DeepSeek e l’era della frammentazione: come l’intelligenza artificiale riorganizza il mondo digitale

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Lo sviluppo tecnologico segue traiettorie ricorrenti: si passa da un sistema centralizzato e mainstream a un ecosistema frammentato, anche nell’AI. Accanto ai giganti ci saranno AI ottimizzate per ambiti verticali. Il futuro? Serve comprendere i fenomeni e intervenire prima altri decidano per noi

I computer erano inizialmente enormi mainframe condivisi, accessibili solo a grandi istituzioni e aziende. Poi, negli anni ’70 e ’80, la rivoluzione del personal computer (grazie a Ibm, Apple e Microsoft) ha portato l’informatica nelle case e nelle imprese, decentralizzando la capacità computazionale.
Internet nasce come un progetto militare e accademico, strutturato su pochi nodi centralizzati. Con l’avvento del Web negli anni ’90, si trasforma in un sistema più accessibile e aperto, ma ancora dominato da grandi portali generalisti. Poi arriva il Web 2.0: blog, forum, piattaforme personalizzabili e, infine, l’esplosione dei social media, che trasformano ogni utente in produttore e consumatore di contenuti.
I social media, a loro volta, hanno seguito questa traiettoria: dai primi network generalisti (Facebook, Twitter), oggi siamo in un’era in cui TikTok, Reddit, Discord, Mastodon e altre piattaforme si frammentano sempre più in nicchie e community verticali, dove ogni utente trova il proprio ambiente ideale.
Nei sistemi complessi, emergono naturalmente strutture gerarchiche e frammentate: pochi attori dominanti e una miriade di unità più piccole. Questo fenomeno è tipico delle reti complesse e segue distribuzioni a legge di potenza, dove poche entità concentrano gran parte delle risorse e dell’attenzione, mentre la lunga coda di piccoli attori sopravvive in nicchie specializzate. Ma non è solo una questione di distribuzione statistica: la frammentazione è amplificata dall’omofilia, la tendenza delle persone (e delle tecnologie) ad aggregarsi intorno a somiglianze e preferenze comuni, creando ecosistemi distinti e autoreferenziali.

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L’Intelligenza artificiale (AI) seguirà la stessa traiettoria? Probabilmente sì.
Oggi pochi modelli dominano la scena — Gpt, Gemini, DeepSeek. Ma la direzione è chiara: accanto ai giganti globali, emergerà una miriade di modelli personalizzati e specializzati. AI ottimizzate per lingue specifiche, settori verticali, esigenze culturali. Un’intelligenza artificiale sempre più su misura, modellata sui bisogni e i valori di chi la utilizza.
Questo processo apre scenari nuovi e complessi. Più personalizzazione porta inevitabilmente a più frammentazione, più diversità informativa, più rischio di bolle cognitive. Ma significa anche che la conoscenza stessa sarà sempre più modellata dalle preferenze individuali, dai contesti culturali e dagli incentivi economici.
Il punto non è solo la conoscenza, ma l’azione. Stiamo creando strumenti che potenziano il nostro agire su una scala che ancora non sappiamo misurare, amplificando capacità cognitive, decisionali e operative in modi mai sperimentati prima.
Stiamo attraversando una trasformazione che rifonda e ridisegna il nostro essere società, vincolandolo al potere predittivo dei dati. L’AI non è solo un motore di informazione, è un’infrastruttura cognitiva che ridefinisce ciò che possiamo fare e prevedere.




















































E questo è solo l’inizio. L’hardware continua a evolversi, rendendo disponibili capacità di calcolo sempre più potenti. Ma parallelamente, la competizione spinge verso ottimizzazioni software sempre più efficienti, permettendo di fare di più con meno risorse. Questo apre scenari ancora difficili da immaginare: fino a che punto questi dati e questi modelli potranno spingerci nella previsione e nell’automazione dell’intelligenza?
La verità è che non lo sappiamo ancora. Non abbiamo ancora capito fino a che punto la combinazione di potenza computazionale, ottimizzazione algoritmica e accesso a dati sempre più raffinati ci permetterà di spingere la capacità predittiva dell’AI.

La competizione tra AI open-source e closed-source sarà uno dei fattori chiave di questa evoluzione. L’open-source democratizza l’accesso, accelera la ricerca e amplia la possibilità di sviluppo su larga scala, ma espone anche a rischi di governance e sicurezza. I modelli chiusi, al contrario, garantiscono maggiore controllo, stabilità e scalabilità, ma concentrano il potere decisionale nelle mani di pochi attori. La traiettoria finale sarà un equilibrio instabile tra innovazione distribuita e centralizzazione strategica, in cui la regolazione e il controllo dei dati giocheranno un ruolo cruciale.

Mentre altrove questa trasformazione viene affrontata con strategie chiare — seppur spesso rozze, muscolari e tutt’altro che lungimiranti —in Europa ci si rifugia nelle solite regolamentazioni ex-post e in discussioni teoriche scollegate dalla realtà, intrise di un umanesimo ingenuo che non si è mai accorto che il Novecento è passato da qualche decennio. Ma il futuro non si scrive con le chiacchiere. Né con il panico morale. Si scrive con la comprensione dei fenomeni e la capacità di intervenire prima che siano altri a decidere per noi.

*docente ordinario all’Università La Sapienza di Roma, direttore del Cdcs (Centro di Data Science e complessità per la società)

30 gennaio 2025 ( modifica il 30 gennaio 2025 | 12:04)

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