Caso Al-Masri, vi spiego perchè le accuse a Meloni non stanno in piedi

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Ho un compito arduo: devo difendere Giorgia Meloni dalle accuse di favoreggiamento e peculato delle quali è accusata. In astratto le accuse sembrano fondate: in concorso con i ministri Carlo Nordio (Giustizia) e Matteo Piantedosi (Interno) e col sottosegretario Alfredo Mantovano (delega ai Servizi) ha fatto scarcerare il pericoloso generale libico Al-Masri e lo ha spedito in Libia con un volo di Stato.

Però, se guardiamo bene, ci sono alcune criticità che vanno esaminate: «lo ha fatto scarcerare»? Sembra di no, perché il generale, colpito da un mandato di cattura della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, è stato arrestato a Torino. Chi doveva deciderne la sorte era la corte d’Appello di Roma, che doveva attendere le decisioni di Nordio. Ma (secondo quanto si apprende dalla stampa) Nordio ha tergiversato perché non gli è arrivata una richiesta ufficiale della Corte dell’Aja ma solo una comunicazione da parte del nostro ambasciatore in Olanda.

Mentre Nordio attendeva l’ufficialità della notizia, la Corte d’Appello ha scarcerato Al-Masri. A quel punto entra in azione Piantedosi che, conscio della pericolosità di Al-Masri, ne dispone l’allontanamento dal territorio nazionale.

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I processi della Corte dell’Aja possono celebrarsi solo alla presenza dell’imputato

La responsabilità della Meloni, a questo punto, diventa di difficile dimostrazione perché il tribunale dei Ministri, cui sono demandati gli accertamenti, deve dimostrare che i due ministri avevano avvertito la Meloni, la quale deve aver dato il suo assenso.

Ma oltre alla ricostruzione dei fatti occorre esaminare i due reati. Il 378 del codice penale (favoreggiamento) dice: «Chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce … la reclusione … aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti, è punito con la reclusione fino a quattro anni».

Per ora non abbiamo la certezza che Al-Masri abbia commesso dei delitti. Ma il mandato di cattura internazionale è misura sufficiente per configurare il reato: se si dovesse attendere ogni volta la sentenza definitiva il reato di favoreggiamento non verrebbe mai applicato. Ovvio che, se Al-Masri dovesse essere condannato in via definitiva, anche il favoreggiamento sarebbe integrato. Peccato che i processi della Corte dell’Aja possono celebrarsi solo alla presenza dell’imputato. E che Al-Masri torni in Europa nei prossimi anni ci sembra abbastanza improbabile. Per cui la condanna dello stesso sembra altrettanto difficile. E senza il reato presupposto è difficile condannare la Meloni per aver favorito il generale libico.

Il reato di peculato non è configurabile perchè non c’è stata appropriazione del Falcon

E veniamo al peculato, previsto e punito dall’art. 314 del nostro codice penale: «Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni e sei mesi». La Meloni sembra accusata per aver utilizzato un volo di Stato per rimpatriare Al-Masri. Il problema è il verbo «si appropria». Ci viene in soccorso il secondo comma del 314: «Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita».

Certamente è più questa l’ipotesi, a meno che la Meloni, finita la consegna, si sia fatta recapitare a casa il Falcon dei Servizi Segreti per farci giocare la piccola Ginevra. Il fatto è che perché si possa parlare di peculato occorre che l’utilità della appropriazione sia personale: una tangente, un dono costoso, una vacanza di lusso. Ma il patrimonio della Meloni, dopo il viaggio a Tripoli, è rimasto identico.

Esiste poi – e speriamo che il Tribunale dei Ministri ne tenga conto – una ragion di Stato che ha guidato l’opera dei tre ministri, nessuno dei quali ha agito per interesse personale. E non ci sembra poco.

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