ANNO GIUDIZIARIO L’AQUILA: RIVOLTA DELLE TOGHE. PG MANCINI, “ALLARME FURTI E CRIMINI MINORENNI” | Notizie di cronaca

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L’AQUILA  – I magistrati abruzzesi, nel corso della inaugurazione dell’anno giudiziario nel distretto dell’Abruzzo, svoltasi  all’Aquila, alzandosi in piedi con in mano la Costituzione, hanno protestato in silenzio lasciando gli scranni in cui erano seduti ad inizio evento. I magistrati, una trentina, sono rimasti  nell’aula magna. La forma di protesta è stata attuata prima dell’intervento del rappresentante del ministero della Giustizia Vittorio Corasiniti.

Alla luce del prossimo pensionamento del presidente della Corte di Appello, Fabrizia Francabandera, che ha concluso il suo mandato di otto anno, è  stato il presidente vicario Aldo Manfredi, a presentare, oggi all’Aquila, la relazione sull’Amministrazione della giustizia nel distretto dell’Abruzzo.

Nel suo intervento, l’alto magistrato, anche lui vicino al pensionamento, ha affrontato, mostrando perplessità in un discorso però equilibrato, della riforma della giustizia con il tema, caldo, in particolare della separazione delle carriere, e tra le altre cose, ha considerato negativo l’abrogazione dell’abuso d’ufficio. Ha poi ricordato, in un breve inciso, quanto, insieme ad altri colleghi tra i quali l’ex Pm Gianlorenzo Piccioli, si sia  lavorato dopo il sisma per evitare che la Corte fosse trasferita altrove e l’attività faticosa svolta per recuperare i fascicoli dalle macerie.

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“La questione della separazione delle carriere – ha detto Manfredi – è certo progetto divisivo che vede contrapporsi una opposta idea delle funzioni e ruolo del Pm. È innegabile che le ragioni a sostegno dell’intervento di riforma, al netto di polemiche strumentali e preconcette, è sorretta da argomenti certamente seri che pongono in risalto profili dell’attuale assetto ordinamentale, che sono ritenuti poco in sintonia con il modello processuale di tipo accusatorio e con il ruolo del Pm nel processo, che necessiterebbe di vedere rafforzato il ruolo di garanzia e autonomia del giudice, che si teme condizionato dalla posizione di colleganza con il Pm che del processo è parte. Si sostiene in pratica che vi è un nesso che corre tra ogni modello processuale e l’ordinamento all’interno del quale quel modello si inserisce e che il modello accusatorio non si coniuga con l’attuale assetto ordinamentale. Lo stato attuale determinerebbe un condizionamento ed appiattimento favorito, si sostiene, dalla colleganza che l’esperienza, specie per la fase delle indagini preliminari, dimostrerebbe”.

Secondo Manfredi, si tratta di “argomenti, non ho remore a dirlo, certamente seri ed in parte condivisibili, non apparendo certo corretto addebitare a chi sostiene la ragioni di tale modifica ordinamentale (compresi autorevoli giuristi) l’obiettivo di sottomettere il Pm al controllo dell’esecutivo, forse auspicato da taluno, ma non certo dalla gran parte dei giuristi che sostengono con forza la riforma”, anche se, ha sottolineato ancora, “invero, al di là di possibili retropensieri, se ci si confronta senza slogan preconcetti, con il dato normativo del DL Costituzionale, non può non rilevarsi che di tale paventato rischio non vi è traccia, allo stato, anche se, come vedremo, grosso è il rischio che quello sia l’approdo finale della riforma”. Sulla stessa linea anche il procuratore generale Alessandro Mancini.

Il giudice è poi intervenuto sulla cancellazione del reato di abuso d’ufficio.

“Con il rispetto dovuto alle sovrane scelte del legislatore” ha detto, “non posso condividere l’intervento abrogativo del reato di abuso d’ufficio. La giustificazione secondo cui l’abrogazione si sarebbe imposta in quanto si tratterebbe di fattispecie connotata da genericità, che si presterebbe a letture forzate, invasioni di campo nell’agire della P.A., i cui rappresentanti sarebbero intimoriti, al punto da condizionarne l’azione, non sembra cogliere nel segno. L’ultima versione dell’art 323 c.p. era connotata da puntuale carattere di determinatezza e specificità, riducendo di molto la possibilità dell’intervento penale. La fattispecie sanzionava solo condotte di evidente gravità e lesività dei beni della imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, commesse in spregio di specifiche regole di condotte dettate dalla legge o atti aventi forza di legge e a ciò si deve il limitato numero di sentenze di condanna”.

“Condotte di vessazione (l’arrecare ad altri un danno ingiusto) o palese favoritismo (il procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale), gravemente offensive del bene giuridico protetto, perché mosse dalla massima intensità del dolo (quello intenzionale), connotate da violazione di leggi che prevedono specifiche regole di condotta, da cui non residuano margini di discrezionalità. Ne derivava che nella valutazione del giudice esulava qualsiasi possibile sindacato della discrezionalità amministrativa, ciò escludendo qualsiasi indebita invasione di campo. Orbene sembra francamente inaccettabile che condotte siffatte, gravemente lesive degli interessi generali e dei singoli non trovino più tutela e copertura sul piano penale, non coperte in alcun modo dalle altre previsioni dei reati contro la P.A., al punto che pare inevitabile che il legislatore debba prima o poi tornare a coniare nuove fattispecie che non lascino impuniti fatti comunemente avvertiti come gravi e lesivi di valori basilari che devono informare l’agire di chi ricopre una pubblica funzione”.

Spazio  anche al tema del fine vita.

“C’è la necessità urgente di dare risposte chiare sul piano del riconoscimento e tutela di nuovi diritti che la coscienza sociale reclama. Necessità cui il legislatore appare purtroppo inadempiente. È il caso ad esempio del tema del fine vita, che lo vede latitare, incapace di dare attuazione ai pur chiari principi affermati dalla Corte Costituzionale, con una prima ordinanza interlocutoria e, quindi con la sentenza n 249/19, nel caso passato alla storia come quello di “D.J. Fabo”, da cui era scaturito il processo penale con l’imputazione di aiuto al suicidio, che era sottoposta al vaglio di costituzionalità”.

Così il presidente vicario della Corte di Appello dell’Aquila si è espresso su questo scottante argomento:  “Sentenza cui è seguita une terza pronuncia, interpretativa di rigetto, nel luglio scorso. Un tema scottante, che coinvolge la vita e i sentimenti più intimi di tante persone, di tante famiglie devastate dal dolore, che necessita con urgenza dell’intervento del legislatore che dovrebbe riuscire a trovare un punto di sintesi tra le varie posizioni e sensibilità nel rispetto dei valori e principi della Costituzione che tale diritto riconosce, senza fughe in avanti verso inaccettabili forme eutasaiche, che la Corte Costituzionale ha escluso. Manfredi ha posto l’attenzione anche ad un altro “sforzo cui i nostri tempi chiamano il legislatore e tutto il mondo del diritto”.

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“Stiamo assistendo all’avvento di una nuova forma di società, viviamo modifiche epocali del nostro modo di vivere, appaiono nuovi rischi e necessità di nuove tutele dinanzi nuovi pericoli (per la salute, per le libertà, per l’ambiente). Assistiamo a volte frastornati a novità epocali sul piano tecnologico, allo sviluppo dell’ingegneria genetica, alla novità dirompente della intelligenza artificiale, alla ingerenza sempre più marcata nella nostra vita nei sistemi informatici, a nuove domande che derivano dai fenomeni migratori. Tutto ciò necessita di risposte da parte delle scienze giuridiche”, ha concluso Manfredi.

Questa, inoltre, la posizione dei magistrati in relazione alla protesta contro la riforma.

“Non capiamo quale possa essere”, ha detto Daniela Angelozzi, segretaria della giunta esecutiva dell’Associazione nazionale magistrati (Anm) Abruzzo in riferimento alla protesta contro la separazione delle carriere dei magistrati, “la ragione giustificatrice laddove quella che viene esposta è di consentire la parità delle parti  e di evitare che il giudice possa farsi influenzare nella decisione. Questa finalità è tradita dai fatti quindi abbiamo il dovere come magistrati della Repubblica di informare i cittadini e di ricordare che il pubblico ministero non è un superpoliziotto”.

Per quanto riguarda la relazione del procuratore generale Mancini sull’Amministrazione della giustizia nel distretto dell’Abruzzo, si legge: “La situazione complessiva pur non presentando fenomeni endemici e diffusi di criminalità. Grazie alle forze dell’ordine e all’elevato senso civico della popolazione di questa regione, va tuttavia tenuta sotto costante controllo per prevenire possibili infiltrazioni della criminalità organizzata di specie camorristica o della  mafia foggiana che già manifestano l’attenzione al nostro territorio con particolare riguardo al vastese e al sulmonese”.

“Nello scenario di riferimento”, si legge nella relazione, “il fenomeno dei reati contro il patrimonio ha incidenza statistica  preponderante. I furti, in particolare quelli in abitazione, ingenerano un senso di inquietudine e di allarme sociale e  l’attività di contrasto è resa difficoltosa in quanto il territorio è molto ramificato e nella maggior parte dei casi vengono prese di mira abitazioni isolate. Tuttavia il fenomeno non appare direttamente collegato a dinamiche di criminalità organizzata”.

“Notizie negative”, ha detto il magistrato, “arrivano sul fronte della criminalità minorile. Il procuratore  della Repubblica per i minorenni segnala come si assiste a una progressiva e profonda trasformazione della criminalità minorile ormai evoluta in in forme complesse e organizzate. All’interno di diverse aree urbane aumenta il degrado dei singoli quartieri ma anche in zone centrali tradizionalmente poco coinvolte in eventi illeciti. Il disagio profondo delle fasce minorili viene prontamente sfruttato dalle organizzazioni criminali per il reclutamento della manovalanza”. “Insomma”, ha aggiunto, “è quanto mai ora di tornare a occuparci seriamente e senza deleghe in bianco dei propri figli e alunni”.

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