l’altra Shoah che fece il nido in Svizzera – AlessioPorcu.it

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Lo scandalo di quelle banche elvetiche che trattennero i beni confiscati dai nazisti o depositati dagli ebrei perseguitati

Il lavoro sporco lo facevano per lo più i Sonderkommando, squadre speciali di prigionieri ebrei che, accuratamente sorvegliati dai teschiotibiati delle Schutzstaffel, dovevano intervenire subito dopo. Dopo cosa? Appena dopo che le decine di persone che erano state stipate nelle camere a gas ed ammazzate con i sali di Zyklon B avevano finito di scalciare il balletto finale della morte, loro intervenivano.

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Caricavano i corpi su carretti, li portavano in appositi capannoni e facevano la cernita. L’ortodonzia della prima metà del secolo scorso era diventata una miniera, e si avvaleva di metalli nobili per otturazioni, ponti e surroghe. Perciò i Sonderkommando si armavano di pinze ed estraevano i denti d’oro a quei cadaveri violati due volte e li consegnavano agli aguzzini nazisti. A tonnellate.

Il sequestro per fare la guerra

Adolf Hitler saluta le Camicie Brune (Foto: Bundesarchiv, Bild 102-10541 / Georg Pahl)

La politica di sequestro dei beni da parte del Reich hitleriano per finanziare la guerra ed alimentare la produzione bellica arrivò anche a queste aberrazioni. Ed il frutto di quelle azioni, quantificato in miliardi, veniva in parte reinvestito ed in parte depositato in banche off shore, banche (non tutte, almeno per tabulas) per lo più svizzere. Perché sì, la Svizzera è sempre stata neutrale nell’accezione politica e larga del termine, ma le sue banche non hanno mai rifiutato il denaro che “puzza”. Questo perché, semplicemente, le banche svizzere hanno deciso da sempre di non avere narici.

Quello dell’Olocausto fu un orrore collegiale, a cui parteciparono frange mostruose, irregimentate ed attive e parti in doppiopetto, neutre e con pretese pilatesche. E la loro storia è emersa da pochissimi anni.

In queste ore Giorgia Meloni lo ha riassunto con una delle sue frasi più politicamente impegnative nella condanna del passato. per la premier fu «l’abominio del piano nazista di persecuzione e di sterminio del popolo ebraico. Uomini, donne, bambini e anziani strappati dalle loro case, costretti a lasciare tutto, portati nei campi di sterminio e uccisi solo perché di religione ebraica. Un piano la cui premeditata ferocia fa della Shoah una tragedia che non ha paragoni nella storia.  Un piano, quello condotto dal regime hitleriano, che in Italia trovò anche la complicità di quello fascista, attraverso l’infamia delle leggi razziali e il coinvolgimento nei rastrellamenti e nelle deportazioni. Un abisso a cui si contrappose il coraggio di tanti Giusti, che non esitarono a disobbedire e a rischiare la propria stessa vita per salvare quella di migliaia di innocenti».

Il porto sicuro ma non troppo

La Svizzera all’epoca era vista, in virtù della sua neutralità, come una specie di porto sicuro, perciò molte famiglie ebree, nell’imminenza della Seconda Guerra Mondiale e già consce delle prime persecuzioni, la scelsero. Vollero che i loro beni fossero al sicuro in quei caveau. E sbagliarono. A rivelarlo è il contenuto di nuove e recentissime inchieste, successive a quella, clamorosa, che tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio del 2000, portò ad un accordo di risarcimento di 1,25 miliardi di dollari per le vittime della Shoah.

Quello venne chiamato il “dossier Meili”, dal nome dell’agente di sicurezza dell’UBS di Zurigo che sottrasse documenti comprovanti la quiescenza interessata dell’istituto verso quei beni incamerati e mai restituiti. Alcune pubblicazioni sono fautrici di letture molto più draconiane della vicenda. In certi caveau non c’erano solo ori mai reclamati, ma anche ori direttamente presi dai macellai con la svastica in stendardo.

E citano banche che “in molti casi furono attivamente coinvolte nel riciclaggio di beni rubati, in particolare quelli sottratti agli ebrei in fuga”.

Il Dossier Meili…

Di cosa parliamo, anche se per adesso in ipotesi non ancora suffragata in ogni sua parte da atti giudiziari internazionali di rango? Non di quiescenza, ma di collaborazione vera e propria con i nazisti.

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Donald Trump dopo il giuramento

A cercare di far luce sul caso c’è una Commissione del Senato degli Stati Uniti il cui lavoro dovrà essere confermato da Donald Trump. Secondo quel fascicolo affidato all’investigatore Neil Barofsky, Credit Suisse, oggi inglobata in UBS, avrebbe “nascosto informazioni durante precedenti indagini sui conti bancari controllati dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale”.

A metà 2024 Barofsky venne rimosso dall’incarico per essere poi reintegrato, questo perché la mole di documenti che aveva scoperto era troppo impressionante per insabbiare il tutto.

… ed il Rapporto Eizenstat

Alla base delle new entry documentali nel fascicolo c’è un altro dossier, il “Rapporto Eizenstat” che venne redatto dagli Alleati nel 1946. La silloge è terribile: Le banche svizzere non solo erano a conoscenza dei fondi rubati agli ebrei e delle risorse sottratte nei territori occupati, ma avevano un ruolo chiave nel nasconderli per conto del regime nazista”.

Ed a scoperchiare l’intero calderone fu una donna, Greta Beer, morta proprio a fine gennaio del 2020, a pochi giorni da quello dedicato alla Memoria dell’Olocausto. Era romena e suo padre aveva un’industria di maglieria che, con l’avvento del regime filonazista, ebbe la sua famiglia perseguitata.

Storia di Greta, ebrea rumena

(Foto: Museo del 900 e della Shoa di San Donato Valcomino)

Nel 1937 suo padre, Siegfried Deligdisch, depositò denaro in alcune banche svizzere mentre la famiglia fuggiva negli Usa. Di quei soldi non si seppe più nulla fin quando, negli anni ‘90, la Beer non venne audita dal senatore repubblicano Alfonse D’Amato, presidente della Commissione bancaria del Senato americano. Un politico tignoso che ebbe il merito di non arrendersi mai e di vedere in ogni Deep State solo un potenziale sacello di segreti orribili.

In quei mesi concitati e con la Svizzera sotto scacco del più grande scandalo della sua storia l’allora ministro dell’economia Jean-Pascal Delamuraz si fece intervistare da alcuni giornali francesi. Ed accusò le organizzazioni ebraiche “di estorsione e richieste di riscatto”.

Pessima stampa ed epilogo

Ci volle una ministra ebrea come Ruth Dreifuss, per informare il governo di cosa stava emergendo. E così l’orrore parallelo di un popolo cancellato ma capitalizzato nelle sue ceneri venne a galla.

Conto e carta

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Perché negli orrori le responsabilità sono sempre collegiali. C’è chi li commette, chi li vede ma li ignora. E chi li sfrutta. E questo format non è mai cambiato.



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