Il calcio francese è seduto su una montagna debitoria da 1,2 miliardi di euro. Colpa di una spericolata dipendenza dalle plusvalenze. E del bagno di sangue sui diritti televisivi, che hanno portato la miseria di 500 milioni di euro a stagione. Soldi che prima hanno drogato l’economia del pallone e poi sono spariti. Un messaggio pure per gli altri campionati europei.
Una grave crisi industriale. Non si può definire altrimenti la fase attraversata dalla Ligue 1, il principale campionato di calcio francese. Col passare delle settimane si sommano le analisi e concordano nel tratteggiare una situazione da allarme rosso. Ma la rovinosa traiettoria era chiara e prevedibile già da prima che giungesse lo choc della pandemia, da cui è giunta una drammatica accelerazione. Di cui adesso sono visibili le estreme conseguenze, con annessa lezione che altri sistemi calcistici nazionali farebbero bene a studiare e apprendere.
Campionato di formazione più che di reclutamento
Non va dimenticato che la Ligue 1 continua a essere, sia pure un po’ forzosamente, inserita nel gruppo delle Big 5, le cinque maggiori leghe calcistiche europee. Rispetto alle altre quattro (Premier League inglese, Liga spagnola, Bundesliga tedesca e Serie A italiana), quella francese è sempre stata la sorella minore, tanto per forza economica quanto per rilevanza tecnica. Inoltre, fra la Ligue 1 e le altre grandi leghe è sempre passato un distinguo rilevante: quello di essere un campionato più orientato alla formazione, mentre le altre quattro sono leghe dalla (più o meno spiccata) vocazione per il reclutamento. Ma pur facendo la tara di queste differenze fra la principale lega calcistica francese e le omologhe europee, rimane il fatto che la crisi della Ligue 1 è anche un avviso per le altre big. Da Parigi potrebbe essere partito un effetto domino di cui la Serie A dovrebbe essere la prima a tenere conto.
Quell’insana dipendenza dalle plusvalenze
Quello che sembra essere un penultimo avviso è stato lanciato dalla Direction Nationale du Contrôle de Gestion (Dncg), l’organismo interno alla Ligue de Football Professionel (Lfp) che si occupa di monitorare costantemente i conti dei 36 club di Ligue 1 e Ligue 2 e che per questo motivo si è visto attribuire l’etichetta di «gendarme finanziario del calcio francese». Un’etichetta appropriata, visto il rigore usato dalla Dncg nell’assolvere al proprio ruolo senza guardare in faccia piazze e blasoni. Stando a quanto è stato rivelato tre giorni fa dal quotidiano sportivo L’Equipe, nel corso di una riunione tenuta a novembre 2024 il capo della Dbcg, Jean-Marc Mickeler, ha tratteggiato un quadro sconvolgente. Il movimento del calcio professionistico francese è seduto su una montagna debitoria da 1,2 miliardi di euro. Una cifra enorme, vista la dimensione delle due leghe. Ma ciò che di maggiormente grave è stato rilevato è l’eccesso di dipendenza da plusvalenze. Un elemento che mette in evidenza l’aspetto di più grave anomalia dell’economia calcistica e che per questo è un messaggio che anche gli altri movimenti calcistici nazionali dovrebbero prendere in considerazione.
Magheggi di bilancio per mettere a posto i conti
A questo proposito è il caso di mettere alcuni punti fermi. Nel passato recente si è molto parlato di plusvalenze nel calcio e lo si è fatto a proposito dei casi in cui i club hanno usato lo strumento nella formula delle plusvalenze “a specchio” o “gemelle”, cioè prodotte tramite scambi di calciatori per valori identici. In circostanze del genere non si genera alcun effetto di cassa (nemmeno un euro in entrata e in uscita), ma in termini di bilancio vengono azionati effetti che permettono di rimettere artificialmente i conti dei club in linea di galleggiamento.
Il riferimento alla casistica delle plusvalenze è utile per due motivi. Il primo motivo è che bisogna distinguere tra plusvalenze reali e plusvalenze di carta. Il secondo motivo è che un’economia che si lega mani e piedi alle plusvalenze (anche quelle reali) è strutturalmente insana. Proprio su quest’ultimo aspetto si sofferma l’allarme della Dncg. Le società calcistiche francesi hanno legato eccessivamente il loro modello di business alla possibilità di realizzare grossi introiti sulla cessione di calciatori. Dunque, si sono create una dipendenza da plusvalenza.
Un ordinario modo di costruire gli utili aziendali
Come detto prima, ciò costituisce la grande anomalia dell’economia calcistica. In un ordinario contesto di business, la plusvalenza è un’eccezione e come tale va trattata anche in termini di tassazione. Invece nel calcio la plusvalenza è un ordinario modo di costruire gli utili aziendali per molti (troppi) club. Ma cosa succede quando non hai più calciatori da piazzare sul mercato, o quando il mercato non è più in grado di assorbirli? Ecco, per i club francesi pare proprio essere giunto questo collo di bottiglia. La dipendenza da plusvalenza ha presentato il conto.
Diritti tivù in calo per un torneo con poco appeal
L’altro fronte di grave emergenza, quello sul quale il modello di business dei club professionistici francesi sta rischiando di frantumarsi, è quello dei diritti televisivi. La vicenda dell’ultimo rinnovo, giunto lo scorso campionato fuori tempo massimo e per una cifra molto bassa (500 milioni di euro a stagione) ha certificato quali siano il valore e l’appeal di un campionato dal vincitore scontato ormai da anni: il Paris Saint Germain, che ha dominato 10 degli ultimi 12 campionati (lasciando solo quello 2016-17 al Monaco e quello 2020-21 al Lilla) e anche quest’anno dopo 18 partite è primo con 9 punti di vantaggio sul Marsiglia allenato dall’italiano Roberto De Zerbi.
Oggi sta succedendo in Francia, domani chissà
Su questo fronte la discesa di valore è stata vertiginosa. Il miraggio degli 1,1 miliardi di euro a stagione promessi dal contratto con Mediapro (2020) si è dissolto in piena pandemia, quando la tivù del magnate catalano Jaume Roures si è rivelata inadempiente. Il successivo accordo d’emergenza, firmato sulla base di 624 milioni di euro a stagione, pareva già poca cosa, comunque in ribasso rispetto ai 726 milioni a stagione del 2016-20. Coi 500 milioni assicurati dalla coppia Dazn-beIN siamo praticamente all’elemosina. Una così drastica decurtazione dei ricavi ha messo in crisi i conti dei club, che su incassi ben maggiori avevano fatto affidamento. Il messaggio che deriva è chiaro: occhio a puntare eccessivamente sui diritti tivù. Quei denari hanno drogato l’economia del calcio. Ma potrebbero sparire con la stessa facilità che li ha visti arrivare. Oggi in Francia, domani chissà.
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