Pressati da chi si sente a rischio. Tre punti per cambiare lo «spartito»

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La recente indagine pubblicata da Nando Pagnoncelli sul rapporto tra variabili sociodemografiche e preferenze di voto degli italiani offre in filigrana una chiave di lettura straordinariamente preziosa su bisogni, preoccupazioni ed aspirazioni dei nostri cittadini. La lente più interessante con cui guardare ai dati sono le differenze di voto tra la destra (prendendo a riferimento Fratelli d’Italia), la sinistra (guardando al Pd) e i Cinquestelle per classi d’eta, condizione di lavoro, area geografica, livelli di reddito e d’istruzione.

Come incidono sul voto lavoro, istruzione, redditi e territorio

La prima discriminante che balza agli occhi è la condizione lavorativa. Per commercianti, autonomi ed artigiani il divario nazionale di 5 punti tra i due maggiori partiti si allarga a 14 punti (30% FdI, 16% Pd). Colpisce, anche se si tratta di un dato in parte noto, la struttura delle preferenze della “classe operaia” dove FdI è avanti di 13 punti percentuali. Come atteso per studenti, insegnanti e pensionati la differenza nazionale si restringe invece a favore del Pd, fino ad annullarsi per l’ultima categoria.

Altra variabile chiave è il livello d’istruzione perché tra i laureati il Pd ha 7 punti di vantaggio mentre tra coloro che hanno non più di licenza media o elementare Fratelli d’Italia ha 9 punti di vantaggio.

Infine colpisce il dato sulla condizione economica dove sorprendentemente, per i livelli di reddito medio-alti le distanze sono simili a quelle dei dati nazionali mentre per i redditi più bassi i Cinquestelle (che a livello nazionale perdono 14 punti da FdI e 9 punti dal Pd) sono avanti di 10 punti percentuali. Un vantaggio simile per i pentastellati lo troviamo tra i disoccupati con 7 punti percentuali di vantaggio su FdI. Se guardiamo alle aree geografiche balza infine agli occhi il dato del Nord-Est dove il vantaggio della destra si allarga a 16 punti.

Sul fisco ascoltare gli “esposti al rischio”

Questi dati dicono tre cose fondamentali che dovrebbe considerare una forza politica con l’ambizione di rappresentare adeguatamente le istanze delle varie componenti del Paese e allargare i propri consensi tra tutti i ceti sociali.

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La prima. Proviamo a pensare alla nostra condizione lavorativa come ad un’attività finanziaria che ci dà un determinato rendimento (il reddito o la pensione mensile). Una parte del Paese (pensionati, insegnanti, lavoratori del pubblico) ha in mano un titolo magari a basso rendimento ma a rischio quasi nullo (se eccettuiamo l’inflazione). Dall’altra c’è chi è esposto quotidianamente ai rischi di mercato (artigiani, commercianti, autonomi) e dunque si trova in mano un titolo magari a rendimenti potenzialmente più elevati ma a rischio molto maggiore. Se questo è vero ha assolutamente senso che i primi siano, a parità di reddito, più tassati dei secondi. Non è un mistero che questa seconda parte del Paese si senta più tutelata da politiche come quella della flat tax e del “fisco amico” che sono appannaggio della destra. La sinistra non è stata in grado sino ad oggi di offrire una risposta competitiva rispetto a queste politiche.

La buona politica investe su povertà educativa e materiale

C’è poi un problema di cultura, istruzione e, in negativo, di analfabetismo funzionale. Sull’istruzione non possiamo scherzare perché sappiamo quanto sia correlata con la capacità di avere professioni e redditi migliori, più anni di vita in salute e una vita più soddisfacente e ricca di senso. Fondare un vantaggio politico competitivo sull’ignoranza è dannoso per i cittadini e prima o poi si rivolta contro le stesse forze politiche.

Un terzo problema è quello legato al tema della povertà e della disoccupazione. Qui la nostalgia per il reddito di cittadinanza dei Cinquestelle sembra incidere in maniera significativa sulla distribuzione dei consensi per le fasce di reddito più basse e per i disoccupati.

In società sottoposte a continui shock come le nostre la povertà non può essere derubricata a mera responsabilità personale perché molti eventi della vita (perdita di lavoro, shock di relazioni, problemi di salute) possono concorrere a determinare un crollo improvviso. Nessun Paese e nessun partito oggi pensa di poter fare a meno di una misura contro la povertà. Il limite del Reddito di cittadinanza dei Cinquestelle (misura universale e selettiva) è stato quello dei tempi lunghissimi della presa in carico dei beneficiari. Il limite della misura di oggi sono i criteri che selezionano occupabili e non occupabili sulla base di elementi discutibili e prima di un incontro o di una profilazione da parte di un assistente sociale. Il vero valore aggiunto di una misura contro la povertà non è tanto l’esborso economico quanto la frequenza della relazione con qualcuno che può prendersi cura di te.

Il tornaconto di un partito è il bene comune

Le preferenze di voto espresse dagli italiani esprimono non solo simpatie, ma anche e soprattutto bisogni, grida di dolore, proteste e preoccupazioni. Queste grida di dolore devono essere lette ed interpretate da forze politiche lungimiranti che: farlo, per un partito, significa non solo a dare un contributo al bene comune, ma anche pensare al proprio tornaconto.

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