Storica sentenza in Kenya: gli indigeni battono i finti progetti “green” delle multinazionali


In una sentenza definita storica dalle organizzazioni che difendono i diritti dei popoli indigeni, il tribunale di Isiolo, in Kenya, ha accolto il ricorso presentato da 165 membri di una comunità nativa contro la Northern Rangelands Trust (NRT), società che ospita nel Paese africano controversi progetti di compensazione dei crediti di carbonio per conto di colossi come Meta, Netflix e British Airways. I giudici hanno stabilito che le aree protette sono state concesse alla NRT in modo illegale e in violazione della Costituzione. Di conseguenza, è stato ordinato che alle popolazioni indigene non possa essere impedito di vivere e transitare in quei territori, e che i temuti “guardiaparco” delle riserve debbano abbandonare l’area. La NRT gestisce 45 aree di conservazione comunitarie nel nord del Kenya, che complessivamente coprono circa il 10% del territorio nazionale. Spesso, queste riserve sono state create sulle terre ancestrali delle popolazioni Borana, Samburu e Rendille, costringendole allo sfratto. Nella sentenza si sottolinea che, contrariamente a quanto affermato dalla NRT, i progetti sono stati istituiti «senza partecipazione o coinvolgimento della comunità». Inoltre, si denuncia che la NRT, «con l’aiuto dei guardaparco e dell’amministrazione locale, continua a ricorrere a intimidazioni, coercizione e minacce quando i leader della comunità tentano di opporsi a uno qualsiasi dei loro piani».

Negli ultimi anni, organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International, Minority Rights Group e Survival International hanno esercitato forti pressioni affinché venissero riconosciuti i diritti delle popolazioni indigene. Nel 2023, Survival International ha pubblicato il rapporto Carbonio insanguinato, portando all’attenzione del grande pubblico il Northern Kenya Grassland Carbon Project, un’iniziativa gestita dalla Northern Rangelands Trust (NRT) su un territorio abitato da oltre 100.000 indigeni, tra cui i Samburu, i Borana e i Rendille. L’organizzazione ha inoltre contestato le basi stesse del progetto di compensazione del carbonio della NRT, che si fonda sull’idea che regolamentando le attività di allevamento del bestiame da parte dei pastori indigeni si possa incrementare la vegetazione dell’area e, di conseguenza, aumentare la quantità di carbonio immagazzinata nel suolo. «La sentenza conferma ciò che le comunità denunciano da anni: non sono state adeguatamente consultate sulla creazione delle riserve, che hanno compromesso i loro diritti territoriali. I donatori occidentali della NRT, come l’UE, la Francia e l’USAID, devono smettere di finanziare l’organizzazione, perché hanno sostenuto un’operazione che ora è stata finalmente giudicata illegale» ha dichiarato Caroline Pearce, direttrice generale di Survival International.

Il fenomeno è diffuso e interessa diverse regioni del mondo, in particolare nei Paesi più poveri, dove le comunità locali subiscono le conseguenze di questi progetti. In molti casi, le popolazioni vengono costrette a lasciare le proprie terre, spesso attraverso deportazioni o con l’uso della forza, per fare spazio alle iniziative legate al mercato dei crediti di carbonio. «Troppi programmi di compensazione delle emissioni di carbonio si basano sullo stesso modello obsoleto della “conservazione fortezza”. Sostengono di proteggere la terra, ma calpestano i diritti dei proprietari indigeni e generano ingenti profitti» ha dichiarato Caroline Pearce.

I crediti di carbonio sono certificati che rappresentano una tonnellata di anidride carbonica (CO₂) non emessa o rimossa dall’atmosfera. Aziende e governi li utilizzano per compensare le proprie emissioni finanziando progetti di riduzione o assorbimento del carbonio, come la riforestazione o l’energia rinnovabile. Nell’ambito dell’Accordo di Parigi del 2015, è stato istituito il quadro REDD+ per la protezione delle foreste. L’acronimo REDD sta per Riduzione delle emissioni derivanti dalla deforestazione e dal degrado forestale nei Paesi in via di sviluppo, mentre il + indica ulteriori attività legate alla gestione sostenibile delle foreste e alla conservazione degli stock di carbonio. Attraverso i programmi REDD+, i Paesi in via di sviluppo ricevono finanziamenti per compensare le emissioni di carbonio prodotte dagli Stati più industrializzati e dalle grandi aziende private. Questo meccanismo fa parte del mercato del carbonio, introdotto con il Protocollo di Kyoto nel 1997 e sviluppato a partire dal 2005 con l’entrata in vigore del trattato.

Uno degli aspetti più controversi di questo meccanismo, già oggetto di critiche per le sue implicazioni politiche, economiche e ambientali, riguarda le conseguenze sociali sulle popolazioni indigene e sulle comunità locali che vivono nelle aree designate come riserve di carbonio. L’organizzazione Survival International denuncia da tempo questo sistema e, nel rapporto Carbonio insanguinato, evidenzia come governi e alcune organizzazioni ambientaliste continuino a «promuovere le aree protette come soluzione ai problemi ambientali, nonostante siano spesso teatro di gravi violazioni dei diritti umani e senza prove concrete della loro efficacia nel contrastare la perdita di biodiversità». Secondo l’organizzazione, questi progetti rientrerebbero in una nuova fase di mercificazione della natura introducendo quello che è stato definito colonialismo del carbonio. «I progetti di compensazione assegnano un valore economico alla natura, trasformando le terre delle comunità indigene e locali in riserve di carbonio da scambiare sul mercato, consentendo agli inquinatori di continuare a inquinare, all’industria della conservazione di generare profitti e agli investitori di speculare. Nel frattempo, i popoli indigeni e le comunità locali vengono espropriati e privati dei loro mezzi di sussistenza. Le compensazioni basate sulla natura (Nature-Based Solutions) rappresentano una forma di colonialismo del carbonio e non fermeranno la crisi climatica» si legge nel rapporto.

[di Michele Manfrin]





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