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Candy, Whirlpool, Electrolux: che cosa resta del Made in Italy e perché è andata così. Mentre si stanno perdendo anche le produzioni della filiera
La notizia della chiusura dello stabilimento Candy di Brugherio è stato un nuovo colpo per il made in Italy dell’elettrodomestico. Colpo arrivato a pochi giorni dalla messa in onda in streaming su Mediaset di un docufilm sulla storia di Peppino Fumagalli. «Un capitano d’impresa, una famiglia che cambiò il nostro ‘900». Da tempo Candy era passata ai cinesi della Haier che ora hanno annunciato la chiusura dell’impianto e un destino incerto per i 1.100 dipendenti. Da qui la nota con la quale i sindacati hanno nuovamente suonato l’allarme su un settore che oggi ha in Italia 13 mila dipendenti, la metà di quanti ne avesse nel 2000. Se allora si producevano 30 milioni di pezzi l’anno oggi siamo scesi fino a quota 10 milioni con due terzi di produzione persa.
Alle scelte della Haier si aggiungono i licenziamenti della Beko e gli interrogativi che continuano a circolare sugli orientamenti della Electrolux e il quadro è completo. Ma per ragionare su questa crisi , che ha i caratteri dell’emergenza, conviene fare qualche passo indietro e riflettere sulla domanda, la sua evoluzione e i profondi cambiamenti della geografia della produzione mondiale.
I meccanismi del mercato
Tanti consumatori hanno lo stesso frigorifero da 30 anni e non sentono l’esigenza di cambiarlo. Non hanno sicuramente lo stesso televisore dallo stesso periodo, neanche la stessa automobile o lo stesso condizionatore. Per di più quando i consumatori più tradizionalisti si decideranno a cambiare il loro vecchio frigo la loro esperienza non cambierà di una virgola. Forse il nuovo arrivato consumerà meno, farà meno rumore, ma le novità si fermano qua. È la dimostrazione che siamo in presenza di una commodity, un prodotto che non innova da tempo, il più essenziale forse tra i beni durevoli, ma un apparecchio che non genera sogni né un piacere associato. Nel frattempo però il grosso della produzione si è spostato da Ovest ad Est, seguendo quanto era avvenuto tempo addietro per i cosiddetti elettrodomestici bruni ovvero proprio il televisori. Spostamento ad Est che si giustifica con costi di produzione sensibilmente più bassi.
Le ricadute sull’Italia
Per l’Italia quello che stiamo raccontando ha avuto e avrà una pesante ricaduta negativa. E il motivo è semplice: gli Zanussi, gli Zoppas, i Merloni, i Fumagalli, i Borghi sono stati altrettanti capitani di industria che al loro tempo erano stati capaci di sfruttare al meglio il vantaggio competitivo di allora ovvero un costo del lavoro più basso dei concorrenti e una manodopera dotata di forte senso del dovere e di buona cultura industriale. Il primo frigorifero Zanussi è del 1954, ma Borghi ne produceva già. La prima lavatrice è del ‘56. Siamo alla fine degli anni ‘50, il 1958 è forse è stato l’anno migliore dell’Italia con il Financial Times che proclama la lira come la moneta più solida. Quel vantaggio competitivo ha retto per lustri e lustri, l’industria italiana del bianco ha primeggiato a lungo, ma oggi con la debolezza della domanda europea e la concorrenza asiatica il successo sul mercato è assicurato solo per alcuni marchi del Vecchio Continente, che hanno saputo proiettare un’immagine di alta qualità e affidabilità. Ad aiutare il made in Italy c’è ancora il giudizio dei mobilieri che con un mercato italiano che vuole al 40% elettrodomestici da incasso assicura ossigeno alla produzione e alle fabbriche.
I tentativi di innovare
Si è detto della poca innovazione. Ma qualche tentativo generoso di cambiare il frigorifero è stato pur fatto negli anni: l’introduzione di un terzo scomparto tra frigo e freezer e tarato a zero gradi per favorire, ad esempio, la migliore conservazione del pesce. Fu un fallimento. Anche il frigorifero con i raggi ultravioletti per eliminare i batteri ha avuto basse vendite e poi è stato ritirato. Persino il frigorifero a quattro porte ideato da Pininfarina ha fatto flop. Anche nel campo delle lavatrici è naufragato il tentativo di insediare stabilmente sul mercato una macchina lavasecco da casa. La verità è che il consumatore del bianco si è rivelato pigro, considera il frigorifero un armadio in cui accatatare il cibo e basta.
È successo così che coreani, cinesi e turchi siano venuti a prendersi il mercato europeo, abbiano comprato fabbriche, sviluppato i legami con la grande distribuzione e fatto il vuoto. La grande tradizione italiana ha retto grazie a un’ottima efficienza degli stabilimenti e appunto alla qualità della manodopera (e buone relazioni industriali), ma via via chi ha investito di meno è uscito dal mercato più o meno volontariamente. Ha gettato la spugna anche l’americana Whirlpool che aveva inglobato la Ignis dei Borghi e poi la Merloni di Fabriano e contendeva il passo all’altra grande multinazionale, la Electrolux, che a sua volta aveva comprato da tempo la Zanussi. Whirlpool ha venduto ai turchi di Arcelik/Beko, ma vuoi la crisi della domanda vuoi l’acquisizione Indesit mal digerita i nuovi proprietari hanno di recente presentato al governo e ai sindacati il conto di 2 mila licenziamenti nei soli stabilimenti italiani. Meno lineare e più contraddittorio è il percorso di Electrolux (4.300 addetti), in perdita significativa nel ‘24 e dal futuro incerto. Si è parlato e si parla ancora di una possibile vendita. I cinesi di Midea erano stati bloccati dalle autorità svedesi e non è da scartare l’ipotesi che il processo di dismissione possa avvenire con la formula dello spezzatino. Conferma Massimiliano Nobis della Fim-Cisl: «L’Electrolux nonostante gli importanti investimenti nei processi di produzione effettuati negli ultimi anni soffre del calo della domanda del bianco in Europa e sulla multinazionale continuano a rincorrersi le voci di una possibile vendita a una multinazionale asiatica».
Le voci e gli incontri col governo
Tra le tanti voci che si accavallano sul mercato c’è anche quella secondo la quale l’offensiva dei produttori dell’Est non sia così lineare, ma venga sussidiata in qualche modo dai rispettivi Stati per conquistare l’Europa con i bassi prezzi e poi farlo risalire bruscamente in una seconda fase. Queste indiscrezioni valgono anche per il turchi di Beko che hanno in casa grandi brand del passato come Ignis, Ariston, Merloni, Indesit e Hotpoint, ma le cui vicende stanno ripercorrendo la strada del tormentone sindacale di Whirlpool con la variante del golden power inserito dal ministro Adolfo Urso al momento del deal turco-americano e ora però di difficile implementazione. Sul caso Beko i sindacati sono mobilitati per evitare la chiusura di ben due stabilimenti (Comunanza e Siena) e hanno ottenuto per il 30 gennaio un incontro al ministero. Ma non si accontentano: chiedono a Urso un tavolo di settore. Anche perché si stanno perdendo anche le produzioni della filiera, con il trasferimento all’estero dei sistemi di connessione della TE Connectivity di Collegno e la mancata realizzazione del polo dei compressori che doveva vertere su Acc di Belluno ed Ex Embraco di Torino.
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