Il Green deal era la bandiera della prima Commissione von der Leyen nel 2019. Adesso a Bruxelles è una bandiera da ammainare, su impulso delle richieste delle imprese e della destra, dai Popolari ai partiti sovranisti che governano in gran parte degli Stati membri. Ufficialmente la marcia indietro inizia mercoledì prossimo, quando in Commissione europea verrà presentato il pacchetto competitività, documento che indica le direttive di attuazione del report preparato da Mario Draghi. A fine febbraio poi la von der Leyen II presenta ‘Omnibus’, proposta legislativa sulla semplificazione che va a ritoccare una parte del Green deal entrata già in vigore, alleggerendo gli oneri burocratici delle imprese per la sostenibilità ambientale. E si prevedono altri documenti del genere, anche per rivedere l’Ets, il sistema che impone il pagamento di una ‘licenza’ per le imprese che producono emissioni nocive.
Il ‘Competitiveness Compass’ (la Bussola della competitività), che verrà varato mercoledì dal collegio dei commissari, è un piano che mira a ridurre gli oneri burocratici imposti alle imprese che operano nell’Unione, del 25 per cento per le grandi aziende e del 35 per cento per le Pmi, secondo le bozze in circolazione. Il pacchetto Omnibus invece si propone di rivedere la direttiva Csrd (‘Corporate Sustainability Reporting Directive’) sulla rendicontazione di sostenibilità delle imprese, in vigore dal 2023, e quella sulla ‘diligenza dovuta’ (‘due diligence’), che impone alle aziende di garantire il rispetto dell’ambiente e dei diritti umani nelle loro catene di produzione e che è stata approvata solo l’estate scorsa, dopo un lungo calvario di trattative tra gli Stati membri e notevoli compromessi rispetto alla proposta originaria.
Se nella scorsa legislatura la parola d’ordine era ‘de-carbonizzazione’, adesso l’obiettivo primario è ‘de-regolamentare’, con gli sforzi per il clima che passano in secondo piano rispetto all’esigenza di riconquistare competitività per le imprese. È la parte del rapporto Draghi che piace ai sovranisti e al Partito Popolare europeo, sempre più incline ad alleanze con la destra che con i socialisti, ormai spodestati dalle prime posizioni nei sondaggi in tanti Stati membri, a partire dalla Germania dove l’Unione di Cdu-Csu potrebbe vincere le elezioni il 23 febbraio e guidare le trattative con i socialisti per la formazione di un governo. Saranno negoziati improntati alla revisione del Green deal, imperativo soprattutto in Germania, dove l’estrema destra dell’AfD ha scalato le classifiche dei partiti politici quando, alla propaganda anti-immigrati, ha aggiunto la contestazione della proposta di eliminare le caldaie a gas, obiettivo delle politiche contro i cambiamenti climatici che ha messo in crisi i ceti più svantaggiati.
“La transizione verso un’economia decarbonizzata deve essere favorevole alla competitività e neutrale dal punto di vista tecnologico”, si legge nella bozza del documento sulla competitività. “L’obiettivo è un’Europa in cui le tecnologie e i prodotti puliti di domani siano inventati, fabbricati e commercializzati, mentre restiamo sulla rotta verso la neutralità carbonica”.
Mercoledì scorso il premier polacco Donald Tusk ha tenuto un discorso molto accalorato sulla questione delle politiche per la transizione, intervenendo a Strasburgo per presentare il semestre di presidenza affidata alla Polonia. Se il sistema Ets, la “borsa” europea per la compravendita dei permessi di emissione, applicata ai carburanti stradali e ai sistemi di riscaldamento residenziali, fosse applicata senza modifiche, “spazzerebbe via tutti i governi democratici in Europa”, sono le parole di Tusk che chiede una “revisione di tutti gli atti giuridici, compresi quelli previsti dal Green Deal” e “il coraggio di cambiare quelle regole che potrebbero comportare prezzi proibitivi dell’energia”, attaccando, in particolare, la tassa sul carbonio sui combustibili fossili utilizzati per riscaldare le case e alimentare le auto che entrerà in vigore nel 2027.
Le osservazioni di Tusk sono state accolte con favore dal primo ministro ceco conservatore Petr Fiala. E anche in Francia il governo Bayrou chiede la revisione del Green deal, cedendo alla narrazione del Rassemblement National. Lo scorso fine settimana, un incontro dei leader del Ppe in Germania ha prodotto un documento che invita la Commissione a rinviare di almeno due anni le norme sulla sostenibilità finanziaria e aziendale, nonché la nuova tassa sulle emissioni di carbonio alle frontiere dell’Ue. Ciliegina sulla torta, un’inchiesta del quotidiano olandese De Telegraaf, secondo cui l’Ue ha “sovvenzionato segretamente gruppi ambientalisti per promuovere il Green deal dell’ex commissario Frans Timmermans”. Il Green deal non è morto, almeno a livello ufficiale nei discorsi di Ursula von der Leyen, ma certo si sente molto male.
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