Cosa è successo a Giorgia Meloni e perché è accusata di favoreggiamento e peculato nel Caso Almasri

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Giorgia Meloni, insieme ai ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e al sottosegretario Alfredo Mantovano, è indagata per favoreggiamento personale e peculato nel caso del generale libico Njeem Osema Almasri. Arrestato in Italia su mandato della CPI, Almasri è stato scarcerato per “un’irregolarità procedurale” e rimpatriato con un volo di Stato, scatenando polemiche e un’inchiesta da parte della Procura di Roma.

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La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, insieme ai ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e al sottosegretario Alfredo Mantovano, è indagata per favoreggiamento personale e peculato in relazione al caso del generale libico Njeem Osema Almasri. A farlo sapere è stata la stessa premier tramite un video diffuso sui social.

Almasri, ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità, è stato arrestato dalla Digos di Torino lo scorso 19 gennaio. Appena due giorni dopo, il 21 gennaio, la Corte d’Appello dichiara irregolare il fermo, considerato non “conforme alle procedure legali”, e ne dispone l’immediata scarcerazione. Almasri viene quindi rimpatriato in Libia tramite un volo di Stato, decisione che ha sollevato non poche polemiche e che ha portato all’apertura di un’inchiesta da parte della Procura di Roma.

Le accuse nei confronti di Meloni e dei ministri

La prima accusa nei confronti di Giorgia Meloni è quella di favoreggiamento personale, che secondo l’articolo 378 del Codice penale si applica a chiunque favorisca una persona nel sottrarsi alle indagini o alle ricerche, incluse quelle della Corte penale internazionale. La Procura ipotizza che la premier e i suoi collaboratori abbiano agevolato Almasri nell’evitare l’arresto e il processo.

La seconda accusa è quella di peculato, prevista dall’articolo 314 del Codice penale, che riguarda l’uso improprio di beni pubblici da parte di funzionari. In questo caso, l’illecito si riferirebbe all’utilizzo di un volo di Stato per il trasferimento del generale libico in patria.

Meloni ha detto di ritenere poco credibile l’accusa, dichiarando: “Non sono ricattabile e non mi faccio intimidire, avanti a testa alta”. E aggiundendo che l’indagine sarebbe stata avviata in seguito a una denuncia presentata dall’avvocato Luigi Li Gotti, che ha criticato indirettamente definendolo un “ex politico di sinistra” (nonostante Li Gotti abbia militato per oltre trent’anni nella destra, tra Msi e Alleanza Nazionale, prima di aderire all’Italia dei Valori). Meloni ha poi sottolineato la vicinanza dell’avvocato a Romano Prodi, del cui governo fu sottosegretario alla Giustizia tra il 2006 e il 2008, e lo ha descritto come “noto per aver difeso collaboratori di giustizia di rilievo come Buscetta, Brusca e altri esponenti mafiosi”. Vale però la pena aggiungere che Li Gotti ha anche rappresentato le famiglie delle vittime della strage di Piazza Fontana e quelle degli agenti della scorta di Aldo Moro, assassinati dalle Brigate Rosse.

L’avviso di garanzia è stato firmato dal procuratore Francesco Lo Voi, che Meloni ha definito essere “lo stesso del, diciamolo, fallimentare processo a Matteo Salvini per sequestro di persona”.

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Le prossime fasi del procedimento

Il fascicolo è stato trasmesso al Tribunale dei ministri, che entro 90 giorni dovrà decidere se archiviare il caso o chiedere al Parlamento l’autorizzazione a procedere. In questa fase iniziale, la registrazione di Meloni e dei suoi ministri come indagati è un “atto dovuto”. Le accuse, tuttavia, potrebbero portare a pene fino a 14 anni di carcere nel caso di condanna per entrambi i reati.

Chi è Almasri e quali sono le accuse a suo carico

Njeem Osema Almasri, nato a Tripoli nel 1979, è un alto ufficiale libico, capo della Polizia giudiziaria e responsabile della prigione di Mitiga, nota per essere teatro di gravi violazioni dei diritti umani. La Corte penale internazionale lo accusa di crimini di guerra e contro l’umanità, tra cui tortura, stupri, omicidi e persecuzioni nei confronti di prigionieri politici, presunti terroristi e persone migranti, intercettate in mare. Le indagini su di lui risalgono al 2011 e includono episodi di maltrattamenti avvenuti nel carcere di Mitiga, gestito dalla milizia Rada, un gruppo armato islamista guidato dal comandante Abdul Rauf Kara.

Il fermo e la scarcerazione di Almasri in Italia

Il 18 gennaio, la Corte Penale Internazionale (CPI) ha emesso un mandato di arresto nei confronti di Almasri, accusato di crimini di guerra e contro l’umanità commessi nel carcere di Mitiga dal 15 febbraio 2011. Tali reati hanno portato alla sua identificazione e fermo immediato da parte della Digos, su segnalazione dell’Interpol, mentre si trovava a Torino per assistere alla partita Juventus-Milan. La notizia dell’arresto non è stata comunicata alle autorità di Roma fino a lunedì 20 gennaio, come emerge dai documenti del Procuratore generale della capitale. Il 21 gennaio, tre giorni dopo l’arresto, il Ministero della Giustizia ha quindi rilasciato un comunicato ufficiale in cui confermava la detenzione del generale libico e affermava che la situazione era ancora in fase di analisi. La nota specificava: “Considerato il complesso carteggio, il Ministro sta valutando la trasmissione formale della richiesta della CPI al Procuratore generale di Roma, ai sensi dell’articolo 4 della legge 237 del 2012”. Il ministro Carlo Nordio, dunque, stava ancora esaminando la documentazione necessaria per formalizzare la richiesta della CPI.

Una lentezza che ha sollevato l’allarme della Corte Penale Internazionale, che ha ricordato come le persone arrestate in virtù di un mandato internazionale debbano essere immediatamente trasferite per affrontare un processo, senza possibilità di ritardi o discrezionalità.

Il nodo centrale della vicenda, tuttavia, risiede in un aspetto tecnico: il Procuratore generale avrebbe dichiarato che l’arresto di Almasri sarebbe stato eseguito senza il coinvolgimento del Ministero della Giustizia, responsabile per i rapporti con la CPI. In assenza di questa autorizzazione, la Corte d’Appello di Roma ha quindi stabilito che il fermo fosse irregolare, nonostante la gravità delle accuse, e ha quindi ordinato la scarcerazione immediata del generale.

Questo difetto di conformità procedurale ha così permesso ad Almasri di tornare in Libia, riprendendo le sue “attività” a Tripoli, lasciano lontani i crimini commessi nella prigione di Mitiga dall’essere giudicati davanti alla Corte dell’Aia.

Le relazioni tra Libia, Italia ed Europa

La vicenda si inserisce in un contesto più ampio di cooperazione tra il governo italiano e quello libico. Dal 2017, l’Italia ha stipulato accordi con la Libia per fermare i flussi migratori, affidandosi alle forze locali, tra cui la Guardia costiera e milizie come la Rada. Tuttavia, queste forze sono state più volte accusate di violazioni dei diritti umani, sollevando interrogativi sull’etica e la legalità di tali collaborazioni.

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