In questi 4 anni di guerra civile seguita al colpo di Stato del 1° febbraio 2021, la decisione più dolorosa è stata sicuramente quella di lasciare la cattedrale di Loikaw e il centro dove la diocesi ospitava gli sfollati più vulnerabili. Ma in questi anni, ci sono stati anche momenti di gioia, come quella provata quando l’esercito ha rilasciato i 18 operatori sanitari della clinica diocesana, ingiustamente arrestati. Sono alcuni dei ricordi “più” forti contenuti in questa intervista che il Sir è riuscito a fare a mons. Celso Ba Shwe, vescovo di Loikaw che, dal novembre dello scorso anno, vive da “sfollato” tra gli sfollati
“La situazione generale sta costantemente peggiorando. La guerra non solo ha sfollato migliaia di persone, ma ha anche devastato le infrastrutture, l’economia e il tessuto sociale della regione. La popolazione dello Stato di Kayah continua a vivere in condizioni di estrema incertezza, con poche speranze di una vita migliore in vista”. È mons. Celso Ba Shwe, vescovo di Loikaw, a ripercorrere in questa intervista al Sir i 4 anni di colpo di Stato. Era il 1° febbraio 2021, quando l’esercito prendeva con forza il potere. Da allora, secondo i dati di Amnesty International, la giunta militare ha ucciso oltre 6.000 persone, ne ha arrestate arbitrariamente più di 20.000 e ha ripreso a eseguire condanne a morte. Gli sfollati interni sono oltre tre milioni e mezzo. Anche mons. Ba Shwe dallo scorso anno vive da “sfollato” in mezzo agli sfollati. Una situazione che lo rende un testimone in prima linea del dolore e delle prove che la popolazione del Myanmar sta vivendo in questi 4 anni di guerra.
Eccellenza, qual è stato il momento più difficile che ha personalmente vissuto?
Il momento più difficile per me è arrivato il 27 novembre 2023, quando ho dovuto prendere la dolorosa decisione di lasciare la cattedrale e il centro diocesano di Loikaw, la capitale dello Stato di Kayah. A quel punto, la città era già stata gravemente colpita da intensi combattimenti tra l’esercito e le Forze di difesa popolare (Pdf). La maggior parte dei residenti era fuggita nei primi giorni e noi eravamo rimasti con 73 persone: sacerdoti, personale religioso e 37 sfollati interni (Idp), tra cui malati, anziani e disabili che non potevano muoversi da soli. Siamo rimasti nel centro per due settimane, resistendo in mezzo alla violenza e ai bombardamenti, sperando che i combattimenti si placassero. Ma la notte del 26 novembre, quando il centro diocesano fu colpito più volte dall’artiglieria e da pesanti bombardamenti, mi resi conto che la situazione era diventata troppo pericolosa per restare ancora. Fu con il cuore pesante che presi la decisione di andarmene, era il 27 novembre, sapendo che la nostra sicurezza e il nostro benessere dipendevano dall’uscire dalla zona. Fu un momento di profonda difficoltà, poiché dovetti bilanciare l’esigenza di sicurezza con la profonda responsabilità che sentivo per le persone di cui mi prendevo cura.
Quale invece è stato il ricordo più bello?
Il ricordo più bello che conservo ancora in un posto speciale nel mio cuore è il momento in cui gli operatori sanitari volontari sono stati rilasciati dalla detenzione da parte dell’esercito, era il 22 novembre 2021. Il giorno prima, il 21 novembre, l’esercito aveva preso d’assalto la nostra clinica diocesana di beneficenza e arrestato 18 operatori sanitari. Questi operatori avevano prestato assistenza presso la clinica a circa 400 sfollati interni che avevano cercato rifugio nel complesso della cattedrale da quando era iniziato il conflitto armato nel maggio 2021. L’ospedale statale aveva cessato le operazioni a causa del movimento di disobbedienza civile e le persone non avevano nessun altro posto a cui rivolgersi per cure mediche durante la terza ondata di covid-19. Siamo stati ingiustamente accusati di aver curato membri delle Forze di difesa popolare, il che era completamente falso. Dopo un periodo di tensione di trattative, tra ufficiali militari e leader della Chiesa, gli operatori sanitari sono stati rilasciati il giorno successivo. Quando sono tornati alla clinica, è stata una scena indescrivibile. Gli sfollati, compresi quelli che ricevevano cure mediche, li hanno accolti con una gioia travolgente: lacrime di felicità, canti e grida di gioia. Un momento bellissimo e fortemente sentito, che ha mostrato il potere della solidarietà e della compassione di fronte alle avversità.
Dopo 4 anni, qual è la situazione della “sua” gente?
Dopo quattro anni di guerra civile, la situazione nello Stato di Kayah è terribile. I combattimenti in corso tra l’esercito e le Forze di difesa popolare hanno lasciato le comunità intrappolate tra incertezza e difficoltà. Mentre molti sfollati interni desiderano ardentemente tornare a casa, la strada per la ripresa è ancora lontana. La situazione nei campi per sfollati è sempre più tesa poiché il supporto di emergenza è diminuito, con difficoltà di trasporto e il conflitto costante che rendono gli aiuti meno accessibili. Il peggioramento della carenza di cibo e l’aumento dei prezzi dei prodotti di base stanno causando ulteriori sofferenze. Oltre all’immediata crisi umanitaria, l’imposizione di una nuova legge sulla coscrizione ha aggravato i problemi. I giovani, che tradizionalmente cercavano opportunità di istruzione o di lavoro fuori dallo Stato o addirittura all’estero, sono ora limitati da questa legge, il che accresce il senso di disperazione e limita le prospettive future per molti. Anche i servizi sanitari sono stati gravemente colpiti, con molte cliniche e centri sanitari comunitari costretti a chiudere a causa della mancanza di medicinali e del timore di attacchi aerei. Ciò lascia le persone senza accesso alle cure mediche essenziali, contribuendo ulteriormente alla situazione già fragile.
In questa oscurità, qual è la vostra speranza oggi?
Quest’anno, la Chiesa cattolica celebra l’Anno del Giubileo con il tema “Pellegrini di speranza”. Come cristiani, siamo persone di speranza, che viaggiano insieme attraverso le sfide della vita sostenendoci a vicenda e condividendo le nostre risorse, specialmente tra le comunità ospitanti e gli sfollati interni. Anche di fronte a una grande incertezza, non perdiamo la speranza.
La nostra fede in Dio diventa più forte e la nostra resilienza diventa più visibile ogni giorno.
In mezzo alle difficoltà, siamo testimoni della presenza e della luce di Dio attraverso la solidarietà e l’unità che condividiamo gli uni con gli altri. La mia speranza oggi è che, attraverso l’amore e il sostegno reciproco, supereremo tutte le difficoltà.
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