Il Presidente russo sta elaborando una rete di alleanze le cui maglie vengono strette in funzione dei suoi obiettivi e delle contingenze internazionali. Con Danilo Secci, esperto di geopolitica della Fondazione Germani, facciamo il punto su questo protagonismo strategico di Putin
Il 17 gennaio scorso, il Presidente russo Vladimir Putin e quello iraniano Masoud Pezeshkian hanno siglato un accordo di partnership strategica: quali sono le principali caratteristiche dell’intesa?
L’accordo è contenuto in un testo che si compone di un preambolo e 47 articoli. I settori sui quali i due Paesi intendono rafforzare la collaborazione, innalzandola al livello “strategico”, sono diversi: dalla promozione delle economie locali ai commerci internazionali, dal coordinamento di azioni di politica monetaria ad una maggiore integrazione tra banche e istituti di credito nazionali, passando per maggiori controlli sui piani dell’informazione e delle telecomunicazioni, sino ad arrivare allo sviluppo ed integrazione del sistema dei trasporti e del settore militare.
Degno di nota il rimando a “ulteriori accordi” in materia di cooperazione tra agenzie di intelligence (accordi segreti, ovviamente), e per l’eventuale sviluppo di tematiche già oggetto del trattato.
L’accordo ha una durata di 20 anni, alla scadenza dei quali si rinnoverà automaticamente ogni 5 anni.
Nello specifico, quali sono gli elementi più interessanti della partnership?
A mio avviso, vi sono almeno quattro campi d’azione sui quali occorre soffermarsi. Il primo è quello dell’informazione, per il quale Mosca e Teheran si impegnano a cooperare nella regolamentazione (leggasi controllo) delle reti internet nazionali, col fine di contrastare presunte attività di disinformazione e propaganda nemiche. In questi termini, la collaborazione sembrerebbe assumere una postura difensiva, ma ritengo non sia da escludere una speculare (e meno nota) attività congiunta di tipo offensivo sintetizzabile in campagne di disinformazione e hackeraggio, informatico ed informativo, contro i mass-media e le opinioni pubbliche dei Paesi occidentali.
Altro punto è quello dello sforzo comune per far fronte a quelle che nel testo vengono definite “misure coercitive unilaterali”, un richiamo alle sanzioni internazionali che colpiscono Mosca e Teheran: impegnarsi assieme nel superare le difficoltà del regime sanzionatorio, aiuta entrambe a ridurre la vulnerabilità a questo importante strumento di pressione internazionale. A ciò potrebbe collegarsi l’intenzione di sviluppare un “moderno sistema di pagamento” slegato da monete straniere (pensiamo al dollaro) che favorisca, pertanto, scambi commerciali in valuta nazionale.
Interessantissimi, poi, i piani di sviluppo del cosiddetto “Corridoio Internazionale Nord-Sud” (International North–South Transport Corridor, INSTC), una rotta commerciale che da San Pietroburgo, attraversando Russia, Azerbaijan, Mar Caspio e Iran, arriva al porto indiano di Mumbai. Il tutto per incentivare il commercio e le produzioni locali, e sviluppare un’alternativa alla via marittima che attraversa il Mar Rosso.
Il Corridoio Internazionale Nord-Sud, inoltre, si potrà facilmente collegare alla nuova Via della Seta cinese: almeno due centri logistici terrestri, corrispondenti alle città di Mosca e Teheran, sono comuni ai due progetti.
Potenzialmente, ci potrebbe persino essere uno snodo marittimo comune. Il terminal portuale del tratto iraniano sul Golfo Persico è nella città di Bandar-Abbas: è previsto un collegamento ferroviario tra quest’ultima e il porto di Chabahar, al confine con il Pakistan. Se pensiamo che la Via della Seta passa per il porto pachistano di Gwadar, e che la distanza tra Gwadar e Chabahar è meno di 200 km, è ipotizzabile un futuro collegamento tra le due rotte.
Infine, un aspetto interessante e, per certi versi, singolare, è quello della difesa collettiva. Salvo il caso dell’ulteriore definizione in separato accordo, accennato in precedenza, la partnership strategica russo-iraniana non prevede un impegno di mutua difesa: in caso di attacco ad una delle parti, l’altra si impegna semplicemente a non appoggiare lo Stato aggressore (si potrebbe parlare, al più, di “difesa passiva”). Si tratta di un obbligo meno oneroso rispetto a quello previsto da un trattato simile, firmato da Mosca e Pyongyang lo scorso giugno, e per il quale, invece, è prevista la reciproca “difesa attiva”.
La tempistica della firma dell’accordo di partnership strategica con l’Iran, pochi giorni prima dell’insediamento del nuovo Presidente americano, è casuale oppure nasconde un messaggio politico?
La bozza dell’accordo era pronta dall’estate scorsa e ne era inizialmente prevista la firma in occasione del vertice BRICS di ottobre nella città russa di Kazan. Se Mosca e Teheran hanno rimandato la sottoscrizione dell’intesa a qualche giorno dall’insediamento del Presidente Trump alla Casa Bianca, la scelta non è stata certamente casuale. Teniamo presente che, proprio nel mese di ottobre, c’è stato il botta e risposta tra Iran e Israele, iniziato con l’attacco missilistico iraniano del 1° ottobre 2024 e conclusosi poi con la rappresaglia israeliana di qualche settimana dopo; inoltre, nella nuova amministrazione americana sono diverse le personalità politiche promotrici di una linea dura nei confronti degli ayatollah (pensiamo al nuovo Segretario di Stato, Marco Rubio).
Il segnale politico c’è ed è rivolto tanto agli Stati Uniti quanto agli alleati, soprattutto quelli nel Medio Oriente (Israele): attenzione alle prossime iniziative militari e di politica estera perché il blocco euroasiatico sta serrando i ranghi e dovrete tenerne conto.
Cosa ha spinto la Russia a stringere accordi di partnership strategica con l’Iran e la Corea del Nord?
L’innalzamento del livello delle relazioni tra Mosca e i suoi partner è avvenuto a seguito dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina del febbraio 2022: l’iniziativa russa ha causato un deterioramento dei rapporti con l’Occidente e Putin ha risposto rinforzando i legami a Oriente.
Gli obiettivi del Cremlino sono diversi. C’è anzitutto quello della promozione di un’immagine della Russia non isolata sul piano internazionale, capace di sviluppare relazioni bilaterali e multilaterali (pensiamo al contemporaneo processo di allargamento dei BRICS, tanto rivendicato da Mosca).
Ci sono poi ragioni eminentemente geopolitiche, corrispondenti a un’estensione dell’influenza/presenza russa in Estremo Oriente e nel Golfo Persico: ciò è evidente per via della partnership con la Corea del Nord, dove la collaborazione militare è maggiore, ma anche nel caso dell’Iran. Mi riferisco alla possibilità di attracco delle unità navali russe nei porti iraniani, elemento che proietta la Marina russa nei tanto desiderati mari caldi del sud, assicura una valida alternativa ai porti nel Mediterraneo (ancor più in un momento in cui, almeno temporaneamente, la presenza in Siria viene ridimensionata) e, soprattutto, garantisce la protezione del tratto marittimo del “Corridoio Internazionale Nord-Sud” visto in precedenza.
Ci sono, infine, motivazioni più pratiche e di contingenza, legate a quel conflitto in Ucraina che costituisce la spinta principale alle partnership: visto il notevole dispendio di armi e munizioni impiegate contro Kyiv, la Russia ha bisogno di ulteriori flussi di rifornimenti. Gli iraniani hanno fornito progetti e componentistica dei droni di attacco Shahed-136, necessari a Mosca per sviluppare e produrre una variante più moderna, nota come Geran-2; sembrerebbe, inoltre, concluso l’accordo per il trasferimento dei missili terrestri Fateh-110 e Fateh-360. Nel caso della Corea del Nord, il sostegno è maggiore: milioni di granate, centinaia fra pezzi di artiglieria, lanciarazzi e missili balistici e, soprattutto, un contingente di almeno 10.000 uomini che, in virtù dell’impegno alla difesa comune siglato con la partnership, Pyongyang ha schierato sul fronte russo di Kursk.
Perché l’accordo con la Corea del Nord prevede un impegno di mutua difesa, mentre quello con l’Iran no?
A mio avviso, ci sono almeno due ordini di ragione per questa scelta: una legata alle caratteristiche del Paese-partner, l’altra al contesto geopolitico regionale di riferimento. Nel caso della Corea del Nord, si tratta di un Paese più piccolo e, tanto sul piano interno quanto su quello internazionale, più stabile dell’Iran.
Il regime pensa alla conservazione del potere e si caratterizza per una politica estera meno attiva e intraprendente rispetto a quella degli ayatollah: nella penisola coreana o in Giappone, per esempio, non compaiono gli equivalenti nordcoreani dei proxy iraniani di Hezbollah in Libano o degli Houthi nello Yemen. Inoltre, nella regione non ci sono Paesi sull’orlo continuo di una guerra con Pyongyang (come nel caso di Israele per l’Iran). Tutto ciò potrebbe aver convinto Putin ad un maggior impegno politico e militare con il regime di Kim Jong-un.
L’Iran è più grande, il che implica un potenziale onere di difesa maggiore. Oltre a ciò, il Paese è nel mirino di attori regionali (Israele) e mondiali (Stati Uniti). Pertanto, Mosca potrebbe aver deciso, almeno per ora, di non impegnarsi nella difesa attiva di Teheran, in attesa di comprendere meglio la postura della nuova amministrazione Trump. Garanzie di sicurezza a favore dell’Iran potrebbero stare sul piatto di una più ampia trattativa mirata a regolamentare i rapporti di forza su una scala più ampia (il riferimento, ovviamente, è alla crisi in Ucraina), per cui se il Cremlino si riterrà soddisfatto dell’esito delle future trattative con la Casa Bianca, potrebbe lasciare invariato l’impegno alla (non)difesa di Teheran. Qualora ciò non avvenisse, Russia e Iran potrebbero procedere ad una rettifica o integrazione dell’accordo firmato qualche giorno fa, con il passaggio a un meccanismo di mutua “difesa attiva”.
Per quanto riguarda la Cina, esiste una partnership strategica che lega Mosca e Pechino?
In generale, si ritiene che le relazioni tra la Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese siano già a un livello di partnership strategica. A sostegno di ciò viene chiamata in causa la dichiarazione congiunta russo-cinese del 4 febbraio 2022, atto siglato durante la visita di Putin a Xi Jinping in occasione dei giochi olimpici invernali di Pechino (poche settimane prima dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina). Nello specifico, nella sezione IV del documento si afferma che l’amicizia tra i due Paesi non ha limiti e che, pertanto, non vi sono aree escluse dalla cooperazione bilaterale (l’aggettivo “strategico” viene associato al termine “cooperazione”). Interessante il passaggio per cui il nuovo livello di relazioni tra la Russia e la Cina è tale che supera qualsiasi alleanza politica e militare del periodo della Guerra Fredda: in questi termini, sembrerebbe che esista anche un impegno alla difesa comune.
Resta il fatto che una dichiarazione congiunta non è comunque un accordo di partnership: gli obblighi vigenti tra Russia e Corea del Nord, per esempio, appaiono più imperativi rispetto a quelli esistenti tra Mosca e Pechino. Sennonché, il giorno dopo l’insediamento di Trump alla Casa Bianca, Putin ha avuto un incontro in videoconferenza con Xi Jinping, lasciando trapelare l’intenzione di “delineare nuovi piani per lo sviluppo del partenariato globale e della cooperazione strategica”. Non è da escludere che il Cremlino avesse già sul tavolo l’opzione della firma di un vero e proprio accordo di partnership strategica con la Cina (sulla falsariga di quelli con l’Iran e la Corea del Nord) ma che stesse aspettando l’insediamento della nuova amministrazione americana per conoscere quale sarebbe stata la futura postura internazionale di Washington e regolarsi di conseguenza (è lo stesso ragionamento illustrato nel caso della difesa di Teheran). L’aver programmato l’incontro col Presidente cinese il giorno dopo l’inaugurazione del nuovo mandato di Trump potrebbe essere interpretato come un invito/monito alla Casa Bianca ad essere conciliante col Cremlino, per non incorrere nel rischio di forgiare definitivamente l’asse Mosca-Pechino.
Quali sono i potenziali rischi legati alla crescente partnership tra Russia e Cina? Potrebbero emergere tensioni o divergenze tra i due paesi?
I rischi sono commisurati al tipo di relazione e ai settori di cooperazione. Già oggi, l’interscambio commerciale e la collaborazione politica e tecnico-scientifica tra Mosca e Pechino coinvolge diversi settori strategici: forze armate e industrie della difesa, idrocarburi (la Russia è oggi il primo fornitore di gas naturale della Cina), nucleare civile, spazio e telecomunicazioni, Artico (la Cina ha lo status di “osservatore permanente” al Consiglio Artico), per citarne alcuni. Ma se avverrà il passaggio ad una partnership strategica più formale e vincolante, attraverso la firma di un accordo che, tra le altre cose, prevede la difesa collettiva, allora saremmo di fronte al manifestarsi del più grande incubo degli strateghi occidentali dai tempi della Guerra Fredda, il blocco sino-russo (al tempo, sino- sovietico).
Quanto al tema delle divergenze, queste sono certamente possibili: la Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese sono eredi di due grandi imperi che, nel corso della storia, hanno avuto interessi spesso incompatibili se non, persino, confliggenti tra loro. Ma tali divergenze potranno emergere e farsi valere soltanto ora, prima di una definitiva e vincolante alleanza tra i due.
*Danilo Secci è uno studioso di geopolitica e sicurezza internazionale, specializzato in difesa euroatlantica, politica estera e militare russa, controllo degli armamenti e rischi di guerra nucleare. È Responsabile dell’Osservatorio Difesa e Sicurezza dell’Istituto di Scienze Sociali e Studi Strategici “Gino Germani” di Roma. Laureato in Relazioni Internazionali all’Università degli Studi di Cagliari, dopo la Laurea Magistrale ha conseguito un Master di II livello in Homeland Security all’Università Campus Bio-Medico di Roma e un ulteriore Master di II livello in Intelligence e Sicurezza alla Link Campus University di Roma.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link