L’intelligenza artificiale alla prova della crisi d’impresa. Intervista al Prof. Giovanni Capo

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Giovanni Capo è professore ordinario di “Diritto commerciale” presso l’Università degli Studi di Salerno dove è stato altresì, titolare degli insegnamenti di “Diritto fallimentare”, “Diritto dell’imprese” e di “Diritto della cooperazione”. Procuratore legale dal 1993 ed Avvocato dal 1996, è iscritto alla sezione speciale dei docenti universitari dell’Albo degli Avvocati tenuto dall’Ordine di Salerno.

Fa parte della redazione della rivista “Giurisprudenza commerciale” ed è “referee” per la rivista ” Le nuove leggi civili commentate”. È autore di tre monografie e di oltre ottanta opere fra saggi ed articoli, in materia di impresa, società ordinarie e cooperative, contratti, pubblicate per le case editrici Cedam, ESI, Giappichelli, Giuffré, Il Sole 24 Ore, IPSOA.

 

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Il Prof. Avv. Giovanni Capo

 

In che modo le recenti normative europee e nazionali sul governo delle crisi d’impresa hanno influenzato l’adozione di strumenti di intelligenza artificiale? Quali sono, secondo Lei, le principali opportunità e criticità legate all’integrazione di queste tecnologie?

Negli ultimi anni la disciplina delle crisi d’impresa è stata interessata, nell’ambito del diritto dell’Unione europea come del nostro ordinamento nazionale, da una profonda evoluzione, che ha visto conferire centralità alla continuità aziendale, quale valore da tutelare e preservare, innanzitutto mediante l’intercettazione, quanto più possibile tempestiva, di eventuali minacce all’equilibrio economico-finanziario degli organismi imprenditoriali e la conseguente attivazione di efficaci interventi intesi a neutralizzarle.

In definitiva, l’emersione della crisi sin dal manifestarsi dei suoi primi segnali si pone, nel disegno legislativo europeo e nazionale – si pensi alla direttiva (UE) 2019/1023 sulla ristrutturazione e sull’insolvenza (c.d. direttiva insolvency) e al d.lgs. n. 14/2019, con cui è stato introdotto il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza – come una condizione necessaria nell’ottica della conservazione dei complessi produttivi e di tutti gli interessi – facenti capo alle imprese e ai loro creditori, ma anche a ulteriori categorie di stakeholders – coinvolti dall’iniziativa economica.

In tale logica vanno lette le disposizioni dettate nell’art. 3 del Codice della crisi e dal novellato art. 2086 del Codice civile, che, se pure con modulazioni diverse, impongono alle imprese di dotarsi di assetti amministrativi, organizzativi e contabili adeguati, in relazione alla loro natura e alle loro dimensioni, a rilevare con immediatezza l’insorgere della crisi e di adottare gli interventi necessari a farvi fronte.

Ora, a tali esigenze possono senz’altro prestarsi a dare risposta gli strumenti offerti dall’intelligenza artificiale, cui siano demandate la raccolta e l’aggregazione dei dati dai quali il management dell’impresa può trarre quegli elementi che, in base al d.lgs. n. 14/2019 (art. 3, commi 3 e 4), costituiscono gli indicatori di una crisi in atto o i sintomi anticipatori di una crisi in fieri: schematicamente, può farsi riferimento al volume dei debiti scaduti verso lavoratori, fornitori, banche e intermediari finanziari o verso l’erario e gli enti previdenziali scaduti, in rapporto a quelli non scaduti e all’ammontare complessivo delle correlative esposizioni.

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Ma più sofisticati sistemi possono essere in grado di interpretare e rielaborare autonomamente tali dati, scrutinandoli anche in relazione ad eventuali ulteriori dati che il management ritenga rilevanti, in ragione delle specifiche caratteristiche dell’impresa, per controllarne l’andamento e la condizione patrimoniale, economica e finanziaria, in modo non soltanto da cogliere i segnali anticipatori della crisi al momento del loro primo manifestarsi, ma addirittura di prevederne il sopravvenire.

Certo, non mancano elementi di criticità nell’impiego delle nuove tecnologie ai fini della rilevazione e del governo delle crisi. Penso, ad esempio, e questo è un vulnus di portata generale, all’eventuale opacità dei processi di funzionamento dei sistemi algoritmici; ma, più ancora, al possibile convincimento dei managers (o di chi, nell’organizzazione imprenditoriale, di tali sistemi si avvale) di trovare negli stessi la soluzione ad ogni problema, abdicando al ruolo di “decisori” delle linee di politica aziendale e delle strategie d’impresa.

 

Durante il Suo intervento curato durante l’evento “Gli Stati Generali di Internet”, Lei ha citato il machine learning e le reti neurali come strumenti particolarmente efficaci per la rilevazione e la previsione delle crisi d’impresa. Quali sono, a Suo parere, gli ambiti specifici in cui queste tecnologie possono fare la differenza rispetto ai metodi tradizionali?

In funzione delle analisi previsionali relative alle dinamiche dell’attività d’impresa e al verificarsi di fenomeni di crisi tali tecnologie possono senz’altro fare la differenza rispetto ai sistemi tradizionali e condurre al raggiungimento di risultati cui questi ultimi difficilmente possono consentire di approdare.

In particolare, è noto che le reti neurali giungono ad aggiornare e accrescere le rispettive conoscenze attraverso il loro stesso funzionamento, simulando il processo di apprendimento e di esternazione dei relativi risultati proprio degli individui. E ciò, sulla base dell’elaborazione di un numero particolarmente elevato di dati, anche di natura qualitativa e non soltanto quantitativa – dunque, più ampio rispetto al set degli indicatori elencati nel Codice della crisi – scrutinati anche sul piano delle connessioni intercorrenti tra loro: così da fornire output il cui livello di correttezza e attendibilità non è conseguibile mediante l’impiego delle metodologie cui rimandano le scienze matematiche e statistiche.

Le potenzialità dell’intelligenza artificiale, in tale ottica, consentono di raggiungere obiettivi che vanno ben oltre la rilevazione degli squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario dell’impresa e l’intercettazione di possibili segnali di crisi attraverso la verifica della sostenibilità dei debiti in un certo lasso temporale; e vanno ben oltre il riscontro dei dati necessari per lo svolgimento del test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento nell’ambito della procedura di composizione negoziata della crisi, cui  fa riferimento l’art. 3 del Codice della crisi.

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Sempre nel Suo intervento, ha sottolineato che gli organi di amministrazione e controllo non possono considerarsi deresponsabilizzati dall’uso di sistemi di intelligenza artificiale. Come bilanciare, secondo Lei, l’affidamento a queste tecnologie con il mantenimento di una supervisione umana adeguata?

Non è pensabile che gli organi di amministrazione e di controllo delle imprese, all’attuale stato dell’evoluzione tecnologica – e, a mio modo di vedere, negli anni a venire, che senza dubbio saranno segnati da ulteriori progressi delle scienze algoritmiche – possano ritenere di assolvere i rispettivi obblighi demandando l’indicazione delle iniziative e delle decisioni che nell’adempimento degli stessi sono chiamati ad assumere ai sistemi algoritmici.

Ciò, per almeno due buone ragioni: la prima è che le elaborazioni informatiche dipendono – almeno in una fase iniziale – dalla quantità, dalla qualità e dalla pertinenza delle informazioni da elaborare, sicché, in caso di insufficienza, inesattezza o improprietà delle stesse i dati prodotti dalle macchine non si rivelerebbero affidabili o risulterebbero inconferenti rispetto alle risposte ad esse richieste; la seconda, relativa soprattutto ai programmi muniti di sistemi di machine learning autonomi e non supervisionati dall’uomo, è che i dati elaborati autonomamente dal software possono risultare scarsamente intellegibili.

Ne deriva, come ho accennato, che non è ipotizzabile alcuna forma di de-responsabilizzazione degli amministratori – e, di riflesso, in caso di omesso controllo sull’operato di questi, dei sindaci – per aver adeguato il loro comportamento e le loro decisioni alle indicazioni fornite dall’intelligenza artificiale: sarà comunque necessario, ai fini del diligente espletamento dei doveri connessi al mandato gestorio, che l’impiego dei sistemi di intelligenza artificiale sia corretto ed efficace. Che, quindi, esso avvenga sulla base di una compiuta e ponderata selezione dei dati che alle macchine si chiede di elaborare e che gli output forniti dalle stesse siano oggetto di adeguate analisi, intese a stabilire se, effettivamente, essi segnalino i prodromi di una crisi o ne denuncino l’avvento.

Così come, gli amministratori dovranno valutare se, a dispetto di eventuali indicazioni di carattere positivo sulla situazione aziendale rese dai sistemi informativi, l’impresa rischi comunque di trovarsi in crisi per la presenza di fattori non scrutinati o non suscettibili di scrutinio da parte di questi ultimi, sicché, pur nel silenzio dell’algoritmo, risulti necessario fare ricorso agli strumenti di regolazione delle crisi o alle procedure concorsuali previste dal Codice.

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Ha menzionato la possibilità di utilizzare algoritmi di giustizia predittiva per valutare la “tenuta” delle soluzioni per il superamento delle crisi. A che punto siamo, secondo Lei, nello sviluppo e nell’applicazione pratica di queste tecnologie nel contesto delle imprese?

È evidente che l’efficacia delle strategie di superamento della crisi può dipendere anche, se non soprattutto, dalla variabile costituita dalla capacità dell’imprenditore o del management, che dovrebbero avere il polso dello “stato di salute” dell’impresa, di cogliere i sintomi di una possibile crisi ancora prima di fare ricorso all’intelligenza artificiale e di ricevere da essa conferme in tal senso.

In questa prospettiva, ben si comprende per quale ragione il legislatore imponga, nell’art. 3 del Codice della crisi, che gli assetti amministrativi, organizzativi e contabili delle imprese siano in grado di raccogliere tutti i dati necessari per sostenere il test pratico sul ragionevole risanamento cui prima ho fatto cenno: essi, infatti, opportunamente “filtrati” dalla sensibilità e dalla competenza dell’organo amministrativo, possono essere di ausilio sia nel verificare la probabile insorgenza o la sussistenza dello stato di crisi, sia nell’individuare lo strumento più adatto per superarlo.

E, in effetti, proprio nella fase della scelta dello strumento o della procedura maggiormente idonea a prevenire o governare la crisi credo che possa ritagliarsi un ulteriore spazio per l’impiego dell’intelligenza artificiale, che potrebbe, in tale prospettiva, offrire un apporto fondamentale alle imprese.

Inoltre, una volta individuato dall’impresa il percorso da intraprendere per la soluzione della crisi, con l’apporto dell’intelligenza artificiale potrebbe esserne vagliata anche nelle competenti sedi giudiziali, mediante l’ausilio degli algoritmi, l’effettiva adeguatezza: penso, ad esempio, alla ponderazione del rapporto tra le prospettive di soddisfazione dei creditori offerte nell’ambito di un piano di concordato in continuità aziendale rispetto a quelle dischiuse dalla liquidazione giudiziale.

Sono, però, consapevole che si tratta di suggestioni, per così dire; di scenari di giustizia predittiva che guardano a una frontiera tutta da esplorare e che nasconde non poche incognite.

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