Speranzon (FdI): “Aperti a un candidato leghista in Veneto”

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“Noi raccogliamo firme per le forze dell’ordine, la Liga per intestarsi la poltrona di Zaia: valutino gli elettori”, dice il senatore meloniano. “Non abbiamo mai rivendicato nulla, siamo pronti ad ascoltare gli alleati. Ma chi ci snobba va ignorato”


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La parola d’ordine, fra i meloniani del nordest, è una sola: testa bassa e pedalare. Guai a lasciarsi sfuggire qualche parola sopra le righe. Farsi notare coi fatti. Che ad alzare la voce bastano e avanzano gli zaiani, soprattutto di questi tempi. “Ma non è una novità”, dice al Foglio Raffaele Speranzon, senatore ed ex capogruppo di FdI in Veneto. “Da queste parti i leghisti sono sempre stati identitari, dall’approccio barricadero, talvolta indipendentista”. O Doge, o morte. “Consultate gli archivi: più volte, durante le legislature passate, pure lo stesso Zaia aveva rivendicato il ‘non abbiamo bisogno di nessuno’. Certo, le percentuali erano altre”. E oggi arridono ai Fratelli. “Noi siamo tranquilli. Non abbiamo mai posto in termini predatori la nostra presenza. Dunque non escludiamo nulla: nemmeno una candidatura leghista a rappresentare il centrodestra”.

 

Occhio a non dirlo troppo forte: gli uomini del presidentissimo aspettano al varco. “Ciascuno ha le sue priorità. E anche rispetto alla Lega nel suo complesso, i leghisti veneti hanno sempre marcato la propria indole”, ogni riferimento a Marcato Roberto – assessore combattente sul territorio – è davvero casuale. “Tanto per capirci: qui nessuno ha la spilletta di Alberto da Giussano”, o di Matteo Salvini, “hanno tutti il leone di San Marco”, o il faccione di Zaia. Quindi? “È una dinamica estranea agli altri partiti, ma la Liga è venetista prima ancora che leghista. Fa le sue battaglie, noi facciamo le nostre”. In questi giorni c’è un gran brulichio fra i gazebo della regione. Alberto Stefani, vicesegretario del Carroccio, ha lanciato una raccolta firme per il terzo mandato di Zaia: siamo a quota 15mila. “Una chiamata di popolo”, l’ha definita il governatore. “Ci sono 5 milioni di veneti”, ribatte Speranzon. “E nessuno qui lo è più o meno degli altri. Volete che vi parli in dialetto?” FdI suona le sue campane. “Preferiamo riempire le piazze per chiedere di sostenere quelle misure che stiamo adottando in difesa dell’incolumità delle forze dell’ordine. La Liga invece si spende per Zaia, per intestarsi la sua poltrona: legittimo, per carità. Valuteranno gli elettori”.

 

Il senatore lo dice con la consapevolezza di “un fatto obiettivo: FdI è il primo partito del Veneto e il Veneto è la regione in cui FdI ottiene i consensi più alti”. Il 37,5 per cento alle ultime europee. “È evidente che abbiamo voce in capitolo sulla scelta del futuro candidato. Se qualcuno ritiene di no, crediamo che non sia corretto. E non lo commentiamo nemmeno”. Speranzon fa un po’ come la volpe con l’uva. “Questo tema non mi appassiona. Siamo concentrati sul lavoro, non dobbiamo rivendicare nulla. Intanto bisogna capire con certezza quando si andrà a votare, poi apriremo i tavoli con gli alleati per scegliere un profilo di sintesi. Il migliore possibile per i veneti”.

 

Ma a Roma, tra Palazzo Madama e dintorni, il nodo del dopo-Zaia è un tema? “Onestamente non è proprio al centro del dibattito”, sorride il senatore. “Altrimenti avremmo già una risposta sul futuro. Oltre all’alleanza di governo, in Veneto ce n’è un’altra che perdura ininterrotta e senza screzi dal 1995. Quindi chi si intesterà la presidenza farà bene a mantenere questa continuità: la buona amministrazione regionale è legata alla non rottura del centrodestra. E tra parentesi: l’autonomia è passata dalla campagna elettorale al Parlamento grazie alla guida di Giorgia Meloni. Non dei governi precedenti, ai quali noi non abbiamo partecipato ma altri sì. Visto che qualcuno ci accusa di centralismo”. Vengono così al pettine settimane di frecciatine, scatti d’orgoglio, fuoco amico per mano leghista. “Zaia è una risorsa da tutelare e non disperdere. Ha la qualità per svolgere al meglio qualsiasi ruolo”, Speranzon lo vedrebbe come sindaco di Venezia, dove lui stesso aveva corso. “Se la legge gli impedisce di fare un altro mandato non è colpa di nessuno, ma va rispettata. E poi è normale che arrivi il momento di cambiare prospettiva: solo il Papa è tale fino alla morte”. In Veneto però il Doge vale tanto quanto. Almeno nei gazebo.

 

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