Ruby ter, storia del processo infinito a Berlusconi e della pacificazione che servirebbe

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Sarà anche un caso, ma mentre si sta celebrando il primo passo verso la separazione delle carriere nel nome di Silvio Berlusconi, la magistratura sta preparando contro di lui un bel processo “Ruby quater”, come non fossero state sufficienti le precedenti assoluzioni, cinque nel totale. L’ultima delle quali, quella del “Ruby ter”, stabiliva in sentenza che quel processo per corruzione in atti giudiziari non avrebbe mai neanche dovuto iniziare.

Per questioni formali, certo, ma si sa che in diritto la forma è sostanza. E sarà per quel motivo, o per la scarsa fiducia che certi settori della procura di Milano hanno nei confronti dei cugini di grado superiore, quelli che rappresentano l’accusa nell’appello, che il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e il sostituto Luca Gaglio erano ricorsi a una procedura insolita, quella “per saltum” che va direttamente in cassazione. Una questione tecnica aveva diviso i rappresentanti dell’accusa dalla decisione del tribunale presieduto da quel giudice Marco Tremolada del processo Eni che porterà all’assoluzione degli imputati e in seguito ala condanna dei pubblici ministeri per aver nascosto prove a favore.

Berlusconi, 90 processi e 4mila udienze

Questione tecnica, ma non secondaria. Perché, se le 22 persone portate a processo per esser state corrotte da Berlusconi perché deponessero il falso nei processi “Ruby uno” e “Ruby due”, erano state interrogate come testimoni mentre in realtà erano già indiziate per corruzione in atti giudiziari in un procedimento connesso, erano state violate le loro prerogative e il diritto all’assistenza di un difensore. Le loro deposizioni erano illegittime, aveva stabilito la sentenza, e tutto il processo era da gettare nel cestino. Era stato l’ennesimo sfregio nei confronti di Silvio Berlusconi, la cui generosità lo aveva indotto ad aiutare, in modo trasparente e con versamenti ufficiali, una serie di persone, sia cantanti che partecipanti alle sue cene, che erano state danneggiate sul piano professionale dalla pubblicità negativa derivata dalla persecuzione giudiziaria che subiva il leader di Forza Italia. E basterebbe ricordare i 90 processi che lo hanno riguardato e le 4mila udienze cui lui ha dovuto prender parte. Sempre assolto, tranne una discutibile unica volta.

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Il papa straniero al quarto piano

La sentenza di assoluzione-demolizione del “Ruby ter” aveva seminato lo sconcerto alla procura di Milano, che per Berlusconi aveva chiesto la condanna a sei anni di carcere. Era il 15 febbraio 2023, quattro mesi dopo il principale imputato non c’era più, ma se ne era andato con la soddisfazione di non esser considerato, come lui stesso aveva confidato agli amici, un “puttaniere” corruttore di ragazze. Si era subito però aperto un problema di politica giudiziaria negli uffici del quarto piano del palazzo di giustizia di Milano. Perché in fondo al corridoio coperto di tappeti rossi non c’era più la sequela dei procuratori capo di Magistratura Democratica, da Borrelli a D’Ambrosio, a Bruti Liberati e Greco, ma il classico papa straniero, l’austero Marcello Viola, che proprio su quel processo condivideva la sentenza del tribunale.

Discussioni su discussioni, in quei giorni. In particolare l’aggiunto Tiziana Siciliano, che nel corso del processo aveva assunto toni particolarmente sferzanti e decisamente scortesi nei confronti di Berlusconi, insisteva per il ricorso. Finì con un documento in cui mancava la firma del capo dell’ufficio, e la scelta della procedura che scavalcava i formalisti della procura generale, che avevano dimostrato in diverse occasioni di non temere la reputazione trentennale di quel quarto piano e del loro “rito ambrosiano” famoso per il proprio sostanzialismo. Le frizioni tra i due uffici non erano mancate. Il caso più clamoroso era stato quello del processo Eni e il ricorso della procura dopo le assoluzioni del primo grado. Prima la procuratrice generale Francesca Nanni non aveva accettato che il pm De Pasquale rappresentasse l’accusa anche in secondo grado. Poi addirittura la pg incaricata Celestina Gravina aveva rinunciato all’appello. Con tutta la successiva coda bresciana e le condanne dei pm milanesi per rifiuto di atti d’ufficio. C’era stato anche il processo contro il magistrato Andrea Padalino, ex gip milanese poi pm a Torino. Altro ricorso, in quel caso dell’’aggiunto Laura Pedio, e di nuovo rinuncia, di un’altra pg, Gemma Gualdi.

Ora, dopo il passaggio in cassazione, i fascicoli del “Ruby ter” planeranno dal quarto al terzo piano del palazzo di giustizia di Milano, negli uffici presieduti da Francesca Nanni. La questione, per i non addetti, pare di lana caprina. L’interrogativo è: quando furono sentite come testi, le famose ragazze che avevano partecipato alle cene di Berlusconi erano veramente già indiziate e sospettate di essersi fatte corrompere per non raccontare quel che succedeva ad Arcore? In questo caso avrebbero avuto diritto al difensore, come indiziate in procedimento connesso, come stabilito dalla sentenza di primo grado.

Se invece, come ha sostenuto la cassazione, erano diventate pubblici ufficiali nel momento in cui era stata ammessa la loro testimonianza, avevano il dovere di dire la verità. Resta l’assurdità di questo processo infinito, una storia che, soprattutto dopo la morte di Berlusconi, andrebbe chiusa con un momento di pacificazione. Come dice l’avvocato Jacopo Pensa, sicuramente più saggio delle procure e delle cassazioni.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.

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