L’Università di Pisa dice no alla ricerca sulle armi. Il rettore Zucchi a Corriereuniv: “Nessuna lista di proscrizione, seguiamo la Costituzione”

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In un momento storico segnato da conflitti internazionali e tensioni globali, l’Università di Pisa ha compiuto una scelta che segna sicuramente uno spartiacque nel panorama universitario italiano: modificare il proprio statuto per vietare esplicitamente la ricerca finalizzata allo sviluppo di armi e armamenti. Una decisione che non nasce in modo improvviso, ma è il frutto di un lungo percorso di riflessione interna, come ci spiega il prof. Riccardo Zucchi, rettore dell’Università di Pisa, in questa intervista esclusiva.

Rettore, quali sono i motivi che hanno portato alla decisione di modificare lo statuto dell’Università di Pisa per vietare la ricerca sulle armi e gli armamenti?

“Dopo i fatti di Pisa con gli studenti manganellati, e in seguito alla discussione su tragici eventi internazionali, dalla guerra in Ucraina alla situazione in Israele e Palestina, abbiamo sviluppato, come quasi tutte le università italiane, un dibattito profondo. L’università ha il dovere di assumere una posizione critica. Ci siamo espressi per il cessate il fuoco, per l’invito a tutte le parti a cessare la violenza, abbiamo aperto corridoi umanitari per studiosi e studenti palestinesi e avviato una discussione sull’antisemitismo, distinguendo tra la critica alla politica del governo israeliano e l’antisemitismo stesso, un valore a cui ovviamente aderiamo. Non abbiamo accolto l’invito a boicottare gli accordi con le università israeliane, perché crediamo che l’università debba costruire ponti, non barriere, e favorire il dialogo tra popoli e comunità accademiche.”

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“Siamo arrivati a una riflessione sul tema della guerra e dei rapporti con le industrie impegnate anche in armamenti. La nostra politica costante è di non svolgere attività di ricerca finalizzata allo sviluppo o al perfezionamento di armi da guerra. Abbiamo deciso di formalizzare questo impegno, che prima era informale, nello statuto. Abbiamo modificato la parte iniziale introducendo un richiamo esplicito alla pace, un impegno a promuoverla come valore e ad astenerci da ogni attività finalizzata alla produzione o al perfezionamento di armi da guerra. È stato un percorso lungo, iniziato con discussioni con gli studenti, proseguito con incontri aperti alla comunità, e concluso con la procedura formale per le modifiche statutarie.”

Ci sarà una perdita di fondi nella ricerca per l’Università di Pisa a causa di questa decisione?

“Premesso che, al momento, non perdiamo neanche un euro, perché non stiamo conducendo ricerche rivolte allo sviluppo di armi e armamenti. Quindi, non ci perdiamo assolutamente niente. Non abbiamo fatto e non intendiamo fare una lista di proscrizione delle aziende buone e cattive.”

“Tuttavia, c’è il problema del cosiddetto dual use, ovvero delle ricerche che possono essere utilizzate sia per impieghi pacifici che militari. Su questo punto, siamo impegnati in un approfondimento e una discussione, perché il tema è cruciale e non è definibile a priori. Se volessimo proscrivere il dual use, dovremmo bloccare una quantità enorme di ricerche tecnologiche. Faccio un esempio: l’elettronica è quasi tutta dual use. Io vengo dall’area medica: la biologia molecolare, che insegno, può essere usata per sviluppare nuove forme di insulina ricombinante, ma anche per produrre armi biologiche. Se dovessimo proscrivere tutte le tecnologie potenzialmente utilizzabili per lo sviluppo di armi, non faremmo più nulla. Qualcuno, provocatoriamente, ha detto che anche Galileo era dual use, perché le leggi del moto servono anche per calcolare le traiettorie dei cannoni.”

“Quindi, abbiamo assunto l’impegno a non finanziare ricerche direttamente rivolte allo sviluppo di armamenti, e questo è stato inserito nello statuto. Poi, sulla base dello statuto, studieremo e espliciteremo le ricadute sui regolamenti per i contratti e i progetti di ricerca. Quando la tecnologia è potenzialmente dual use, valuteremo caso per caso, esaminando lo specifico progetto di ricerca e, eventualmente, chiedendo approfondimenti. Con aziende come Leonardo, ad esempio, abbiamo avuto in passato borse di dottorato finanziate. La nostra prassi è chiedere un progetto di ricerca specifico, non un titolo generico. Se si finanzia uno studio su nuove tecnologie per motori di elicotteri, dobbiamo sapere esattamente quali sono i campi di applicazione. Valuteremo anche il partner: se un’azienda produce armamenti al 95%, è una cosa; se ne produce solo al 20%, è un’altra. Non vogliamo mettere a priori aziende in una lista di proscrizione, ma abbiamo introdotto un principio: una scelta di campo a favore della pace e un rifiuto della ricerca sugli armamenti.”

Teme uno scontro con il Ministero per questa decisione?

“No, perché ci richiamiamo ai principi della Costituzione della Repubblica Italiana, che ripudia la guerra come strumento per risolvere le controversie tra i popoli. Nel rispetto dell’autonomia universitaria, intendiamo dedicarci a ricerche di un certo tipo. La libertà di ricerca è tutelata dalla Costituzione.”

Auspica che altre università seguano il vostro esempio?

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“Queste esigenze sono sentite ampiamente. Un richiamo specifico alla pace nello statuto è già presente in altri atenei. L’impegno specifico che abbiamo assunto, di non fare ricerca volta allo sviluppo di armi da guerra, non mi pare sia stato adottato da altri. I colleghi e le comunità universitarie decideranno cosa fare. Noi siamo disposti a ogni interlocuzione, nel rispetto dell’autonomia di tutti.”

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