Educazione dei giovani, sfogo di Paolo Crepet sul “figliarcato”

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Paolo Crepet è stato ospite di Peter Gomez a ‘La Confessione’. Durante la trasmissione, andata in onda su Rai 3 sabato 25 gennaio, lo psichiatra ha raccontato la sua giovinezza, di quando andava a scuola e dell’educazione ricevuta in famiglia. Anche in questa occasione, ha parlato del rapporto di oggi tra genitori e figli, bollandolo come “figliarcato“. Cosa significa e perché è sbagliato secondo l’esperto.

“Figliarcato”: cos’è e perché è sbagliato (per Crepet)

Paolo Crepet è tornato in tv a parlare dei giovani d’oggi e del loro rapporto con la famiglia. Ospite de ‘La Confessione‘, il programma Rai condotto dal giornalista Peter Gomez, ha detto che questa relazione, ai giorni nostri, è retta sul “figliarcato”.

“Tirar fuori la cinghia dai pantaloni non mi è mai sembrata una cosa geniale”, ha affermato lo psichiatra rispondendo alla domanda di Gomez che gli chiedeva se la società funzionava meglio prima quando era il padre a comandare in famiglia.

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Parlando di educazione, Crepet ha spiegato: “Maria Montessori l’abbiamo avuta e non l’ha letta nessuno. L’abbiamo messa anche sulle mille lire, ma era un teatrino. Così come don Milani, che lo abbiamo celebrato in tutte le salse ma nessuno fa il don Milani. Perché? Perché non abbiamo capito che non ci voleva l’autoritarismo ma l’autorevolezza. Ed è sull’autorevolezza che siamo scivolati“.

“Noi siamo una generazione che per tante ragioni ha contrastato quella dei nostri padri e delle nostre madri – ha proseguito -, però non capisco perché siamo diventati servi dei nostri figli. È un passaggio illogico”. Per questo “ho parlato di figliarcato, perché oggi sono i figli che decidono“.

Secondo Crepet “gli adulti non sanno fare gli adulti”

A inizio puntata, Peter Gomez ha mandato in onda un video del 1996 tratto da un programma di Rai Educational nel quale era intervenuto Paolo Crepet. In quell’occasione lo psichiatra, presentandosi, aveva detto che il suo compito era “occuparmi dei giovani e preoccuparmi dei loro genitori”.

“È buffo che già allora – sono passati quasi 30 anni – avevo questa preoccupazione per gli adulti che non sanno fare gli adulti“, ha commentato Crepet a ‘La Confessione’. Ha poi sottolineato che nel rapporto tra genitori e figli “si comincia sempre dai genitori perché vengono prima. Tutti quelli che vengono prima si assumono delle responsabilità per quelli che vengono dopo” perché “non si cresce come l’erba nell’orto con un po’ di concime e via”.

Crepet e l’educazione ricevuta in famiglia

Durante il confronto con Gomez, Crepet ha anche raccontato del rapporto con i suoi genitori, spiegando che suo padre non gli ha mai detto “bravo”. “Non ho mai sentito dirmi bravo, ma quando lui ha tentato di aiutarmi – all’epoca si diceva ‘di sistemarti’ come le bottiglie del Rosolio -, mi disse: ‘Guarda che c’è un concorso per diventare pediatra’, visto che ero andato benissimo all’esame di Pediatria. E io gli ho detto: ‘Grazie papà, ma prendo il treno e vado da un’altra parte’”.

Sulla sua educazione ricevuta in famiglia, ha dichiarato: “Mio padre faceva il giudice e mia madre il boia. Io ero molto inquieto, e mia madre aveva capito che bisognava mettere delle redini. Mio padre arrivava la sera, mia madre gli raccontava cosa era successo e dava una sentenza, tipo ‘il motorino fermo per tre settimane’. Mia madre poi rincarava e diceva ‘per quattro’”.

Crepet e il suo tema su Tenco a scuola: perché è uno “spartiacque”

Paolo Crepet ha anche parlato di un episodio avvenuto a scuola che lui stesso ha definito uno “spartiacque”. Luigi Tenco si era suicidato durante il Festival di Sanremo, lo psichiatra aveva 16 anni. Arrivato in classe, l’insegnante di italiano chiese di scrivere un tema sulla morte del cantautore.

“La notizia di Tenco me l’aveva data la mia mamma che si scaldava il caffè, me lo ricordo benissimo – ha raccontato lo psichiatra -. A me piaceva molto Tenco, ero innamorato di lui. Mi piaceva quella sua malinconia, il suo tipo di musica cantautoriale. Quando arrivai a scuola, quasi nessuno aveva capito bene cosa fosse successo, però ci fecero scrivere. E per la prima volta scrissi una cosa senza riscrivere”.

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Crepet ha chiarito: “Normalmente io scrivevo il tema e, per evitare che i professori lo leggessero, lo riempivo di errori. Prima lo scrivevo bene, e poi lo riscrivevo mettendoci un sacco di errori, e prendevo 3 o 4. Ma lo volevo, perché così evitavo una cosa che detestavo, ovvero di essere letto“.

Ma il compito sulla morte di Tenco decise di scriverlo senza riscriverlo con gli errori. Quella “fu la prima volta che qualcuno mi lesse. Fu la mia prima opera letteraria, se vogliamo metterla così”, ha concluso Paolo Crepet.





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