Malgrado la narrativa prevalente tenda a presentare il Continente africano in termini di grandi opportunità, negli ultimi anni si è assistito ad un sostanziale “restringimento” delle aree africane praticabili, sia per un turista, sia per un investitore.
Il moltiplicarsi di tensioni, conflitti regionali, presenze jihadiste, opposizioni armate e insurrezioni popolari (non sempre spontanee, ma alimentate dalla propaganda russa) ha provocato un’insicurezza generalizzata in molti Stati africani; di fatto, il numero dei paesi del Continente dove si possa circolare in tranquillità si è molto ridotto rispetto anche a soli 5 anni fa.
Nel tentativo di puntellare le fragilità africane, oggi le banche di sviluppo e i grandi programmi di intervento internazionali, come ad esempio il Global Gateway europeo o la Partnership for Global Infrastructure and Investment del G7, puntano sul finanziamento (a debito) delle infrastrutture, come ferrovie, porti, strade per stimolare il commercio infra-africano, che langue ad un misero 16% complessivo delle transazioni continentali.
Eppure, è problematico costruire snodi ferroviari, strade di asfalto e gasdotti in un contesto di incertezza, instabilità e guerriglia diffusa. Sia perché tali realizzazioni possono essere attaccate da formazioni guerrigliere, al momento abbondanti in Africa; sia perché le vie di comunicazione sono uno strumento a doppio taglio: da un lato consentono migliori traffici e un aumento delle opportunità di business, dall’altro possono essere usate dagli oppositori armati ai Governi in carica, per avvicinarsi ai centri nevralgici del potere statuale, o come obiettivo di sabotaggio.
Gran parte della guerra civile etiopica degli anni 2020-2022, che in forme più striscianti prosegue tuttora in un silenzio assordante dei media e dei Governi, si è combattuta sulle principali Highways fra le maggiori città del paese (e con il ricorso ai droni cinesi e turchi da parte dell’esecutivo di Addis Abeba). Di fatto oggi, tranne la capitale, il resto del territorio etiopico, prima destinazione turistica di grande attrazione, e sede di numerosi parchi industriali, è off-limits per gli investitori e per gli stranieri in genere, oltre che per gli etiopi stessi.
Ben lungi dall’essere sicuri sono altresì i territori della Somalia, dove permane il pericolo degli atti terroristici di Al Shabaab contro il Governo di Mogadiscio. L’ultimo Stato in ordine di tempo ad abbandonare i ranghi dei Paesi stabili è il Mozambico. Non soltanto per la guerriglia islamista nel nord del territorio, che frena i grandi investimenti nei bacini off-shore di gas naturale, ma anche per i gravi, prolungati disordini seguiti alle recenti elezioni presidenziali e legislative, in cui anche la tranquilla capitale Maputo si è trasformata in un campo di battaglia.
Per rimanere in Africa Australe, peggiorano giorno per giorno le condizioni nelle regioni del Kivu e dell’Ituri, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, un tempo itinerario preferito per i cultori dei paesaggi autenticamente africani, delle foreste pluviali e dei gorilla dei montagna, e da qualche tempo terre di conquista di un centinaio di milizie armate, fra cui la temibile M23, legata al vicino Ruanda.
Non consigliabili né per turismo nè per investimenti sono i paesi del Sahel, dove, malgrado i colpi di Stato militari che promettevano pace e crescita economica, la guarriglia jihadista e le formazioni tuareg operano in gran parte del Mali, del Burkina Faso e del Niger, incluse le città simbolo della storia e delle tradizioni africane, come Timbuctù, Mopti, Gao, e la spettacolare Agadez.
Pericolose, instabili e non praticabili sono anche vaste aree del Ciad, del Camerun (a causa delle milizie e bande armate presenti nelle zone anglofone del nord ovest e sud ovest del paese), nonché le regioni settentrionali dei Paesi della costa atlantica, come Benin, Costa d’Avorio, Ghana e Togo.
Terribili, in questa rapida rassegna, le condizioni in tutto il Sudan, dove da un paio di anni truppe governative e ribelli delle Rapid Support Forces si affrontano senza esclusioni di colpi in un altro conflitto quasi ignorato dai media, causando distruzione e morte (fra le 300 e le 400 mila vittime), e flussi inarrestabili di rifugiati.
È proprio il dato dei rifugiati e degli sfollati nel Continente che ci offre la più cruda fotografia di quanto ancora ci sia da fare in Africa prima che si possa davvero parlare di progresso e stabilità: alla fine del 2024, secondo dati dell’UNHCR, essi sono circa 30 milioni, cioè un quarto del totale mondiale. Statistiche queste che meritano almeno una riflessione.
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