Dalle roboanti dichiarazioni di Trump e da quelle, più chiare, del suo segretario di Stato, Marco Rubio, si capisce che lo spauracchio degli Stati Uniti è la crescita di importanza commerciale e imprenditoriale della Cina in America Latina. Due in particolare i paesi nel mirino: Messico e Argentina.
Premessa
E’ nel 1823 che James Monroe, l’allora presidente degli Stati Uniti, emanava la dottrina che prenderà il suo nome e che sarà poi confermata per molto tempo dai presidenti successivi; la dottrina, come è noto, si può sintetizzare con lo slogan “l’America agli americani”. Con tale pronuncia gli Stati Uniti volevano affermare la loro supremazia sull’intero continente (anche se non avevano ancora la forza militare per difendere, nel caso, tale principio) e in particolare il no alla colonizzazione europea, in specifico della Spagna, che vi mostrava ancora delle ambizioni territoriali. Nel Novecento, progressivamente, la dottrina entra nell’oblio, salvo una ripresa strumentale nel periodo della guerra fredda contro l’Unione Sovietica e la sue supposte mire sul continente.
Crollata l’URSS e mentre gli Usa si disinteressavano in particolare dell’America Meridionale la questione sembrava di nuovo destinata all’oblio. Ma ora Donald Trump, al suo secondo mandato, promette di farla tornare di attualità, estendendo anche il suo raggio di applicazione al di fuori del continente.
Ha colpito in particolare l’immaginazione dell’opinione pubblica la sua volontà dichiarata di annettere il Canada, di riprendere in mano il canale di Panama, che sarebbe ormai, secondo lui, in mano ai cinesi, oltre che di assorbire la Groenlandia.
Marco Rubio, il nuovo Segretario di Stato, dichiarava, già prima della sua nomina nell’amministrazione Trump, che gli Stati Uniti non potevano permettere che l’America Latina finisse nella sfera di influenza cinese. Il suo primo viaggio programmato dopo la nomina è proprio a Panama.
Nelle pagine che seguono cerchiamo di analizzare in particolare quanto sia realistica la pretesa di Trump di stringere in una morsa i rapporti con l’America del Nord e quella del Sud.
Le mire sull’America Latina
-la presenza cinese
Nei suoi crescenti processi di sviluppo all’estero, i produttori cinesi hanno speso molte energie e molte risorse per tessere legami forti con i paesi del continente americano.
Ricordiamo come l’America Latina possieda il 57% delle riserve mondiali di litio (prima almeno delle recenti nuove scoperte in Cina), il 37% di rame, il 20% del petrolio, un terzo dell’acqua e delle foreste primarie (Stott, 2024). Ricordiamo inoltre come il valore del commercio estero dell’area con il paese asiatico sia passato dai 12 miliardi di dollari del 2000 ai 450 miliardi del 2023. La Cina è diventata il più importante partner commerciale della regione, mentre anche i suoi investimenti diretti nell’area sono in forte crescita.
Più in generale, Pechino è fortemente interessata, oltre che alle materie prime sopra elencate, a molti prodotti agricoli, in particolare, alla soia, e così contribuisce a colmare il deficit infrastrutturale della regione. E’ molto recente, tra l’altro, l’avvio delle attività del nuovo grande porto di Chancay in Perù, finanziato dalla Cina e che dovrebbe facilitare i traffici tra i paesi dell’America Latina e l’Asia. Peraltro è chiaro che poi il paese asiatico, di fronte alla crescente chiusura dei mercati occidentali, vede l’area latinoamericana come uno sbocco importante per le sue produzioni.
Più in generale va registrata la sostanziale eclisse, in particolare dopo la caduta dell’Urss, degli Stati Uniti nella regione, che una volta veniva considerata il cortile di casa.
Sempre tenendo presente come la presenza cinese sia molto forte anche in Africa.
-e le pretese di Trump
Trump vuole ora respingere la crescente presenza cinese nel Sud e nel Centro America, rispolverando, come già accennato, la vecchia dottrina Monroe. Ufficialmente gli Stati Uniti rimproverano alla Cina di avere un surplus commerciale troppo elevato con gli stessi Stati Uniti e di produrre ed esportare il fentanyl, mentre nella sostanza Washington non riesce a sopportare che il paese asiatico li possa raggiungere e anche superare sul piano economico, tecnologico, militare, nonché in quello delle relazioni con la gran parte dei paesi del Sud del mondo.
Ma quanto è realistica tale pretesa? Plausibilmente, vista la situazione effettiva sul terreno, bisognerebbe considerare che la regione in questione si può dividere sostanzialmente per linee geografiche, con la parte Nord (Messico, Canada, penisola dello Yucatan) piuttosto legata a Washington, e quella Sud che tende più verso Pechino (Freeman, 2025). Per quanto riguarda l’area Nord, più di un terzo delle importazioni Usa provengono dai due paesi vicini, mentre gli Stati Uniti accusano un deficit della bilancia commerciale di 157 miliardi di dollari con il Messico e di 54 miliardi con il Canada (Calignan, 2025) nei primi 11 mesi del 2024, con tendenza a crescere.
Per competere seriamente con la Cina, Trump dovrebbe offrire ai paesi del Sud un più largo accesso al mercato Usa e aumentare fortemente i finanziamenti verso l’area, cose che plausibilmente il presidente Usa si guarderà bene dal fare. Sembra invece che l’unica arma che Trump tenderà ad usare sia quella dei dazi (Freeman, 2025), oltre alle minacce militari. Come è noto, il presidente ha promesso di introdurre dei dazi del 25% nei confronti di Messico e Canada per la questione dei migranti illegali e per quella del fentanyl, droga che proverrebbe dalla Cina e sarebbe introdotta negli Stati Uniti dai cartelli messicani, mentre ucciderebbe ogni anno molte decine di cittadini statunitensi. Da notare che una parte consistente delle esportazioni dei due paesi verso gli Stati Uniti sono fatte da imprese Usa ivi insediate.
Messico e Argentina
Per analizzare meglio la complicata situazione dei vari paesi del continente appare opportuno sottolineare alcuni aspetti delle relazioni tra due paesi in particolare e gli Stati Uniti; uno di essi è collocato nel Sud del continente e l’altro nel Nord (Centro America).
-L’Argentina
Per sottolineare la forza della presenza cinese nell’America meridionale ha una particolare rilevanza il caso dell’Argentina.
Durante la campagna elettorale del 2023 per le elezioni presidenziali, Javier Milei prometteva di rompere le relazioni diplomatiche con la Cina affermando “io non faccio patti con i comunisti”. Ma dopo il suo insediamento alla Casa Rosada, Milei ha cambiato completamente tono. Adesso parla della Cina come di un partner molto interessante (The Economist, 2025). Nel giugno del 2024 il paese asiatico ha prorogato un currency swap di molti miliardi di euro con il paese, dando all’Argentina un poco di respiro finanziario (The Economist, 2025); inoltre è stato messo in piedi un nuovo contratto per l’esportazione di gas, e per rinsaldare i legami è prevista una prossima visita di Milei nel paese asiatico.
Negli ambienti di affari conservatori in Argentina, come sostanzialmente in tutta l’America Latina, si parla della Cina come di un partner dal valore inestimabile. Così la Società Rurale dell’Argentina ha la sensazione che la Cina sia un pozzo senza fondo; l’ente racconta come “qualunque cosa voi gli offriate, la comprano” (The Economist, 2025).
-Il Messico
Più dell’80% delle esportazioni messicane sono dirette verso gli Usa (e i due terzi di quelle canadesi) e il Messico è diventato nel 2023 il principale spedizioniere di merci verso gli Stati Uniti, soppiantando la Cina, mentre i messicani che lavorano negli States inviano ogni anno rimesse al loro paese di origine per più di 60 miliardi di dollari (Romero, 2025).
Dopo la sua elezione, il primo ottobre 2024, la presidentessa del Messico, Claudia Sheinbaum, cercando di rabbonire l’ingombrante vicino, ha dato un colpo importante alla lotta contro i cartelli della droga e dell’esportazione del fentanyl verso gli Stati Uniti, ha intensificato il contrasto alla corruzione nella pubblica amministrazione legata ai cartelli, mentre ha alzato i diritti di dogana dal 15 al 35% sull’importazione di prodotti tessili, toccando così gli interessi cinesi; oltre al fatto che è stato colpito il mercato nero nel quartiere cinese di Messico City. C’è anche stata, sempre grazie all’azione del governo, una diminuzione del 75% del numero dei migranti che arrivano alla frontiera nord del paese (Calmard, 2025). Ma tutto questo non sembra bastare a Trump, che continua ad accusare i due paesi latinamericani entrati nel suo mirino (Calignan, 2025) ed ha incominciato a farlo già a partire dal primo giorno del suo insediamento alla Casa Bianca.
La Sheinbaum ha dichiarato: noi ci coordiniamo, noi collaboriamo, ma non saremo mai subordinati; gli Usa hanno pur bisogno del Messico, della sua crescente base industriale a basso costo e ha bisogno del nostro aiuto a contrastare il loro più grande rivale, la Cina (Romero, 2025).
Il Messico si è comunque lasciata aperta “l’opzione nucleare” di stringere più forti legami con la Cina (Romero, 2025), che sta impaziente alle frontiere del paese, mentre accresce in loco gli investimenti diretti, in particolare nell’auto e nell’energia verde. Anche il Canada sembra intenzionato a resistere duramente alla pretesa Usa di farlo diventare il 51° Stato dell’Unione; nel contempo la locale Camera di Commercio ha stimato che l’eventuale messa in opera dei dazi Usa causerebbe al paese una caduta annua del Pil del 2,6% (Calignan, 2025).
I due paesi latinoamericani minacciati stanno cercando di fare fronte comune contro l’ingombrante vicino, utilizzando eventualmente il meccanismo delle contro-sanzioni. Ci sono in effetti diversi precedenti di resistenza comune dei paesi latino- americani alle pretese di Washington (Takatlian, 2025).
Conclusioni
Molto di ciò che Trump ha detto nelle ultime settimane non si può che qualificare come colonialismo, espansionismo, imperialismo americano, come è stato scritto, una politica che fa leva sui presunti rapporti di forza.
Ma il presidente Usa ha veramente i mezzi per portare avanti una politica così aggressiva? Il mondo nell’ultimo periodo è molto cambiato e continua a cambiare.
Si sta delineando, tra l’altro, una nuova centralità asiatica. L’Asia-Pacifico (in pratica tutto lo spazio asiatico ad est della penisola indiana, compresi Cina e Mongolia) conduce le danze e trasforma lo spazio mondiale. Questa zona assicura il 60% del Pil globale e i due terzi della sua crescita (Boisseau du Rocher, 2025). Se si aggiungessero al quadro gli altri paesi asiatici il peso del continente sarebbe ancora più rilevante; e ci sarebbero inoltre da considerare gli altri paesi del Sud del mondo. E’ in questa regione che la rimessa in causa dell’ordine quasi monopolistico del mondo da parte dei paesi occidentali si manifesta nel modo più deliberato.
Per altro verso, secondo le stime più recenti della Banca Mondiale, nel 2024 i paesi del G-7 considerati sino a ieri come i più ricchi del mondo, considerando il criterio della parità dei poteri di acquisto, dovrebbero aver ottenuto un Pil complessivo di 56,7 mila miliardi di dollari, mentre i 7 più importanti del Sud del mondo hanno raggiunto ormai i 66 mila miliardi. E lo scarto continua ad allargarsi.
In tale quadro generale, sembra difficile che Trump riesca ad imporre la sua volontà non solo ai paesi dell’America meridionale, ormai sostanzialmente presi nel circuito cinese, ma è presumibile che anche nel Nord del continente il presidente incontrerà delle resistenze forti alla sua azione se cercherà di andare oltre certi limiti.
Testi citati nell’articolo
-Boisseau du Rocher S., L’Asia-Pacifique, nouveau centre du monde, Odile Jacob, Parigi, 2025
-Calignon G. de, Washington s’apprete à taxer les importations de ses alliés canadiens et mexicans, Les Echos, 22 gennaio 2025
-Calmard D., Le Mexique, première frontière du nouveau monde, Les Echos, 21 gennaio 2025
-Freeman W., A new Monroe doctrine is unlikely to work for the US in South America, www.ft.com, 3 gennaio 2025
-Romero S., Mexico is getting ready for Trump, www.nytimes.com, 20 gennaio 2025
-Stott M., Joe Biden loses to Xi JinPing in battle for Latin America, www.ft.com, 20 novembre 2024
-Takatlian J. G., Latin America can and must resist Donald Trump, www.asiatimes.com, 21 gennaio 2025
–The Economist, Why China is hard to beat in Latin America, 18 gennaio 2025
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