L’emigrazione italiana in Australia  – Corriere Peligno

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Annotazioni e spigolature sulla recente visita del sindaco dell’Aquila alle nostre comunità

di Goffredo Palmerini  * 

Melbourne dal grattacielo Rialto

L’AQUILA-I primi italiani arrivarono in Australia nella metà dell’Ottocento. Ne dà puntuale riferimento il Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo (SER-Fondazione Migrantes, 2014), un’opera “monumentale” ideata e diretta da Tiziana Grassi, realizzata con il contributo di 168 autori, tra i quali anche chi scrive. Si trattò soprattutto di missionari, politici in esilio, musicisti, artisti e liberi professionisti partiti dall’Italia centro-settentrionale ai quali, ben presto, si unirono altri italiani economicamente benestanti e portati all’imprenditoria. Bisogna poi aggiungere che la corsa all’oro del Victoria, iniziata nel 1850, e l’opportunità di coltivare le terre vergini del New South Wales e del Queensland, avevano attirato migliaia di italiani, data la ristrettezza di manodopera disponibile in quel nuovo e sterminato Paese, il sesto più esteso del mondo con i suoi 7.703.429 km2 di superficie. 

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Il primo Censimento in Australia risale al 1881 e registrò 521 italiani nel New South Wales, 947 nello Stato di Victoria, 250 nel Queensland e 10 nel Western Australia. Nel 1891 giunsero dall’Italia oltre 300 contadini, primo contingente d’una immigrazione pianificata nell’attuazione del programma nazionale australiano della “White Australia”. Questi contadini andarono in Queensland a sostituire i lavoranti di colore nella coltivazione della canna da zucchero. L’emigrazione italiana in Australia aumentò drasticamente a seguito delle restrizioni imposte dalle autorità americane all’immigrazione negli Stati Uniti. Il Censimento del 1921 registrò la presenza in Australia di 8.135 italiani. Dal 1922 al 1925 ve ne arrivarono altri 15 mila. Dopo la Seconda Guerra mondiale fu avviato in Australia il progetto “Populate or Perish”, teso ad incrementare la popolazione a fini strategici, economici e militari. Fu questo il periodo del massimo arrivo di italiani, una sorta di emigrazione di massa che portò all’aumento – nell’arco di due decenni (anni ’50 e ’60) – del numero degli italiani di 10 volte rispetto al periodo anteguerra. Dal 1947 al 1976 emigrarono in Australia ben 360.000 italiani, provenienti in gran parte da VenetoFriuli Venezia GiuliaCalabriaAbruzzo e Campania. I dati censuari del 1971 indicarono 289 mila presenze italiane, che nel 1991 scesero a 254 mila. 

Nei primi tempi dell’arrivo nel grande Paese oceanico, i nostri emigrati, in gran parte privi di specifiche professionalità e della conoscenza della lingua, poterono svolgere solo lavori manuali non qualificati nel campo dell’industria pesante, delle costruzioni, dell’agricoltura. Si contano situazioni di difficoltà, nel primo periodo, che portarono anche ad accese proteste specie in congiunture di crisi economica. Nel luglio del 1961 scoppiarono di nuovo disordini che coinvolsero italiani e altri migranti da altri paesi europei, tanto che il Governo italiano, allora presieduto da Amintore Fanfani, rifiutò di rinnovare l’accordo di migrazione con l’Australia finché gli emigranti italiani non fossero stati trattati alla pari di quelli britannici. Le autorità italiane chiedevano per gli emigrati assistenze di vario genere, benefici di insediamento e garanzie di lavoro. Le autorità australiane alla fine accolsero alcune delle richieste e l’intesa fu sottoscritta dai due governi. All’inizio pochi erano i servizi in risposta alle esigenze italiane nella società australiana, ma un ruolo rilevante nel migliorare la situazione lo ebbe la stampa in lingua italiana – Il Globo a Melbourne e La Fiamma a Sydney – non solo nell’informazione, quanto nel sostenere le richieste della comunità italiana che favorirono la nascita di club sociali e una serie di strutture di servizio.

Il-sindaco-Biondi-con-i-Consoli-generali-dItalia-a-Sydney-e-Melbourne-Gianluca-Rubagotti-e-Chiara-Mauri.

In ogni modo, gli italiani erano comunque visti come la soluzione ottimale al problema della drammatica mancanza di manodopera. E come sempre hanno dimostrato nelle situazioni più dure e difficili, essi furono capaci di brillare presto e facilmente per impegno, resistenza, diligenza e curiosità nell’apprendere. Le istituzioni pubbliche senza fatica ammettevano che non era facile reggere il paragone con gli italiani, per qualità e laboriosità, sicuramente non da parte degli anglo-australiani, noti per alcune loro caratteristiche: il muoversi lentamente, il non preoccuparsi di alcunché, la mancanza di emulazione, il bere di tutto e in abbondanza specie nel giorno di paga, costringendo molte mogli ad attenderli al cancello della fabbrica per assicurare che la busta paga fosse messa in salvo per la famiglia.

La maggior parte degli italiani in Australia ha origini meridionali ed è insediata nelle città degli Stati più industrializzati. E questo perché la massiccia emigrazione del secondo dopoguerra si indirizzò soprattutto verso il settore industriale, nelle costruzioni e successivamente nel terziario, nei servizi e nel commercio, ma anche in agricoltura. Pur fortemente presenti nelle vaste aree urbane – SydneyMelbourneAdelaidePerthBrisbaneCanberra – la comunità italiana si è diffusa anche nell’hinterland delle metropoli e in Tasmania, specie nell’area di Hobart. Attualmente la comunità d’origine italiana si stima di poco superiore a 900mila persone e in Australia è ormai radicata e diffusa una cultura italo-australiana che ha fortemente inciso anche su elementi culturali del Paese.L’impatto dell’emigrazione italiana è stato assai significativo, fornendo talento e creatività, capacità d’iniziativa e competenze che hanno aiutato l’Australia a diventare l’economia moderna che oggi è. 

Le generazioni degli italiani successive a quella immigrata nel secondo dopoguerra hanno conquistato nella società australiana ruoli di primaria rilevanza nell’imprenditoria, nell’economia, nella ricerca e nelle università, nelle arti e nei servizi, come nella vita istituzionale e politica, con ruoli spesso di grande prestigio. La storia dell’emigrazione italiana nel grande Paese oceanico può certamente considerarsi come un successo e la comunità italiana può essere davvero orgogliosa dei risultati che le generazioni successive alla prima emigrazione hanno saputo conquistarsi in termini di stima e rispetto, fino all’onore di vedere il figlio di un emigrato pugliese,Anthony Norman Albanese, diventare Primo Ministro del Governo australiano.

Ora un breve focus sull’emigrazione abruzzese. Studi della Fondazione Migrantes, sull’emigrazione rapportata per regioni italiane, documentano che nel periodo 1876-2005 le prime tre regioni con il maggior numero di espatri sul totale sono il Veneto (3.212.919), la Campania (2.902.427), la Sicilia (2.883.552). L’Abruzzo è al settimo posto, con 1.254.223 espatri. Dunque un altro Abruzzo è fuori dai confini della regione e dell’Italia. E quest’altro Abruzzo è uno straordinario patrimonio di uomini e donne che rendono onore all’Italia e alla terra natale dove affondano le loro radici, dove s’ispirano le loro emozioni, dove traggono l’eredità culturale, dove ripongono l’amore per secolari tradizioni e le nostre ricchezze artistiche e ambientali. Di questo retaggio hanno una sana fierezza, un orgoglio denso di antichi valori, specchio della millenaria civiltà delle genti d’Abruzzo. Della loro terra, dei borghi e delle città che la costellano, dello straordinario scrigno di meraviglie d’arte e architetture, della cangiante armonia che dalle alte vette del Gran Sasso, del Sirente e della Maiella, scende alle rigogliose colline fino allo splendore del mare, i nostri abruzzesi nel mondo sono profondamente innamorati. E la straordinaria bellezza del nostro Abruzzo la raccontano in tutta la sua suggestione laddove loro vivono. 

Dopo la grande emigrazione a cavallo tra ‘800 e prima metà del ‘900, che aveva visto l’emigrazione abruzzese dirigersi principalmente in Argentina, Brasile, Stati Uniti, nel secondo dopoguerra i flussi migratori dall’Abruzzo prediligono ArgentinaStati UnitiCanadaVenezuelaAustralia e l’Europa (Svizzera, Francia, Belgio, Germania e Regno Unito). Se in genere sono state dure le condizioni degli emigrati italiani per affrancarsi dai problemi patiti dalla prima generazione migratoria, per gli Abruzzesi lo sono state ancor di più. Riscattando le condizioni di povertà dignitosa che furono alla base della loro emigrazione in ogni continente, lasciando i borghi delle nostre montagne grame o i paesi delle pianure ancora soggiogate dal latifondo, gli Abruzzesi hanno contribuito, specie nell’ultima metà del secolo scorso, alla crescita dei Paesi d’accoglienza, conquistando stima e considerazione con il generoso esempio di vita che hanno saputo dare. Chi ha la pazienza e l’umiltà di raccogliere le storie vissute dei nostri emigrati se ne renderà conto. Ne avvertirà il senso e l’anima stessa di quest’altro Abruzzo, illuminato di sapienza, di talento e di valori. 

Hobart (Tasmania)

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È ciò che certamente ha riscontrato il sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi, insieme alla delegazione della Municipalità e della Fondazione Carispaq, recatesi in Australia per ringraziare la generosità della comunità italiana, abruzzese in particolare, e il Governo australiano per la donazione fatta a L’Aquila nel 2009 all’indomani del sisma, allo scopo di soccorrere le popolazioni duramente colpite dal terremoto e comunque per dare un segno concreto per la rinascita della città Capoluogo. Non è intenzione di chi scrive entrare nella disputa sui costi della missione, accesa dall’opposizione in Consiglio comunale. Da conoscitore attento del mondo dell’emigrazione – e dei limiti di adeguatezza e di sottovalutazione riguardo al valore delle nostre comunità all’estero, che spesso le istituzioni rivelano -, trovo giusto e doveroso che la Municipalità abbia fatto questo gesto di attenzione e di gratitudine nei confronti di chi ha espresso vicinanza e solidarietà verso la città colpita dal terremoto. 

Altro discorso è se le attese di quelle comunità sulla destinazione della loro generosità abbia trovato tempestiva concretizzazione, posto che l’appello lanciato nel 2009 dal Comitato per la raccolta degli aiuti di solidarietà alle popolazioni terremotate, come ha recentemente ricordato in un editoriale Franco Baldi direttore del settimanale australiano ALLORA, erano da destinare alle persone, per le esigenze più impellenti di assistenza. Cosa che non è stato, per il fatto che a tale assistenza ben rispondevano le azioni poste in essere dalla Protezione Civile e dalla efficiente rete del Volontariato. Cosicché si scelse l’opzione della realizzazione di un’opera pubblica utile e significativa per la comunità aquilana, passata per ritardi e cambiamento di programma dalla prima ipotesi di realizzazione di un Teatro a Piazza d’Armi alla scelta di un anno fa di utilizzare 2,9 milioni di euro della donazione per restaurare la Torre civica di Palazzo Margherita, come proposto dalla Fondazione Carispaq alla Municipalità d’intesa con il Comitato degli Italiani d’Australia promotore nel 2009 della raccolta fondi insieme all’Italian Media Corporation.

Se per un verso giusto è esprimere gratitudine per la loro generosità, altrettanto giusta sarebbe la gratitudine per la pazienza che le nostre comunità in Australia hanno mostrato rispetto alla lentezza della risposta. Anche a chi scrive è capitato di ricevere riserve per i lamentati ritardi da alcuni esponenti di quelle comunità. Avvertivo il disagio di chi le comprendeva, ma non aveva alcuna diretta possibilità di mutare il corso delle cose. Immagino che negli incontri avuti il sindaco Biondi abbia avuto questa sensibilità e questa accortezza, insieme alla premura di annunciare l’imminente definizione del progetto per il consolidamento e restauro della Torre civica, resto del duecentesco Palazzo del Capitano. Un’opzione che, grazie all’iniziativa congiunta Fondazione Carispaq-Comune dell’Aquila, almeno ha posto fine ad una sequela di ritardi seguiti alla progettazione del Teatro a Piazza d’Armi, all’eseguito appalto, al contenzioso con la ditta aggiudicataria dei lavori, fino alla tardiva revoca dell’affidamento dei lavori. 

In ogni modo preme sottolineare come la missione della Municipalità in Australia abbia avuto un suo valore, anche morale, verso chi ci è stato vicino dopo la tragedia del 2009. E se ora la Municipalità saprà essere attenta e solerte nella realizzazione del restauro della Torre civica, si potrà dare una risposta concreta e finalmente una destinazione dignitosa alla donazione ricevuta dall’Australia, recuperando un bene architettonico di grande valore storico, fortemente legato alla memoria collettiva degli Aquilani per via della Cappella blindata dov’era conservata – e dove tornerà ad essere custodita – la Bolla “Inter Sanctorum Solemnia” del 29 settembre 1294, con la quale Celestino V istituì la Perdonanza. Cosicché il restauro di quel bene prezioso per gli Aquilani recherà per sempre memoria della generosità degli Italiani d’Australia

Melbourne,la delegazione aquilana presso la redazione del quotidiano ‘Il Globo’

Altro elemento significativo della missione è certamente l’aver permesso alla delegazione aquilana di conoscere de visu le comunità abruzzesi di Melbourne e Hobart, come pure gli esponenti più rappresentativi delle comunità di Sydney, Adelaide, Canberra, Perth e Brisbane. Per di più la città di Hobart, gemellata con L’Aquila, meritava un’attenzione particolare e una visita del sindaco dell’Aquila, dopo quella che il sindaco Antonio Centi le fece nell’ottobre 1997 andando a sottoscrivere l’atto di gemellaggio. Un’amicizia solida, quella con Hobart, che più volte gli amministratori della città capitale della Tasmania hanno confermato visitando più volte la nostra Città. Lo meritava poi l’Associazione Abruzzese di Hobart e il suo attuale presidente Tony De Cesare, come pure i suoi predecessori Angela D’Ettorre e il compianto Nicola Ranalli.

Utile, la visita, anche per constatare la qualità e l’operatività delle associazioni abruzzesi a Melbourne, e delle loro efficienti strutture comunitarie – Casa d’Abruzzo Club, Maiella Club, Abruzzo Club –, guidate da presidenti di grande prestigio, come Fernando CardinaleMario Centofanti e Franco Di Iorio. Le loro attività sociali e culturali conservano il valore delle radici e sono un cespite prezioso sul quale L’Aquila e l’Abruzzo possono contare per positive collaborazioni, non solo riguardo al turismo di ritorno. Nelle principali città d’Australia altri dirigenti delle comunità abruzzesi rendono onore alla loro terra d’origine e vanno menzionati per la loro opera e il loro valore, quali il presidente dell’associazione abruzzese di Adelaide, Carmine Di Sante, il presidente dell’associazione di Sydney, Antonio Santomingo, la presidente dell’associazione Vasto Club di Perth, Angela D’Alonzo, il presidente dell’associazione abruzzese di Brisbane, Emilio La Monaca, il presidente dell’associazione abruzzese di Canberra, Giovanni Di Zillo, la presidente dell’associazione abruzzese in Western Australia, Palmina Silvestri, il presidente dell’associazione abruzzesi del New South Wales di Sydney, Luigi Bucciarelli, il presidente del Circolo Culturale “F.P. Michetti”, Guido Mascitti, infine il presidente della Federazione delle Associazioni Abruzzesi d’Australia, Joe Delle Donne, anche membro del CRAM e per molti anni sindaco di Canning, città dell’area metropolitana di Perth. Come infine non ricordare figure meritorie per l’associazionismo abruzzese, come Giuseppe FalascaSimone Di Francesco e i compianti Remo Guardiani e Alberto Di Lallo.  

Per concludere, la missione in Australia ha avuto un suo merito significativo, anche per aver rinsaldato i legami con i presidenti dei Comites d’Australia, rappresentativi delle comunità italiane nel grande Paese oceanico, ben coordinati da Ubaldo Aglianò, presidente del Comites di Victoria e Tasmania. Averli informati e ringraziati, presenti i Consoli Generali d’Italia a Melbourne e Sydney, ha dato ancor più il crisma dell’ufficialità alla missione aquilana. Osservo solo – se è consentito ad un modesto amministratore comunale di lungo corso – che per la missione in Australia, come per ogni altra missione che riguardi visite all’estero, c’è l’esigenza da un lato di cogliere per intero le opportunità che l’iniziativa può rendere, con obiettivi ben chiari nel programma della visita – come immagino sia stato nelle preoccupazioni del sindaco Biondi –, dall’altro di mettere in campo tutte le sinergie possibili per raggiungere il massimo risultato. 

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Ora, se la missione è stata anche occasione per richiamare il prossimo anno 2026 che vedrà L’Aquila Capitale italiana della Cultura, a mio sommesso parere, ben sarebbe stato opportuno che la Municipalità avesse proposto alle più importanti Istituzioni culturali aquilane di partecipare, a loro spese e ciascuna con un esponente rappresentativo, alla missione in Australia. Si sarebbe così potuta offrire la diretta testimonianza della qualità di quanto la Città va progettando per il 2026, per esprimere al meglio la sua caratura culturale e l’eccellenza della proposta per innovazione e creatività, al miglior livello della tradizione culturale aquilana. A tal riguardo sarà bene, in eventuali prossime occasioni di vetrina all’estero, utilizzare ogni collaborazione utile, al fine d’esternare compiutamente la ricchezza delle espressioni culturali della Città. L’Aquila, la sua Municipalità, deve guardare con sempre più attenzione all’altra Italia e all’altro Abruzzo. Realtà che possono aprire orizzonti inusitati di nuove prospettive e opportunità.   

* scrittore e giornalista



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