Giustizia, Salvato: «Questa riforma non serve e si rischia un pm più forte. La protesta? Meglio il dialogo»

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di
Giovanni Bianconi

Il pg della Cassazione: «I problemi della giustizia sono altri»

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«Credo che la questione vada affrontata senza evocare scenari apocalittici, dal momento che la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri non tocca i cardini e i principi fondamentali dell’ordinamento democratico, né quelli dell’Unione europea che non prevedono un modello unico di pm».

Allora perché lei è contrario?
«Perché non esistono ragioni valide per andare oltre la totale separazione delle funzioni tra giudici e pm che già esiste. E le principali criticità addotte per giustificare la separazione delle carriere non verranno affatto risolte dalla sua introduzione. Anzi, si rischia di aggravarle».




















































Il procuratore generale della Cassazione Luigi Salvato, che tra meno di due mesi andrà in pensione lasciando il ruolo di pubblico ministero più alto in grado d’Italia, nel suo intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario ha invitato le forze politiche a evitare «indirette rivalse che sgretolino l’indipendenza della giurisdizione», ricordando che «mai può giovare all’equilibrio tra poteri l’immagine di una magistratura inutilmente sfregiata agli occhi dei cittadini». E ora spiega perché la riforma costituzionale fortemente voluta e propagandata dal governo non lo convince. Anzi, lo preoccupa.

Una delle ragioni, sostenuta anche dal ministro della Giustizia, è il presunto strapotere dei pm che si avventurano in indagini fondate sul nulla, come dimostrerebbe l’alto numero di assoluzioni.
«Sulle posizioni politiche espresse dal ministro preferisco non pronunciarmi. Ma in realtà proprio le assoluzioni frequenti sono la prova che non c’è alcun atteggiamento di acquiescenza del giudice nei confronti del pm. E se questo divario esiste già con un pm inserito in un unico ordine giudiziario, formato all’interno di una stessa cultura della giurisdizione, quando l’accusatore apparterrà a un corpo separato tenderà ad allargarsi».

Perché?
«Perché la riforma non tocca l’indipendenza e l’autonomia del pm garantiti attualmente, e dunque ci troveremo di fronte a un pm che conserva struttura e status del giudice, ma separato, e quindi più forte. Realizzando una vera e propria eterogenesi dei fini».

Pensa anche lei, come l’Anm e la maggioranza dei magistrati contrari alla riforma, che questa sarà l’anticamera della sottoposizione del pm al potere esecutivo?
«È una congettura che potrà rivelarsi vera o falsa, ma in quanto congettura non favorisce un dibattito serio. Il punto è che la riforma rafforzerà la figura del pubblico ministero, a scapito delle garanzie offerte attualmente al cittadino. Oggi il pm ha comunque il dovere di essere imparziale e di cercare prove anche a favore dell’indagato, ma domani si vedrà premiato solo sulla base delle condanne ottenute, e questo comporterà maggiori difficoltà per la difesa delle persone coinvolte».

I pm che cercano prove a favore degli indagati, già oggi, non sembrano così tanti…
«E domani rischiano di essere ancora meno! Le riforme di sistema non si possono basare sulle patologie o sugli errori dei singoli: senza equilibrio, correttezza e coerenza morale di tutti i magistrati non ci sono separazioni che tengano, si possono erigere muri ma le distorsioni ci saranno sempre. Gli errori vanno corretti attraverso le regole processuali, e già la riforma Cartabia del 2022 ha introdotto, ad esempio, norme più stringenti per le richieste di rinvio a giudizio, che si possono fare solo di fronte a una ragionevole prognosi di condanna».

Ma l’idea del giudice equidistante da pm e difensore, come nel triangolo isoscele sempre illustrato dal viceministro della Giustizia Sisto, non la convince?
«Lo stesso viceministro Sisto ha detto, come riportato dalla stampa, che l’obiettivo è quello di un “giudice gigante” e a me, da cittadino, un giudice gigante preoccupa. Come il pm gigante. L’equidistanza non si ottiene con la separazione delle carriere, ma realizzando pienamente il principio che la prova si forma in dibattimento, senza dare peso a tutte le acquisizioni del pm al di fuori della fase dibattimentale. E ancora una volta non vedo alcuna coessenzialità tra il rito accusatorio e la separazione delle carriere».

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Che dovrebbe servire, dicono i suoi fautori, anche ad evitare la gogna dei processi mediatici. Non è così?
«Temo proprio di no. Di nuovo la riforma Cartabia ha stabilito che la mera iscrizione sul registro degli indagati non può e non deve avere effetti per la persona coinvolta, proprio per disinnescare la gogna mediatica; un principio troppo spesso dimenticato da opinione pubblica e organi di informazione. E con un pm separato e più forte, il problema può aggravarsi anziché risolversi. I mali che affliggono la giustizia penale sono tanti, ma a nessuno di questi la separazione delle carriere pone rimedio; mettendo su due piatti della bilancia vantaggi e svantaggi, credo che gli svantaggi pesino molto di più».

Neanche la creazione di un’Alta corte disciplinare svincolata dal Consiglio superiore della magistratura la convince?
«Su quella sono d’accordo, ma non si può fare solo per la magistratura ordinaria. Perché lasciare fuori quella amministrativa, tributaria, contabile e militare? Lì non ci sono criticità? Inoltre, a fronte di due Corti distinte è rimasto un unico organo d’accusa, cioè la Procura generale della Cassazione che attualmente dirigo, e questo mi pare illogico, tanto più con la separazione delle carriere: come può il pg esercitare l’azione disciplinare anche nei confronti dei magistrati giudicanti?».

Un’altra eterogenesi dei fini?
«Certo, perché così si realizzerebbe davvero una forma di condizionamento del giudice da parte del pm. Meglio un organo requirente esterno e unico, che garantirebbe una giustizia disciplinare coerente per tutte le magistrature. Infine penso che andrebbe composta con il meccanismo previsto per la Corte costituzionale, anziché i togati per sorteggio e i laici eletti dal Parlamento».

E il sorteggio per la composizione dei due Csm, come lo giudica?
«Contrario ai principi essenziali della democrazia. Perché allora non sorteggiare anche i consiglieri comunali? Vogliono rimuovere le degenerazioni del correntismo e le aggregazioni che si formano per finalità spartitorie, che esistono e sono una reale stortura, ma temo che inevitabilmente si riproporranno anche col nuovo sistema. Il sorteggiato avrà sempre amicizie, conoscenze e appartenenze che lo porteranno ad allearsi con uno piuttosto che con un altro».

Che cosa pensa della protesta dei magistrati alle cerimonie di ieri nelle corti d’appello?
«Il pensiero, anche critico, va sempre esplicitato, ma in una logica costruttiva. Meglio il dialogo, sia pure aspro e serrato, che il rifiuto di ascoltare. La radicalizzazione del confronto, che porta inevitabilmente allo scontro, andrebbe evitata. Da parte di tutti».


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