Al Masri, un siluro contro il governo Meloni • Partito dei CARC

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  • Un’anticipazione del numero 2/2025 di Resistenza

Con l’avviso di garanzia che ha raggiunto a fine gennaio Giorgia Meloni, i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano, la crisi della Repubblica Pontificia italiana compie un salto.
Non andranno in prigione, e probabilmente neppure a processo, per aver protetto e fatto espatriare con un volo di Stato un criminale, un torturatore, un trafficante di esseri umani (a proposito del loro impegno “contro l’immigrazione”) e assassino libico, il comandante Al Masri. Ma sono stati sputtanati per un’operazione che, come dice Bruno Vespa, “rientra fra le tante porcherie che ogni governo compie per difendere la sicurezza nazionale”.
A sputtanarli è stata la denuncia di un avvocato, Li Gotti, che ha servito su un piatto d’argento al procuratore Lo Voi il pretesto per aprire l’inchiesta.
“È una forzatura, un atto voluto”, afferma con la schiuma alla bocca Giorgia Meloni. “È un atto dovuto, le procedure lo impongono”, è la risposta. Al netto dei battibecchi da salotto televisivo, la manovra rientra nello scontro per bande che infuria ai piani alti della Repubblica Pontificia.

Che lo scontro infuriasse, era evidente da mesi. Anche una parte dei vertici della Repubblica Pontificia che avevano messo il timbro di approvazione all’insediamento del governo Meloni, infatti, hanno iniziato a mostrare insofferenza e a mandare segnali di malcontento.
Le relazioni fra governo e magistratura sono il fronte più caldo. Fin dall’insediamento del governo Meloni erano al livello della rissa, sono rapidamente sfociate in faida e si sono evolute nelle attuali cannonate. Ma circoscrivere la guerra per bande allo scontro fra governo e magistratura è limitante, quella è solo la punta dell’iceberg. Lo scontro è più ampio e profondo, comprende in toto la pantomima del teatrino della lotta politica borghese (fra governo e opposizione), quella delle relazioni con le organizzazioni sindacali di regime, quella fra governo e mondo dell’informazione e arriva su, ai piani più alti della Repubblica Pontificia, nello scontro fra interessi diversi e via via sempre più inconciliabili fra “partito americano”, “partito europeo” e “partito vaticano” (il partito delle organizzazioni criminali “propriamente detto” – mafia, ‘ndrangheta, ecc. – è ben rappresentato in ognuno degli altri).

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Poiché l’Italia dipende e risente in modo particolare di quello che succede negli Usa e nella Ue, l’elezione di Trump è stata un terremoto fra i vertici della Repubblica Pontificia e ha buttato benzina sul fuoco della guerra per bande.
Quanto più Giorgia Meloni ostenta “legami e sintonie particolari” con Trump (è utile ricordare, come esempio, l’entrata a gamba tesa di Musk contro i giudici italiani che avevano mandato a processo Salvini per il caso Open Arms), tanto più i boiardi del partito della Ue, già ridotti male”, si sentono – e sono obbligati – a moltiplicare gli sforzi e a usare “ogni mezzo necessario”.
Inutile dire che a tutta questa gente degli interessi del paese e delle masse popolari importa meno di zero. Tutta questa gente usa le masse popolari solo come massa di manovra per orientare l’opinione pubblica in un senso o in un altro.
Il partito europeo della Repubblica Pontificia – non è dato sapere se con l’ausilio di patrioti europei anche esteri, ma questo è ininfluente – ha ripescato alcuni vecchi arnesi per far esplodere “la bomba Al Masri” sapendo perfettamente che il governo Meloni si sarebbe comportato come si è comportato. Compreso l’assordante silenzio in parlamento che vale più di mille avvisi di garanzia.

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Cosa succederà? Chi ha innescato la bomba Al Masri ha agito su mandato di una o più fazioni dei vertici della Repubblica Pontificia per togliere qualche settimana di sonno al governo Meloni. O, forse, ai piani alti della Repubblica Pontificia stanno per chiudere un accordo (temporaneo, fragile, parziale) su chi debba essere il capo del prossimo governo tecnico e stanno disseminando con altre bombe il terreno intorno al governo Meloni, per farlo cadere con un “intrigo di palazzo” alla prossima occasione buona.
Il fatto che i partiti di opposizione, la Cgil, l’Arci, la rete di associazioni pacifiste, per i diritti umani, ecc. non siano già nelle strade ad assediare il governo fino alle dimissioni è la dimostrazione che anche chi ha sganciato la bomba Al Masri si guarda bene dal fare ricorso alla mobilitazione delle masse popolari per “dirimere la crisi politica”.
Finché è possibile, i vertici della Repubblica Pontificia cercano di escludere – o almeno di limitare al minimo indispensabile – il ruolo delle masse popolari, sia sul piano della mobilitazione di piazza che sul piano elettorale (è emblematico che nonostante la guerra per bande in corso, la Corte costituzionale non abbia ammesso proprio il referendum che avrebbe messo ko il governo, quello contro l’autonomia differenziata).
Proprio la starnazzante immobilità delle opposizioni fa brillare come il sole la questione più importante di tutta la faccenda.
Non importa affatto se abbia ragione il governo Meloni oppure chi lo accusa e non importa neanche sapere cosa starnazzano le opposizioni e i vertici della Cgil; quello che importa è liberare la strada dagli ostacoli che frenano la mobilitazione delle masse popolari, organizzarsi e approfittare della guerra per bande che infuria fra le fazioni dei vertici della Repubblica Pontificia per imporre il Governo di Blocco Popolare.





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