A chi si rivolgeva veramente Giorgia Meloni, nelle due uscite in video di questa settimana in cui ha sferrato prima un gancio destro e poi un gancio sinistro sull’avviso di garanzia per il caso Almasri? Non a te, cittadino comune. Tu sei sempre fuori dai giochi per definizione. Perché la politica è comunicazione con altri mezzi, da quando il marketing è diventato la scienza di Palazzo. E chi ne segue i dettami ha target precisi, i quali solitamente non si identificano con l’elettore generico. Vediamo, in questo caso, perché.
Martedì 28 gennaio la Presidente del Consiglio decide di dare lei stessa la notizia dell’indagine a carico suo, dei ministri Piantedosi e Nordio e del sottosegretario Mantovano, per la quale la Procura di Roma ipotizza i reati di favoreggiamento e di peculato. La tecnica è chiara ed è stata ampiamente già illustrata: dovendo comunque gestire dal punto di vista mediatico un fatto (l’iscrizione al registro degli indagati) che sarebbe finito nelle aperture di tutti i giornali, telegiornali e testate web, meglio passare all’attacco, anziché giocare in difesa, e confezionare subito la propria versione con cui dare forma e indirizzare in premessa le reazioni. I social, del resto, a questo servono, per un politico: a saltare l’intermediazione degli organi d’informazione rendendo immediatamente virale il messaggio. Nello specifico, il messaggio della prima mossa è consistito nell’additare con nome e cognome il procuratore Francesco Lo Voi e l’avvocato Luigi Li Gotti, autore dell’esposto da cui l’indagine è partita, come responsabili di un’azione tesa, per usare le sue parole, a intimidirla, a ricattarla, a non farla andare avanti per la sua strada. Dichiarazioni che hanno voluto personalizzare un atto giudiziario (dovuto, certamente, nella comunicazione tempestiva al competente Tribunale dei Ministri, non nella discrezionalità di aprire un fascicolo), in modo da dipingere la vicenda come uno scontro fra magistratura e politica. Ovvero ricorrendo al teorema principe del centrodestra italiano dal ventennio berlusconiano in poi.
Giovedì 30 gennaio, seconda mossa: ospite in un evento organizzato dal buon Nicola Porro, giornalista di fiducia, la Meloni assesta il secondo colpo. Dopo aver raffigurato, come propaganda esige, un’Italia paese della cuccagna, ecco che a rompere l’idillio arriva un magistrato, in una sorta di attentato alla Nazione che la fa pronunciare, colma di insofferenza, le seguenti parole: “In questo scenario mi ritrovo sulla prima pagina del Financial Times la notizia che sono indagata, e se in Italia i cittadini capiscono perfettamente cosa sta accadendo, all’estero non è la stessa cosa”. Perché questa precisazione? E perché citare proprio quel quotidiano? Lo dice chiaramente: perché mentre da noi si può con sicura iattanza depotenziare il carico esplosivo della notizia di un capo del governo sotto inchiesta brandendo come una clava il noto teorema di cui sopra, gli analisti e gli operatori sui mercati mondiali, invece, inevitabilmente la leggono come il possibile segnale di un rischio caduta per la compagine di Palazzo Chigi. Anche perché è ancora vivo nella memoria il precedente storico proprio di Berlusconi, che nel 2011 ufficialmente fu defenestrato per mancanza di credibilità (da cui la famosa lettera-benservito inviata da Mario Draghi che invece, semmai, sfruttò quella motivazione, certo non nuova, a sostegno di tutta una serie di altre motivazioni di natura economico-finanziaria che con l’immagine già sporcata del Cavaliere avevano poco a che fare, coprendo in realtà un’operazione tutta politica, partita da Berlino e Parigi via Bruxelles e Francoforte).
In entrambi i casi, la Meloni non ha parlato a noi sudditi. Nel primo, perché chi vota per lei non si scandalizza affatto per la cronaca giudiziaria, convintosi ormai, dopo trent’anni di martellamento che nemmeno fa più badare al merito delle singole questioni (chi è, questo Almasri?), che le “toghe rosse” sfruttino ogni occasione per combattere una sola parte politica. Piuttosto, il destinatario era proprio Lo Voi e tutti coloro che nello “Stato profondo”, servizi segreti compresi, possano perseguire l’intento di intralciare la marcia del governo. Nel secondo caso, l’unica preoccupazione reale è di rassicurare gli investitori stranieri della finanza e dell’economia non solo sulla solidità dell’esecutivo italiano, ma anche sulla determinazione di chi lo guida, una Meloni che mostra la faccia feroce sulla falsariga del capofila delle destre occidentali: Donald Trump, anch’egli spregiudicato e durissimo nel rigettare qualsiasi accusa da tribunale evocando il complotto politico. Ma noi plebe – spaccata un po’ per storica predisposizione e un po’ perché indottavi dal gioco al massacro della faziosità strumentale – noi facciamo da spettatori, plaudenti o indignati (o, in gran parte, assenti e disinteressati). La nostra presenza impotente, o al più sfogata sui social, serve a fornire il fondale della cosiddetta “pubblica opinione”. Non c’entriamo nulla, nella sostanza. Non, almeno, fino alla prossima campagna elettorale, quando i frutti maturati da anni di comunicazione forsennatamente devastante per il senso civico, delle istituzioni e della legalità, verranno raccolti per un altro giro di corsa. Se almeno il teorema berlusconian-trumpiano potesse valere per tutti, allora, sia pur a rovescio e nella perversione più completa dello Stato di diritto, il principio di uguaglianza di fronte alla legge sarebbe rispettato. E invece, no. Io, di fronte a un giudice che mi indaga, non posso delegittimarlo sostenendo sul mio instagram che è politicizzato, perché il mio avvocato mi scaricherebbe seduta stante, giustamente pensando che io abbia deciso di suicidarmi. Mentre lorsignori possono, e lo fanno. Perché sono come gli animali della fattoria di Orwell: più “uguali” di noi. E quando scrivo noi, non intendo nessuna delle tribù dominanti, né quella dei recintati mentali (i soldatini destrosinistri: destr, sinistr, avanti marsc!) né quella degli alienati politici (i menefreghisti per partito preso: non vedo non sento non parlo). Intendo quelli che intanto cercano di capirci qualcosa, senza però fermarsi alla bega del giorno. Cercando anche, in parallelo, di studiare e lavorare per uno spettacolo alternativo da portare in scena… Ne riparleremo.
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