Deposte altre 3 pietre d’inciampo a Mogliano per le vittime della Shoah
Mogliano Veneto– Ieri mattina, presso il cancello del parco della” villa Marcello Giustinian” a Marocco è continuato il percorso di ricostruire la memoria della Shoah , intrapreso lo scorso anno dall’Amministrazione di Mogliano Veneto in collaborazione con la città di Venezia, con la posa di altre 3 pietre d’inciampo, a ricordo dell’immane tragedia, individuale e collettiva, che colpì anche Mogliano.
Le pietre, che si sono aggiunte alle 4 deposte lo scorso anno in ricordo di 4 membri della famiglia Vivante, sono in memoria di Leghziel Raffaele, il generale Luzzatto Cesare Salomone e della moglie Elisa Popper.
Presenti alla toccante cerimonia, oltre all’Assessore alla Cultura Giorgio Copparoni, a diversi consiglieri comunali ed una rappresentanza dell’ANPI, anche familiari delle vittime, tra cui i parenti di Leghziel e dei Vivante.
Riportiamo di seguito alcuni stralci della retata fatta da fascisti e dalle SS il 7 agosto 1944 presso la clinica Prosdocimo a Marocco, tratti dal libro “Ali Spezzate-7 agosto 1944” di Luciana Ermini e Franco Maccarrone.
LA RETATA
“Il 7 agosto 1944, nella casa di Cura Prosdocimo in via Marignana, situata nella Villa Flavia-Marcello, ci fu una retata degli ebrei lì ricoverati. Erano 13 persone molto anziane, donne e uomini ultrasettantenni, non sicuramente da temere per la loro pericolosità. Solo 2 di loro si salvarono perché fuggiti in tempo. Tutti avevano una sola colpa, erano ebrei e quindi dovevano essere eliminati.
Nella casa di Cura Prosdocimo erano ricoverati il generale Luzzatto e la moglie, triestini, le sorelle Vivante, Anna, Ida e Alba rispettivamente di 77, 73 e 71 anni, una famiglia di 4 ebrei ungheresi di cui non conosciamo il nome, il sig. Leghziel Raffaele di Bengasi, città da cui provenivano Emo e Giorgio Prosdocimo, le signore Reginetta Orefice e Bianca Nunes Vais (o Wais), tutti di Venezia. Sfuggirono alla morte solo l’Orefice, la Nunes Vais che erano riuscite ad allontanarsi dal paese.
I Carabinieri e le squadre fasciste di Mogliano sapevano della loro presenza e si erano, qualche mese prima, recati presso la Direzione della Casa di Cura per farsi consegnare i nomi dei degenti. I ricoverati furono allora consigliati dalla Direzione Ospedaliera di consegnare i loro averi alla Madre Superiora e in parte anche a una fidata cameriera. Una successiva perquisizione da parte della Guardia Nazionale Fascista aveva rinvenuto pochi spiccioli nelle tasche dei ricoverati. Parco ed edificio da quel momento furono costantemente sorvegliati dai fascisti. I degenti, pur allarmati da queste visite, si sentivano però quasi al sicuro, in ciò confortati dalle false notizie fatte circolare ad arte, che nessuno, di età superiore ai 70 anni, sarebbe stato privato della libertà. Al momento erano liberi di circolare nell’ampio parco, ma non potevano abbandonare l’edificio. Erano insomma prigionieri. La casa di cura Prosdocimo era infatti anche un campo d’internamento.
Il 7 agosto, alle ore 8, arrivarono le milizie fasciste e le SS, guidati dal delatore Grini, ebreo e spia.
Tutti furono caricati su un camion. All’appello mancava la sig.ra Ida Vivante che quel giorno si era recata a Venezia per far visita alla cognata Gianna Cavalieri, ricoverata all’Ospedale Civile. Le SS decisero di aspettare il suo ritorno in treno a Marocco.
Il camion fu parcheggiato nei dintorni della stazione. Inutilmente il capostazione, il sig. Nicola Dolfini, su suggerimento partito dalla casa di cura, cercò di comunicare telefonicamente al collega della vicina Zelarino i connotati della sig.ra Vivante e, una volta riconosciuta, consigliarla di scendere, impedendole di arrivare a Marocco. Ida sfortunatamente non fu individuata e così proseguì il suo viaggio finendo nelle mani delle SS. La stessa fine fece Costante Vivante che aveva lasciato il suo nascondiglio per far visita alle sorelle. Anche lui fu fatto salire sul camion.
Inutilmente il dr. Emo Prosdocimo cercò di farlo passare per il suo giardiniere. Una delle sorelle inavvertitamente si tradì e anche Costante fu perduto.
Dai fratelli medici fu fatto un tentativo per salvare almeno il vecchio generale Luzzatto, affermando che il giorno dopo doveva essere sottoposto ad un urgente intervento per il riacutizzarsi della sua ulcera gastrica.
Tutto fu inutile. Anche lui e la moglie vennero caricati e portati via.”
Crediti fotografici: Giuliana Marton
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