Recuperare perseveranza e stupore nella professione per riuscire a comunicare la speranza. Aggiungerei anche a scrivere con speranza. Credo si possa riassumere così la tre giorni vissuta in occasione del Giubileo della Comunicazione a Roma, in Vaticano. Anche a noi giornalisti del Friuli Venezia Giulia – nello specifico quelli dei settimanali diocesani, degli associati regionali a Ucsi, Fisc e ai colleghi di alcune realtà editoriali slovene – è stato chiesto questo per poter riassaporare autorevolezza e credibilità che si nutrono a vicenda in e per una professione come quella che svolgiamo.
All’udienza di sabato scorso nell’Aula Paolo Sesto, il Santo Padre Francesco ha affermato che comunicare è saper uscire da sé stessi stessi per dare qualcosa agli altri. Un sogno? No! All’Angelus di ieri, ci ha definiti “narratori della speranza”. Impossibile esserlo? No! Allora, da dove partire? Dal riuscire a trovare il lato nascosto del bene. Dal non alimentare divisioni e – come ci ha ricordato il direttore di Avvenire, Marco Girardo, cittadino ronchese di Vermegliano – è necessario “sostituire il sensazionale con il sostanziale”. E qui arriva una provocazione anche per chi come noi scrive per un quotidiano on line: non produrre sempre di più ma meglio, scegliere ciò che merita ed è significativo.
Se riflettiamo, la gran parte dei contenuti pubblicati non riesce a restare, a fare breccia in noi. Scorre, se ne va. Però non ci lascia indenni perchè provoca allo stesso tempo uno stress informativo. Occorre allora procedere per senso e non per accumulo di contenuti. Quindi, dove trova spazio la speranza in questo campo che è croce e delizia del mondo contemporaneo? Prima di tutto nella tutela della dignità di una notizia. Poi, nel “dosaggio” del linguaggio. E aggiungo: nel rispetto di noi stessi che come categoria siamo dei naviganti in un mare di contraddizioni e ingiustizie.
Speranza è cura, lavorare per costruire legami o anche ricucirli, se necessario. Esercitare la propria responsabilità nella professione è allora quel “sentirsi chiamati”. Cosa ci aspetta adesso? Tornare a casa e nelle nostre redazioni per trovare il tempo di scrivere storie di resilienza e coraggio, cronache oneste – più snelle e meno accomodanti – non rincorrere alla ribalta mediatica. Storie come quella del tassista romano di ottant’anni che trova ancora il senso del suo vivere lavorando per aiutare suo nipote studente rimasto orfano. Da quel taxi non sarei sceso perchè ho capito che anche quelle persone sono il target, quella comunità di riferimento che merita attenzioni ed energie di chi usa la tastiera per formare l’opinione pubblica.
Al rientro da Roma ci aspetta l’avvio di Go!2025 tra sorprese e incertezze. Tra cantieri ancora in corso – come quelli di Roma messi in piedi in occasione del Giubileo – e tante progettualità o discorsi transfrontalieri che, appunto si spera, abbiano una continuità. Ci aspettano le elezioni comunali a Monfalcone e San Pier d’Isonzo. Due appuntamenti che presuppongono “un cambio di registro” e anche di mentalità. Non solo intendendo i “toni gentili” del linguaggio da riprendere tanto richiamati (quanto disattesi) nei nostri convegni ma – come si diceva – in termini di senso e sostanza. San Pier, un comune di circa duemila abitanti merita di poter ritrovare il proprio baricentro per riassaporare cura e slancio amministrativo.
Per il prossimo 11 febbraio è atteso anche il giudizio definitivo del Consiglio di Stato sul tanto dibattuto contenzioso tra Comune di Monfalcone e Centri Islamici. Saremo – tutti – sostanziali? Quale output daremo ai lettori? Offriremo una visione costruttiva? Saremo attori della formazione civile? Mentre la mia mente si affolla di pensieri tipici del rientro dopo aver vissuto una dimensione stimolante, piena di spunti e che mi ha permesso di guardare dentro me stesso e alle mie responsabilità, spero di poter contribuire a contrastare l’infosfera dello scontro e a scacciare pressioni ed eccedenze inconcludenti. Sarà fuori moda ma è tremendamente necessario. Può funzionare. Sono queste alcune delle ragioni per raccontare la speranza che sussurra e non urla. A noi ora spetta il compito di darle forma e attuazione.
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