PUGLIA – Il centrosinistra punta a superare il ventennio al governo. Da quando Nichi Vendola ha conquistato la Puglia nel 2005, sfilandola all’uscente Raffaele Fitto, la regione è diventata una roccaforte del centrosinistra, con Bari che ha assunto il ruolo di una “Bologna del sud”. Nelle ultime regionali l’attuale vicepresidente della Commissione europea ha perso di nuovo, questa volta con Emiliano: 46,78% a 38,93% fu il verdetto del 2020. Bisogna ricordare che all’epoca il Movimento 5 Stelle era ancora “purista” a livello locale, con la terza candidata solitaria pentastellata, Antonella Laricchia (poi messa ai margini dai sui compagni di partito), che non andò oltre l’11,12%, ma che incassò i consiglieri giusti per poi accordarsi, nella grande svolta a sinistra, con Emiliano e poi fare un passo di lato con l’esplosione degli scandali giudiziari. Gli altri sei candidati, compreso Ivan Scalfarotto di Italia Viva, ottennero risultati irrilevanti, tra l’1,60% e lo zero virgola. Oggi il partito guidato da Giuseppe Conte (dopo il divorzio da Grillo) alza la posta per un accordo con il centrosinistra che gli assicuri un ruolo di primo piano, ma l’emorragia di voti di questi anni non sappiamo se continuerà, resta un rebus. Per quanto riguarda i candidati salentini, in campo c’è di nuovo Cristian Casili, ormai si può andare oltre il secondo turno.
Con Alleanza Verdi e sinistra, è cosa fatta, ma a condizione che il candidato presidente sia Antonio Decaro e si archivi la stagione del “trasformismo” (Emiliano ha imbarcato persino Rocco Palese e altri esponenti storici del centrodestra). I leader Angelo Bonelli e Nichi Vendola, ieri a Bari, hanno lanciato un messaggio chiaro al centrosinistra, in occasione dell’apertura ufficiale delle danze per le regionali. L’ex governatore non ha gradito l’espulsione dalla giunta di Anna Grazia Maraschio e ha dichiarato che lui al posto di Emiliano avrebbe fatto meno “CdA”: insomma una staffilata che esprime un certo sollievo nel pensare che l’attuale governatore non sarà più il candidato presidente (per Emiliano si aprono prospettive nazionali).
IL LUNGO LAVORO DEL CENTRODESTRA
Le segreterie regionali di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia vedono nelle prossime elezioni un’opportunità da non sprecare: una mossa sbagliata potrebbe tradursi in una sconfitta pesante in una regione chiave, con effetti a catena che si estenderebbero ben oltre i confini regionali. “Quindi per variare il corso della storia, ogni mossa ha necessità di essere pianificata con meticolosità, evitando personalismi” – ragionano i dirigenti – Mentre il centrosinistra si muove con la sicurezza di chi ha occupato ogni spazio di potere regionale, il centrodestra è chiamato a rispondere con lucidità e tempismo, evitando mosse isolate e improvvisazioni dannose. La coalizione guidata da Giorgia Meloni ha l’occasione di giocare la sua ‘mossa del cavallo’, con una strategia articolata che potrebbe portare alla vittoria finale”.
Questo scenario si inserisce in un contesto nazionale, in cui ogni regione al voto è parte di un disegno politico più ampio. Proprio come in una partita di scacchi, il centrodestra potrebbe compiere una mossa strategica in grado di sovvertire il potere consolidato del centrosinistra. Nel quadro di questa strategia, i rumors legati a movimenti nel consiglio comunale di Lecce, non trovano fondamento. Si fa strada tra alcuni vertici del centrodestra la convinzione che sia altamente improbabile che dopo il tentativo di Fdi con Raffaele Fitto nel 2020, che non ha prodotto il risultato sperato, il partito di Giorgia Meloni reclami nuovamente la Puglia, preferendo concentrare la propria preferenza altrove e aprendo la Puglia a un equilibrio tra Forza Italia e Lega. Nei mesi scorsi, infatti, si è parlato insistentemente della candidatura alla presidenza di Marcello Gemmato, sottosegretario alla Salute del governo Meloni.
D’altro canto, mentre sembra tramontare l’ipotesi di un possibile candidato di Fdi, fonti ben informate dicono che Forza Italia starebbe puntando su un profilo di prestigio come Mauro D’Attis, coordinatore regionale e vicepresidente della Commissione parlamentare Antimafia, oppure su un giovane emergente ma di esperienza come Andrea Caroppo.
La Lega e il centrodestra barese, d’altro canto, guardano con crescente interesse a una figura capace di rappresentare la destra tradizionale e, al tempo stesso, di andare oltre: Pippi Mellone, sindaco di Nardò.
Mellone gode di un consenso trasversale che gli permette di consolidare il centrodestra ma anche di attrarre elettori civici, moderati di area “ex Emiliano”, delusi dal Movimento 5 Stelle e di conquistare ampi strati della società civile. La sua candidatura rappresenterebbe la ‘mossa del cavallo’ del trio Gemmato-D’Attis-Marti, secondo molti dirigenti, una “mossa dagli effetti imprevedibili, capace di scardinare il dominio ventennale del centrosinistra. Un punto di forza che nessun altro esponente del centrodestra può offrire”. Tuttavia, secondo alcuni suoi stretti collaboratori, Mellone sembrerebbe più incline a completare il mandato da sindaco piuttosto che cedere alla tentazione di candidarsi. “Per ora penso solo a continuare a fare bene il sindaco della mia città. Quando arriveranno delle proposte, le valuteremo col mio gruppo – scrive il sindaco neretino – Di certo non ho alcuna intenzione di condannare la mia città a un commissariamento lungo perché qualcuno ha elaborato una legge perché ha paura di me e del mio consenso”. Il sindaco Mellone è nel pieno di un percorso cruciale, che è stato recentemente prolungato al 2027, e per candidarsi dovrebbe anche fare i conti con le normative “anti-sindaco”, che impongono le dimissioni almeno sei mesi prima della fine naturale del mandato regionale, rischiando così un lungo commissariamento per la sua amata Nardò. Una ipotesi che vorrebbe evitare ad ogni costo. Inoltre, la norma renderebbe difficile coinvolgere altri sindaci, che rappresentano un elemento di forza fondamentale per il centrodestra. Contro questa recente modifica della legge – c’è da dire – si è schierata anche l’Anci, e quindi in molti scommettono su una abrogazione. Farebbe comodo allo stesso Decaro, che vuole mettere in campo tanti sindaci. Intanto, però, il gioco si svolge sui tavoli romani e, considerando che si voterà in ben sei regioni, con l’unico punto fermo delle Marche a Fratelli d’Italia e il braccio di ferro sul Veneto, la trattativa potrebbe durare ben oltre l’urgenza espressa dai territori. In Puglia, soprattutto nel centrodestra barese, la base spinge per agire fin da subito con lungimiranza e senza improvvisazioni. “La Puglia è oggi una regione contendibile, ma lo resterà solo se, come avvenuto a Lecce con la candidatura di Adriana Poli Bortone, il centrodestra smetterà di muovere i pezzi a caso e inizierà per tempo a giocare per una vittoria di squadra” – chiariscono alcuni dirigenti. Il concetto è chiaro. Si pensa anche a tenere dentro i centristi, non solo l’Udc, ma anche Puglia Popolare, come si è fatto a Lecce, che la scorsa volta era con Emiliano e ora ha intenzione di mettere sul tavolo del centrodestra il nome di Massimo Cassano come candidato governatore: una mossa che alza la posta e allarga la lunga lista di possibili candidati.
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