Tre Presìdi leguminosi insoliti

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Quando si parla di legumi, i primi nomi che vengono in mente sono ceci, fagioli e lenticchie, ma esistono varietà meno conosciute che raccontano storie di resistenza e appartenenza a territori e alle loro culture contadine. 

Per questo vogliamo portarvi alla scoperta di tre legumi “minori” solo per notorietà, ma straordinari per i loro sapori e le loro qualità nutrizionali: il maracuoccio, il moco e il fagiolo tondino del Tavo, preziosi semi tutelati da Presìdi Slow Food. Dietro i loro nomi singolari si cela un patrimonio antico che rischiava di scomparire, ma che ora torna a far parte delle tavole di chi sceglie di stringere un patto con un’agricoltura che fa bene all’ambiente e alle persone.

Insieme agli oltre 50 Presìdi Slow Food dei legumi e alle innumerevoli varietà iscritte nell’Arca del Gusto, queste tre leguminose saranno infatti tra i protagonisti di Aggiungi un legume a tavola!, la campagna di Slow Food Italia che invita i cuochi dell’Alleanza Slow Food a festeggiare la Giornata mondiale dei legumi (il 10 febbraio) proponendo nei propri menù uno o più piatti a base di leguminose.

Dall’8 al 16 febbraio, cerca i locali dell’Alleanza più vicini a te, scopri i piatti dedicati e festeggia insieme a noi la biodiversità e la ricchezza gastronomica dei legumi! (l’elenco completo verrà pubblicato a partire dal 3 febbraio sul nostro sito).

Il maracuoccio di Lentiscosa

Il suo nome deriva dal composto “mar”, radice di origine semitica che indica qualcosa di amaro, e “cuoccio”, dal latino “baccello”: basta questo dato a far capire quanto sia antica la storia del maracuoccio. Si tratta di una sorta di cicerchia dalla forma irregolare, simile a un sassolino il cui colore varia tra le tonalità del marrone, verde scuro, rossastro e grigio.

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A Lentiscosa, una frazione collinare del comune di Camerota, nel Parco Nazionale del Cilento, il maracuoccio è stato coltivato per secoli sui terreni più soleggiati e calcarei, usato come alimento per il bestiame e come fonte di proteine per i più poveri. Quasi del tutto scomparso, grazie ad alcuni contadini è stato recuperato e oggi il numero di produttori è in crescita: «il nostro compito è salvaguardarlo, difenderlo, ma anche promuoverlo con le persone – racconta Salvatore Dentale, uno dei sette coltivatori aderenti al Presidio – perché può costituire uno strumento importantissimo anche in un’ottica di valorizzazione del territorio, delle aree interne e della loro cultura storico-gastronomica, zone troppo spesso penalizzate dalle rotte turistiche».

Non senza difficoltà: il produttore spiega che ancora oggi il maracuoccio «ha una produzione ridotta, perché ogni pianta ha circa 4-5 baccelli e ciascuno contiene quattro piccoli semi. E poi la lavorazione è interamente manuale: dalla coltivazione senza l’uso di prodotti chimici alla raccolta, che avviene alla fine di giugno; le piante vengono fatte seccare, i baccelli asciugare per bene e poi battuti, setacciati, infine i semi sono selezionati con cura. 

A tavola con il Presidio

Una caratteristica unica del maracuoccio è che, proprio perché particolarmente duro, non si consuma intero, ma macinato. Un piatto tradizionale è la maracucciata, una sorta di polenta ottenuta con farina di maracuoccio e farina di grano e condita con aglio, olio, peperoncino e pane raffermo, «tutti prodotti che una famiglia povera poteva reperire facilmente – spiega Dentale -. Con un buon apporto di proteine, circa 26 grammi su 100 gr di prodotto, costituiva un pasto nutriente da consumare anche nei giorni di lavoro nei campi».

Il moco delle Valli della Bormida

Antico, piccolissimo e irregolare, anche questo legume appartiene alla famiglia delle cicerchie e si ipotizza che fosse coltivato nelle valli della Bormida, nel Savonese, già nell’Età del Bronzo.

Un tempo era l’alimento dei contadini locali: rustico e resistente, veniva piantato anche in terreni marginali perché richiedeva poca cura e forniva un buon apporto di nutrienti. Nel secondo Dopoguerra, con lo spopolamento delle campagne e l’avvento di varietà più produttive, la sua coltivazione è stata via via abbandonata. «Era completamente dimenticato: ricordo appena che il mio papà me ne accennava, poi grazie alla scoperta casuale di alcuni semi custoditi da contadini locali, è partito il progetto di recupero, nel 2016 con l’inserimento sull’Arca del Gusto e poco più di anno fa con il riconoscimento del Presidio Slow Food» racconta Elvio Bonino, uno dei cinque produttori aderenti al Presidio.

La coltivazione del moco è molto delicata e viene svolta tutta manualmente. Si raccoglie a partire da fine luglio prima del sorgere del sole, per evitare l’apertura dei baccelli. Quindi i covoni vengono fatti essiccare e poi battuti, infine i semi sono selezionati a mano.

A tavola con il Presidio

Il moco ha un sapore molto delicato che permette di apprezzarlo al meglio in minestre o insalate, cotto dopo un ammollo di almeno 24 ore. Dalla farina di moco, macinata a pietra, si ottengono due preparazioni tradizionali locali: la farinata cotta in forno a legna e la panissa fritta o tagliata a cubetti con pomodorini e cipollotti.

Il fagiolo tondino del Tavo

Sul solco del fiume Tavo, in Abruzzo, scorre la storia di un fagiolo piccolo e tondeggiante, di colore madreperla e dalla buccia sottilissima. Detto “fasule a buscelle” in dialetto locale proprio perché la forma ricorda quella di un pisello, il tondino del Tavo stava scomparendo del tutto perché soppiantato da varietà commerciali, più redditizie e più resistenti. 

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«La sfida, ancora oggi, è sopravvivere, ma noi ce la mettiamo tutta per preservare il tondino e la sua coltivazione nella zona, dove trova il microclima perfetto» spiega Alessio Chiavaroli, presidente del consorzio di tutela a cui aderiscono tutti i produttori del Presidio, costituito nel 2019 e che riunisce oggi 12 coltivatori.

Questo fagiolo infatti è delicato e tardivo e consente un solo ciclo colturale l’anno, che inizia il 15 giugno e termina tra novembre e dicembre. La raccolta richiede particolare attenzione perché i semi vengono lasciati essiccare all’interno del baccello, che si raccoglie solo una volta secco. La crisi climatica non aiuta il piccolo fagiolo: nelle annate particolarmente umide e piovose, c’è il rischio che i semi non si asciughino bene compromettendo la qualità finale e la costanza della produzione.

A tavola con il Presidio

è proprio grazie all’impegno di un ristoratore locale che, a partire dagli anni ‘50, è iniziato il recupero del tondino, ritrovato presso alcune famiglie contadine della zona. Oggi il legame con la ristorazione locale è molto forte e il piccolo fagiolo è apprezzatissimo e ricercato dai cuochi proprio per la sua delicatezza. Dà il meglio di sé in ricette tradizionali come la zuppa, la misticanza di verdure o abbinato alle sagne, una pasta fresca tipica senza uova.



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