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ROMA La frase di Donald Trump è stata pronunciata rapidamente, sollecitata dalla domanda di una giornalista italiana di Mediaset. E non è passata inosservata in una fase in cui anche nel nostro Paese si teme per le ricadute sulle esportazioni, se davvero il presidente Usa deciderà di applicare, anche nei confronti dell’Europa, una rigida politica dei dazi. La domanda: concederete un break all’Italia sui dazi? La risposta di Trump: «Meloni mi piace molto, vedremo cosa succede». Non è molto, ma è un segnale, che si unisce a un evento non secondario: la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è l’unica leader europea che ha partecipato alla cerimonia di insediamento di Trump. Per il Made in Italy le decisioni del presidente sui dazi rappresentano una spada di Damocle molto ingombrante.
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Italia del Gusto (Consorzio di aziende italiane agroalimentari e vinicole) stima che nel 2024 l’export del settore sia stato di 57 miliardi di euro: circa 4 miliardi dipendono dal mercato Usa. Dazi doganali per i prodotti italiani significano prezzi più alti per il consumatore finale e dunque calo delle vendite. Ecco perché quella che è solo poco più di una battuta pronunciata da Trump, viene soppesata con estrema attenzione, visto anche il canale preferenziale di dialogo di Giorgia Meloni. Certo, è difficile ipotizzare provvedimenti che prevedano trattamenti differenti per i vari Paesi della Ue. Spiega il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti: «Con la presidenza Trump cambia tutto. L’agenda di Trump imporrà a tutto il mondo e in particolare all’Europa di cambiare politica e passo. Il cambiamento sul Green Deal imporrà a livello europeo un mutamento di strategia anche a livello industriale. O siamo in grado di reagire prontamente e trovare delle risposte a livello nazionale ed europeo o subiremo: è un problema economico ma soprattutto politico». Valdis Dombrovskis, commissario Ue per l’economia, in una intervista a SkyTg24 dice: «L’Europa è certamente più forte se parla con una sola voce e quando agisce insieme». L’attesa delle mosse di Trump sui dazi è ancora più forte quando si parla di Cina. In campagna elettorale aveva promesso una percentuale pesantissima del 60 per cento sui prodotti in arrivo dal colosso asiatico. Ora però frena: s’ipotizza il 10 per cento. Trump deve dare seguito alle aspettative di una parte dell’elettorato, la working class che ha perso il posto a causa della concorrenza asiatica, ma teme l’effetto collaterale sui prezzi – e sull’inflazione – di una poco ponderata azione. Ieri le borse cinesi hanno avuto un leggero rialzo perché il presidente Usa ha cambiato i toni. Trump: «Abbiamo un potere molto forte sulla Cina, sono i dazi e preferirei non doverli usare. Posso trovare un accordo con Xi Jinping». A Pechino aprono. La portavoce del ministro degli Esteri, Mao Ning: «La Cina non ha mai ricercato deliberatamente un surplus commerciale con gli Usa. Possiamo superare le differenze facendo leva su dialogo e consultazioni». E c’è stato un colloquio telefonico tra il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e il nuovo segretario di Stato americano Marco Rubio. Fanno sapere da Pechino: Wang ha esortato Washington a trattare la questione Taiwan «in modo prudente. Non permetteremo mai a Taiwan di essere separata dalla Cina». Altro fronte aperto, quando si parla di dazi: Canada e Messico. La minaccia di Trump è di una tassazione sulle merci provenienti dai due Paesi confinanti del 25 per cento, anche se gli esperti avvertono che le gravi conseguenze sull’economia non risparmierebbero neppure gli Usa. Trump è tornato alla carica: «Mi auguro che il Canada possa diventare il nostro 51esimo stato». Non solo: Trump sembra fare molto sul serio sulla Groenlandia. Il Financial Times ha rivelato che c’è stata una telefonata tra il presidente Usa e la premier danese, Mette Frederiksen. Trump ha ribadito la sua determinazione nel prendere il controllo della Groenlandia. Il colloquio, avvenuto la scorsa settimana, è durato 45 minuti, e Trump è stato particolarmente «aggressivo».
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