Il traffico di specie selvatiche, animali e vegetali, è il quarto tipo di commercio illegale, dopo droga, esseri umani e armi, e contribuisce in maniera decisiva e spesso criminale al declino di diverse di queste specie». Una presa di coscienza che ci pone davanti agli occhi il giornalista Rudi Bressa con il suo libro I trafficanti di natura. Il commercio illegale di specie selvatiche che minaccia la biodiversità (e tutti noi) (Codice Edizioni, euro 17).
«Le varie stime di quanto sia il vero valore economico di questo traffico illegale non sono concordi, perché ovviamente si basano per lo più sui sequestri e sulle condanne. Ma secondo gli organismi internazionali – continua Bressa – si va da un minimo di 7-8 miliardi di dollari a 23 miliardi di dollari l’anno. Stiamo parlando di cifre enormi, che corrispondono al Pil di un paese in via di sviluppo. Spesso i gruppi criminali che operano nel traffico illegale di specie selvatiche sono gli stessi che lucrano dal traffico di armi, sostanze stupefacenti o esseri umani. Non c’è differenza. L’obiettivo – prosegue – è quello di fare utili: è un business con i suoi rischi e i suoi guadagni. Ma è un settore che mette a repentaglio non solo le specie in questione, ma intere comunità».
Bressa, come si autoalimenta questo commercio? In altre parole, chi sono gli acquirenti?
Dipende da che specie o sottoprodotto si parla. Per quanto riguarda gli animali più famosi, dalla tigre all’elefante, passando per i rinoceronti, si tratta di persone di alto rango, di origine asiatica, con una posizione sociale elevata, che consumano il cuore di tigre perché dovrebbe infondere coraggio o che assumono polvere di corno di rinoceronte per curare alcuni disturbi. Spesso chi può accedere a questo tipo di prodotti è benestante e li compra proprio per dimostrare il proprio status sociale. Se vogliamo è un po’ come accade in Occidente con l’acquisto di auto di lusso o altri oggetti di valore. D’altro canto, esiste poi tutta una fascia della popolazione che impiega questi rimedi, contenuti nella medicina tradizionale cinese, come cura delle patologie più disparate: dall’emicrania ai dolori mestruali, dal dopo sbornia ai problemi sessuali. O come sostanze ricreative, come per esempio il corno di rinoceronte che viene polverizzato e assunto con acqua o vino, perché avrebbe effetti rinvigorenti o eccitanti. C’è poi tutto il mondo dell’hobbismo e del collezionismo, forse poco attenzionato, ma che fa danni enormi e può portare all’estinzione di specie in poche settimane, il tutto alimentato dal web e dai social media.
In Italia come stanno le cose?
L’Italia è un grande porto di scambio. Essendo un importante hub per il commercio da e per l’Europa, entra un po’ di tutto. Nel 2022 con dei miei colleghi investigammo sul traffico di teak, un legno particolarmente pregiato che proviene dalle foreste del Myanmar, scoprimmo che il nostro paese era l’unico rimasto a importare questo legno costosissimo e impiegato principalmente nell’industria navale, nonostante i divieti dell’Europa. Parliamo di cifre importanti, che però alimentavano – ora, infatti, il commercio pare essersi fermato – la deforestazione e il regime militare nel paese, già sconvolto dal colpo di Stato del 2021. Esiste poi un mercato interno particolarmente florido, per esempio, per quel che riguarda il bracconaggio e la vendita di passeriformi. Il nostro paese è tristemente noto per la quantità di uccellini migratori o meno che vengono uccisi ogni anno, al pari di paesi come Siria, Egitto, Cipro. Da noi esistono almeno otto diversi hot-spot, ovvero punti caldi dove il fenomeno è particolarmente radicato. Dalle valli bergamasche e bresciane, allo Stretto di Sicilia, alla Sardegna. Lo scorso luglio il raggruppamento dei Carabinieri Cites ha condotto una vastissima operazione anti bracconaggio dalla quale è emerso come migliaia di uccelli, soprattutto tordi, venissero ogni anno catturati illegalmente in natura, in Italia e all’estero, spesso prelevando i piccoli appena nati direttamente dai nidi. Questi animali vengono stipati in minuscole gabbie e sottoposti a lunghi viaggi in condizioni terribili fino ad essere consegnati ad allevatori italiani senza scrupoli che, applicando appositi anelli alle zampette, li avviano alla commercializzazione come se fossero animali allevati ricavando, in questo modo, enormi guadagni illegali. Ma questo è solo un esempio. Esistono poi enormi traffici di piante selvatiche, soprattutto per collezione, che valgono milioni di euro.
Nel libro riporta undici esempi di commercio illegale. Uno che lo ha particolarmente colpito?
Quello della pelle d’asino. Anche se non propriamente illegale perché l’asino domestico non è un animale protetto, questo commercio potrebbe però portarlo all’estinzione, in particolare nel continente africano. Qui la domanda di pelle, che viene impiegata per la produzione alimentare, è talmente elevata che gli allevamenti non riescono a coprirla, portando a una riduzione costante dei capi. L’asino è, per molti versi, un animale simbolo. Perderlo per mere questioni commerciali sarebbe un delitto.
Lei scrive che la perdita di diversità biologica mette in pericolo le economie, i mezzi di sussistenza e la sicurezza alimentare. Ci può spiegare meglio cosa intende?
Dobbiamo vedere la biodiversità come un enorme mosaico. Ogni tessera è una specie, con un ruolo ecologico ben preciso. Più si staccano le tessere, più il disegno diventa illeggibile. Così accade anche in natura: spesso piante e animali sono strettamente interconnessi e la perdita, per esempio, di una specie ombrello, può provocare il collasso di interi ecosistemi. Si tratta di un effetto domino che non causa solamente l’estinzione, che so, degli elefanti, ma di tutte le altre specie, Homo sapiens compreso, che da queste dipendono. Il mondo vegetale in particolare ci fornisce cibo, principi attivi per i medicinali, materiali da costruzione e molto altro. Si consideri per esempio che tra tutte le quasi 40 mila specie inserita nella Convenzione internazionale di Washington, che regola il mercato e tenta di contrastare il traffico illegale, più dell’80 per cento sono specie vegetali. E di queste oltre tre quarti sono orchidee. A me questi numeri hanno scioccato. Esiste poi un problema di salute globale: spesso alcune specie animali vengono consumate come selvaggina. Ma il continuo e persistente contatto con le specie selvatiche ci espone a nuovi virus, spesso sconosciuti. L’Ipbes (Piattaforma intergovernativa sulla biodiversità e i servizi ecosistemici, ndr) stima che là fuori ci siano almeno 800 mila virus pronti a fare il famoso salto di specie.
Ci potrebbero essere delle ripercussioni sulla qualità della vita delle persone?
Spesso il traffico illecito è strutturato a piramide. Nel gradino più basso si trovano le fasce della popolazione più vulnerabili, come donne, anziani e bambini. Quest’ultimi vivono in condizioni vicine alla sussistenza e quindi, per mera sopravvivenza, cacciano o raccolgono in natura specie selvatiche per poi rivenderle nei canali illegali. È il caso del palissandro, un legno particolarmente pregiato: il taglio indiscriminato in particolare nelle regioni tropicali dell’Africa, sta portando a elevati tassi di deforestazione. Inoltre, la perdita di habitat conseguenti al prelievo elevato di specie può comportare seri problemi di approvvigionamento delle risorse primarie per le comunità più deboli. Una sorta di colonialismo di ritorno o prelievo predatorio da parte di gruppi criminali senza scrupoli che mettono a repentaglio la qualità della vita di intere comunità.
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