“Si accusano i giudici di essere politicizzati e antimaggioritari solo per avere emesso provvedimenti non conformi alla politica governativa e al tempo stesso, contraddittoriamente, si chiede che la magistratura assecondi o non ostacoli le scelte del potere esecutivo, che sarebbe la forma peggiore di politicizzazione”: è uno dei passaggi principali della relazione del presidente della Corte d’Appello di Palermo, Matteo Frasca. Una relazione che ha aperto l’inaugurazione dell’anno giudiziario nel capoluogo siciliano e ha provocato un’appassionata risposta dei magistrati in fondo all’aula del tribunale: al termine dell’intervento di Frasca tutti si sono alzati in standing ovation. A rimanere quasi impassibile in prima fila invece il presidente della Regione, Renato Schifani, che mentre lo scroscio di applausi risuonava in tutta la sala sfogliava la relazione, senza applaudire. Anche a Palermo, come nel resto d’Italia, quando ha preso la parola il rappresentante del ministro della Giustizia, Alessandro Buccino Grimaldi, i magistrati sono usciti dall’aula con la Costituzione in mano.
Poco prima una gigantografia di Giovanni Falcone era stata trasmessa in aula da un proiettore, mentre Frasca censurava come “inopportuno il tentativo di attribuire la riforma della separazione delle carriere” al giudice ucciso da Cosa Nostra nel 1993, “fino al punto di volerla intitolare a lui”. Secondo il presidente della Corte d’appello, “la memoria di Falcone merita rispetto non solo in occasione delle commemorazioni, e se davvero si vuole rendergli omaggi senza strumentalizzarne post mortem il suo ineguagliabile valore, basta praticare come regola di condotta il suo incrollabile senso dello Stato per il quale ha rispettato sempre le istituzioni e coloro che lo rappresentavano, anche nei momenti di maggiore amarezza: una lezione di etica di stile di cui oggi si avverte la necessità”.
L’alto magistrato ha anche fatto esplicito riferimento agli “intrecci esterni” a Cosa Nostra: quello del distretto di Palermo, ha detto, è “un territorio difficile e complesso nel quale, tra l’altro, si avverte sempre la presenza malefica e pervasiva di Cosa Nostra, sui cui interessi illeciti e torbidi intrecci esterni l’ottima magistratura requirente palermitana indaga in modo incessante, anche per raggiungere la piena verità sui misteri più inquietanti e ancora irrisolti, il cui disvelamento è un dovere primario, non solo a livello giudiziario, di una democrazia altrimenti destinata a rimanere incompiuta”. Criminalità, stragi, omicidi politici e apparati dello Stato: “Nel nostro Paese la questione criminale si intreccia spesso con la questione democratica“, ha ricordato ancora il magistrato. “Stragi e omicidi di tipo politico, corruzione sistemica e una radicata e risalente presenza delle organizzazioni mafiose e la loro correlazione con apparati statali rafforzano il convincimento dell’importanza strategica dello statuto del pubblico ministero, soprattutto alla luce della sua storia che rappresenta plasticamente come il progressivo affrancamento dai condizionamenti esterni e interni abbia rappresentato un’autentica conquista democratica, corroborata dall’obbligatorietà dell’azione penale che concorre ad assicurare sia l’indipendenza del pubblico ministero sia l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge”.
In prima fila, oltre a Schifani, ad ascoltare la relazione di Frasca sedevano l’europarlamentare Caterina Chinnici, il sindaco di Palermo Roberto Lagalla e anche Roberto Scarpinato, ex procuratore generale e oggi senatore per il M5s, che si è alzato assieme ai magistrati in protesta quando è stato il turno del rappresentante del governo: “Nordio passerà alla storia per avere fatto fare molti passi indietro alla giustizia italiana”, ha detto a margine della protesta. Una sferzata alla politica è arrivata anche dal capo della Procura di Palermo, Maurizio De Lucia, che ha voluto sottolineare come gli strumenti per la lotta alla mafia siano, in realtà, soprattutto politici: “Cosa nostra è in fase di fortissima ristrutturazione. Per quanto grande sia lo sforzo, gli strumenti per sconfiggerlaa sono fuori da questo palazzo: il grande sviluppo economico e culturale per questa terra, che merita ben altro che l’oppressione della mafia”. Presente alla cerimonia anche il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo: Cosa nostra, avverte, “ha mostrato una straordinaria capacità di adattamento e trasformazione, affiancando la tradizionale pretesa di controllo intimidatorio e parassitario del territorio, a una straordinaria attitudine ad agire nei mercati legali globali e a partecipare alla costruzione di cartelli e strategie criminali integrati”.
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