.

A questo proposito, l’associazione veneta cita il report “Previsione dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia nel medio termine (2024-2028)”: quello delle imprese pubbliche e private, in questo quinquennio, si aggira sui 3,6 milioni di occupati. Di questi, l’83 per cento (intorno ai tre milioni) dovrebbe sostituire chi va in pensione per limiti d’età, ma è difficile trovare chi possa subentrare e così, nel prossimo decennio, la vera sfida non sarà tanto reintegrare chi il lavoro l’ha perso a causa delle crisi aziendali, bensì la copertura dei posti vacanti.

Tra l’enorme quantità di dati, vale la pena segnalare che è raddoppiata la difficoltà nel trovare personale: in due casi su tre dirigenti e operai specializzati semplicemente non ci sono. Otto anni fa 21,5 imprenditori su cento lamentavano la grave difficoltà nel trovare persone da assumere, e ora quella percentuale è salita al 49,4. Significa che un’impresa su due non trova addetti da assumere e che solo al Sud le assunzioni saranno in aumento. La Sardegna, con la sua scarsa popolazione giovanile perché non si fanno figli e con l’emigrazione dei ventenni, è dodicesima nella classifica delle regioni in cui è difficile trovare addetti da assumere, con un indice di difficoltà di reperimento praticamente uguale alla media nazionale: 49,2 per cento. Meno difficile trovare addetti in Puglia, per quanto riguarda la graduatoria, mentre è difficilissimo fare assunzioni in Umbria, Marche, Friuli Venezia Giulia e Veneto.

Ma non sarà che pagano poco? C’è anche questa questione, ma il problema è soprattutto anagrafico.

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