La giurisprudenza sembra ormai consolidata nel ritenere che mediante la creazione di un credito fittizio derivante dal c.d. superbonus (art. 121 comma 1 del DL 34/2020) il contribuente (o meglio, colui il quale esercita l’opzione per lo sconto in fattura o la cessione del credito) consegue un profitto ingiusto con correlativo danno per lo Stato, anche senza che tale credito venga effettivamente portato in compensazione.
Ci sarebbero quindi, secondo recenti pronunce della Cassazione, gli estremi del reato di truffa aggravata ai danni dello Stato ex art. 640 del codice penale (Cass. pen. 13 dicembre 2024 n. 45868, Cass. pen. 30 ottobre 2024 n. 40015).
Sorge spontaneo domandarsi la ragione per cui, nonostante l’ambito sia pacificamente quello tributario, si parli di truffa, reato ovviamente non fiscale. La ragione è che, oggettivamente, nessun reato tributario può essere integrato, posto che:
– tramite l’opzione per lo sconto in fattura o la cessione del credito alcuna compensazione viene effettuata; la compensazione ci sarà se e nella misura in cui il cessionario del credito o il fornitore utilizzeranno il credito nel modello F24 (solo allora, in costanza dei requisiti di legge ci potrà essere il delitto di indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti ex art. 10-quater del DLgs. 74/2000, anche, se del caso, nella forma del tentativo laddove la compensazione venisse bloccata dall’Agenzia delle Entrate, considerato che questo reato può essere punito a livello di tentativo ai sensi dell’art. 6 del DLgs. 74/2000);
– la detrazione che spetta al beneficiario e/o il credito da utilizzare in compensazione non vengono indicati in dichiarazione, quindi alla radice sono da escludere i delitti dichiarativi (delitti che, come intuibile, saranno integrati se alla base della detrazione sono state indicate in dichiarazione, per esempio, fatture per operazioni inesistenti).
La criticità deriva dal peculiare meccanismo di funzionamento del c.d. superbonus, che rappresenta, almeno ad oggi, un unicum.
Per effetto dell’art. 121 del DL 34/2020, il beneficiario della detrazione presenta una comunicazione all’Agenzia delle Entrate indicando se opta per la cessione del credito o per lo sconto in fattura. In questo modo si determina l’iscrizione, nel cassetto fiscale del fornitore o del cessionario, del credito d’imposta corrispondente allo sconto applicato in fattura o alla detrazione altrimenti spettante.
Il credito può essere utilizzato solo in compensazione
Contestualizzata la situazione, a nostro avviso la tesi secondo cui la condotta possa rientrare nella truffa aggravata ai danni dello Stato presenta vari aspetti critici.
La truffa concerne, ai sensi dell’art. 640 del codice penale, “Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno …“ ed è aggravata “se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o dell’Unione europea o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare”.
Il beneficiario della detrazione, nel momento in cui, sulla base di documentazione falsa o che, comunque, non dà diritto al credito di imposta, non “procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”, o meglio non procura nessun danno allo Stato. Ciò in quanto il credito potrà essere utilizzato solo in compensazione: salva l’ipotesi di concorso nella violazione tra beneficiario della detrazione e fornitore/cessionario del credito, potrebbe semmai esserci un danno ma nei confronti del fornitore/cessionario del credito che ha acquistato un credito o ha applicato uno sconto a fronte di un credito che non potrà essere utilizzato.
Lo Stato non subisce nessun danno al momento della comunicazione di opzione per lo sconto in fattura o il cessionario del credito. Si tratta, a ben vedere di un danno solo eventuale che si verificherà se e nella misura in cui il credito verrà utilizzato in compensazione (compensazione che, tra l’altro, prevede dei requisiti temporali invalicabili per poter avvenire).
Ragionando diversamente si trasformerebbe la truffa da reato di danno (cfr. Cass. SS.UU. n. 1/1999) a reato di pericolo astratto, tanto è vero è la giurisprudenza precedentemente citata afferma un danno unicamente potenziale fondato sul fatto che l’agente crea un credito nei confronti dello Stato (e, quindi, un debito di esso) del tutto inesistente, “destinato” ad essere utilizzato dai terzi cessionari (letteralmente, Cass. n. 45868/2024).
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