Le frasi nettissime di Giorgia Meloni nel Giorno della Memoria rovesciano in modo definitivo uno stereotipo: destra indulgente verso l’antisemitismo, sinistra antifascista e quindi “più affidabile” per il mondo ebraico. Ma non solo. Con quelle parole chiare sulla complicità fascista nella Shoah, attraverso l’infamia delle leggi razziali, i rastrellamenti e le deportazioni, la premier perfeziona altre due operazioni, una interna e una esterna, che non potevano essere ulteriormente rinviate dopo due anni di governo in cui l’omaggio alla giornata era stato vissuto in modo piuttosto burocratico e quasi imbarazzato.
La prima operazione riguarda il suo mondo, il partito-comunità di Fratelli d’Italia, ma più in generale la scena nazionale, dove per trovare una netta presa di distanza dal razzismo di marca fascista bisognava fare marcia indietro di trent’anni, ritornare al Congresso di Fiuggi del 27 gennaio 1995. Una data lontanissima nel tempo, che un po’ tutti hanno ricordato in questi giorni come pietra miliare della svolta democratica della destra italiana e anche del suo attuale successo: «Far nascere An è stato essenziale per avere una destra al 30 per cento, architrave dell’attuale governo», come ha detto Gianfranco Fini nell’intervista di ieri ad Alessandro De Angelis. Ecco, a sei lustri dalla liquidazione del neofascismo e soprattutto dalla visita di Fini allo Yad Vashem (quella dell’espressione “male assoluto”), Meloni si riappropria del racconto: non si dovrà più fare riferimento ai fratelli maggiori per confermare la distanza dal Ventennio ma ci saranno parole nuove, le sue, alle quali ancorare la descrizione di una destra lontana dai peccati originali della storia.
E poi c’è il gioco di anticipo sulla galassia della nuova destra americana, una sorta di “assicurazione preventiva” rispetto alle sgrammaticature in materia di antisemitismo che cominciano a manifestare certi amici del cuore di Fratelli d’Italia e della premier. Due giorni fa, collegandosi con un comizio degli ultra-identitari tedeschi di Afd (neonazisti, secondo molti) per cui fa il tifo, Elon Musk ha sostenuto che in Germania c’è «troppa attenzione alle colpe del passato», suscitando reazioni preoccupate della comunità ebraica (ma non solo) per cui l’insegnamento della Shoah è un elemento identitario forte e indispensabile fin dagli anni Sessanta. Musk probabilmente sa poco o nulla di Europa, e poco gliene interessa al di là dei suoi obbiettivi personali e imprenditoriali, ma il legame con l’Italia di Meloni è così esibito e celebrato da richiedere alla leader di FdI precisazioni nette su quella materia incandescente: il passato, le colpe, il giudizio sulle colpe. Anche per evitare che certe sparate del “genio” vengano interpretate come “libera tutti” che autorizza anche in Italia a rivedere il linguaggio della responsabilità democratica.
Inutile chiedersi se Meloni agisca per pragmatismo, necessità o sincera convinzione. Il salto di qualità è comunque notevole e risulta assolutamente evidente consultando i precedenti omaggi al Giorno della Memoria. Nel 2023, appena insediata dopo il travolgente successo elettorale, descriveva la Shoah come «deliberato piano nazista di persecuzione e sterminio del popolo ebraico» agevolato dalla «infamia delle leggi razziali del 1938». Nel 2024, ancora bersagliata dalle opposizioni che le chiedono una trasparente presa di distanza sul tema del fascismo, si registra un passo avanti con il riferimento alla «malvagità del disegno criminale nazifascista». Ieri nel suo discorso, e quindi nel discorso pubblico della destra, il riferimento alle responsabilità si è fatto del tutto esplicito: «Piano hitleriano», «complicità fascista», «rastrellamenti e deportazioni» di migliaia di innocenti. «Abisso». «Pagina orribile della nostra storia». Sono giudizi che pesano e indicano una direzione anche alle classi dirigenti della destra (che hanno prodotto note assai più generiche e prudenti): questa è la linea, adeguatevi.
Così, il bilancio politico di questo 27 gennaio 2025, è molto diverso da quel che si sarebbe potuto immaginare solo pochi anni fa. Le accuse di antisemitismo travolgono l’Associazione Nazionale Partigiani per il paragone tra i massacri di Gaza e la Shoah. La Comunità e la Brigata ebraica di Milano disertano l’evento programmato dal Comune guidato da un progressista doc come Giuseppe Sala. Sul sito di Progetto Dreyfus, associazione no-profit che si batte contro l’antisemitismo, appare la scritta: «Ricordate Auschwitz ma applaudite Hamas. Vergogna!», accompagnata da un cartello con il volto di Elly Schlein. Sulla Piramide Cestia e sul palazzo della Fao sono proiettate da anonimi amici di Israele frasi che accusano di antisemitismo le organizzazioni nel cuore della sinistra: Amnesty International, Medici senza frontiere ed Emergency. Insomma, il sospetto antisemita, la polemica antisemita, hanno cambiato di segno. Meloni, con il suo messaggio, offre a questo cambiamento una sponda concreta, ben oltre i cauti giri di parole di ogni fase precedente.
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